Berlino – La grande avventura è cominciata. Con momenti da brivido, indimenticabili. Come all’inizio, allorché al suo apparire nella sala della Philharmonie Abbado è stato sommerso da un’ovazione compatta, impressionante; a cui si è unita, applaudendo, la stessa orchestra dei Berliner. E poi alla fine: quando, dopo aver congedato l’orchestra in un tripudio indescrivibile, Abbado è dovuto uscire da solo tre, quattro volte; e l’ultima il pubblico accalcato nelle prime file ha rotto gli argini e invaso la pedana per salutarlo, festeggiarlo da vicino, complimentarsi. Come fosse la cosa più naturale del mondo.
Un moto spontaneo nel clima generale di eccitazione e di festa ha tolto ogni dubbio, se mai ve ne fossero stati, sul significato della elezione di Claudio Abbado a direttore stabile e artistico dell’Orchestra Filarmonica di Berlino. Anche perché, pur ripetendola, questa manifestazione di entusiasmo non veniva da un pubblico di neofiti come quello che la mattina aveva preso d’assalto la prova generale, che Abbado aveva aperto per i cittadini di Berlino Est. No, il pubblico del debutto ufficiale di Abbado dopo la nomina a capo dell’orchestra più famosa del mondo era quello, severo ed esclusivo, che per anni aveva costituito il regno di Karajan, e che ora esprimeva così il suo consenso: approvando una scelta sul cui valore a Berlino nessuno ha mai avanzato riserve.
Ma gli aspetti di contorno e i riflessi della situazione che si vive in questi giorni a Berlino non possono mettere in secondo piano il significato artistico del concerto, straordinario per qualità ed emozioni musicali. Per la sua investitura Abbado aveva scelto un programma in un certo senso simbolico: l’Incompiuta di Schubert, dedicata alla memoria di Karajan; Dammerung di Wolfgang Rihm, il più brillante fra i giovani compositori tedeschi, per dimostrare subito un’apertura verso la musica contemporanea che Abbado intende perseguire anche a Berlino; e infine la Prima Sinfonia di Mahler, la stessa con cui aveva esordito a Berlino ventitré anni fa. Ma anche qui i motivi esterni sono secondari rispetto alla pienezza e alla originalità dei risultati interpretativi raggiunti.
Naturalmente ciò che contava era anche verificare il ruolo nuovo dei Berliner in rapporto al direttore. Dire che questa orchestra sembra fatta su misura per valorizzare le qualità di Abbado, e viceversa, non è solo ovvio. Al peso della tradizione, alla sua unicità data dall’eccellenza dei solisti e delle file la Filarmonica di Berlino sa unire una duttilità e una capacità di reazione davvero uniche al mondo; e ciò si adatta in modo stupefacente alla natura di un direttore come Abbado, che realizza la coerenza dell’insieme con l’analisi dei singoli particolari, quasi costruendola e comunicandola col gesto, immediatamente. Nell’Incompiuta, per esempio. Nonostante Abbado l’abbia già incisa ed eseguita spesso, questa volta, coi Berliner, l’approfondimento e la resa puramente strumentale della partitura sembravano nascere da una nuova scoperta: del suono di Schubert, anzitutto. Ogni nota, ogni accento lasciava la sua impronta con una ricchezza di sfumature e di collegamenti che l’orecchio quasi faticava a seguire; le ragioni della musica si svelavano nell’attimo, da parte di tutti insieme. Alle uscite del clarinetto e dell’oboe nel secondo movimento, la ricchezza di segni, di enigmi, di possibilità contrastanti, di inquietudini, sembrò innalzarsi a quel vertice dove la musica si tramuta in sgomento.
Crepuscolo del trentasettenne Wolfgang Rihm è un pezzo interessante: brutto aggettivo, ma d’obbligo in certi casi. Definito un po’ dilettantisticamente poema sinfonico senza programma, alterna violente esplosioni di tutta l’orchestra a frammenti disarticolati di corrispondenze tematiche. Va per così dire a tastoni, e riesce convincente in singole invenzioni timbriche: appare più un’opera aperta che un discorso definito. Anche questo, naturalmente, è indicativo. Abbado lo ha diretto con ferma dedizione (ma, cosa strana per lui, con la partitura davanti), trovando nell’orchestra e nel pubblico risposta calorosa. Importante conferma che c’è disponibilità a seguirlo anche sul versante contemporaneo.
Infine, la Prima di Mahler. Il successo fenomenale di questa esecuzione, dove la voglia di suonare, di liberarsi e librarsi nella musica da parte dei Berliner aveva certo qualcosa di non comune, è il risultato di una maturazione: nel modo stesso in cui Abbado, lavorando con questa orchestra, ha riflettuto sulle sue interpretazioni passate, anziché semplicemente riproporle. Si è ascoltata così una Prima meno ideologicamente tagliente e asciutta ma più intima e sofferta, luminosa e assorta nell’Introduzione, flessibile e scavata nel primo tempo, sciolta e delicata nello scherzo, struggente ma non sentimentale nelle sue movenze popolareggianti. In particolare l’ultimo tempo, il più problematico e irrisolto, ha ricevuto da Abbado una scansione fortemente concentrata e intensa.
da “”Il Giornale””