Alban Berg – Sonata op. 1

A

L’unica pagina per pianoforte del catalogo di Berg fu composta tra l’estate del 1907 e il 1908, quando il compositore aveva ventitré anni e studiava ancora sotto la guida di Arnold Schönberg. Stampata nel 1910 a spese dell’autore, ebbe il numero d’opera 1 e il titolo di Sonata, evidentemente con l’approvazione del Maestro; mentre le quasi coeve Variazioni su un tema originale, sempre per pianoforte, rimasero un propedeutico lavoro di scuola non ritenuto degno di pubblicazione. Era stato Schönberg stessc a consigliare a Berg di rinunciare ad aggiungere un secondo e un terzo tempo, come avrebbe voluto la tradizione, all’unico movimento che costituisce la Sonata e che di fatto possedeva una propria autonoma compiutezza di percorso ben oltre il carattere originario di studio. All’inizio del secolo la forma della sonata era ancora comunemente usata nella musica da camera ma costituiva un’eccezione nella pratica della composizione per pianoforte solo: l’unico artista che continuasse abitualmente a servirsene era il russo Alexandr Skrjabin, che a partire dalla Quarta Sonata (del 1903) aveva cominciato a comporre brani in un unico movimento, basati sullo schema del cosiddetto Allegro di sonata, in tre parti (esposizione, sviluppo, ripresa) ma con una tematica ampliata. A questo schema si attenne anche Berg, puntando su una logica architettonica rigorosamente prestabilita e su un linguaggio tanto denso e complesso quanto più conciso e scarno.

La Sonata di Berg ha i suoi modelli nel Quartetto op. 7 e soprattutto nella Kammersymphonie op. 9 di Scönberg.

L’uso che viene fatto di temi e armonie basati sull’intervallo di quarta deriva chiaramente da analoghi procedimenti della Kammersymphonie: ciononostante la complessità dell’armonia si arresta alle soglie della rottura della tonalità, emblematicamente rappresentata dai due diesis posti in chiave all’inizio e mantenuti per tutto il pezzo fino alla conclusione in si minore. Il segno di ritornello alla fine dell’esposizione è un’altra indicazione del legame con la tradizione: simbolo di un ricordo del passato del quale la musica di Berg non si dimentica neppure nei momenti più audaci e innovativi.

Spostando in avanti i suoi equilibri, la composizione esplora territori che da un inquieto clima tardoromantico intriso di velati sguardi al gusto Jugendstil si volgono quasi subito a prefigurare spazi sconosciuti, con la consapevolezza di una forza nuova e originale, intrecciata di tensioni emotive e di tragici presagi. Sulla scia della lezione schönberghiana Berg reinterpreta la forma classica alla luce del principio della variazione, deducendo tutto il materiale sonoro da poche cellule fondamentali ed elaborandole con rigorosa coerenza costruttiva. L’esposizione consta di tre temi, che si susseguono in un’espansione ricca di contrasti drammatici, di slanci vigorosi ma calibrati con lucido senso della proporzione: come se la vitalità di questi gesti di immediata evidenza espressiva venisse subito assorbita e neutralizzata da una concentrazione tanto più pregnante quanto più assorta e decantata.

Le curve della dinamica sono il sismografo della tensione emotiva. Nell’esposizione si passa tre volte dal piano al fortissimo, decelerando progressivamente il tempo di base Moderatamente mosso fino al Quasi Adagio. Nello sviluppo, relativamente breve, si passa ancora una volta dal piano al fortissimo; poi, ripartendo dal piano, si arriva lentamente a un più che fortissimo segnato con tre f e a un più che fortissimo con quattro f: il punto di massima dinamica è raggiunto dopo 145 misure dall’inizio, e dal luogo di massima dinamica alla fine restano 89 misure. Il punto culminante è dunque calcolato secondo le proporzioni classiche della sezione aurea.

Il lento digradare della ripresa limita a due i passaggi dal piano al fortissimo, per sospendersi nel rabbrividente congedo del terzo tema, che si dissolve in un crepuscolo sempre più espressivo e delicato: svanente nel nulla del silenzio e rischiarato tuttavia, dopo tante ombre trascoloranti nel buio, dalla luce utopica di un solitario accordo minore finale.

Mitsuko Uchida
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti – Stagione di musica da camera 1996-97

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