A Ravenna scena «Muta»

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Una gradevole edizione dell’opera di Auber diretta da Fournillier con una Fabbricini sottotono

Nella Rocca Brancaleone la Falcon danza la “musica nuova” prediletta da Wagner

 

Ravenna – «La Muta sorprese immediatamente come cosa tutta nuova: un soggetto d’opera di tale vivacità non si era mai visto; era il primo vero dramma in cinque atti fornito di tutti gli attributi della tragedia, soprattutto anche del finale tragico. Ciascuno dei cinque atti presentava una visione robusta e vivacissima dove quasi non si distinguevano più arie e duetti all’usata maniera dell’opera e, salvo un’aria della primadonna nel primo atto, non facevano certamente alcun effetto in questo senso; ma l’atto tutto intero afferrava e trascinava. (…) La novità della musica nella Muta di Portici era data dall’insolita concisione e dalla forma serrata: i recitativi ci piombavano addosso come folgori; da questi ai cori d’insieme si passava come in mezzo a una bufera; e nel caos del furore si udivano all’improvviso energici appelli alla calma o rinnovati incitamenti; e poi di nuovo il folle giubilo, il tumulto sanguinoso e, in mezzo, una commovente invocazione della paura o la mormorata preghiera di tutto un popolo. Come il soggetto non mancava degli elementi più spaventosi, ma neanche di quelli più teneri, così Auber esprimeva con la sua musica ogni contrasto, ogni accostamento, in contorni e colori di tanta energica chiarezza che nessuno poteva ricordare di averne mai percepita una così tangibile; pareva quasi di vedere davanti a sé quadri musicali, e il concetto del pittoresco nella musica poteva trovare facilmente conforto se non avsse dovuto cedere a quello più calzante della più felice scultura teatrale».

Nel 1870, quando Richard Wagner così scriveva nei suoi Ricordi di Auber, erano passati 42 anni dalla prima assoluta parigina della Muette de Portici, 41 dalla prima volta in cui egli l’aveva vista a Lipsia e 34 da quando, appena assunto a Königsberg, l’aveva diretta in una serata benefica, alla vigilia del suo matrimonio con Minna Planer, che in quell’occasione sosteneva la parte di Fenella, la muta del titolo. Può darsi che questo insieme di memorie, sogni ed esperienze della giovinezza abbellisse le impressioni di un’opera ormai scomparsa dal repertorio. Nel 1870 l’ottantottenne Auber stava imboccando l’ultimo giro della sua lunga esistenza ma artisticamente era un sopravvissuto: il trionfo della Muette era solo un ricordo lontano, spazzato via dalla sensazione che nuovi prodotti avevano suscitato nella capitale francese anche nei generi che egli stesso aveva aiutato ad affermare.

Eppure non una sola riga di ciò che Wagner scrisse è esagerata. La Muta di Portici è una pietra miliare nella storia dell’opera ottocentesca in virtù della sua unicità, ma anche come esempio di un teatro tutto realizzato nella musica, in un flusso incandescente nel quale i pezzi vocali tendono alla continuità, le masse corali entrano a far parte dell’azione e i caratteri drammatici sono delineati con un calore insolito. Ciò non esclude che la partitura si presenti elegante nella strumentazione e insinui tra le pieghe del dramma – consueto intreccio di vicende erotiche e di casi storici, la rivolta di Masaniello a Napoli – una leggera ironia. L’idea singolare di affidare la parte di protagonista a un personaggio muto, che si esprime mimando e danzando, viene sfruttata non per una coreografia esteriore, ma anzi per affidare ancor più all’orchestra il ruolo di portatrice dell’azione.

Al deplorevole disinteresse che i nostri teatri mostrano per operazioni che andrebbero invece a loro vantaggio (nell’anno di Meyerbeer neppure un titolo) ha posto parziale rimedio il Festival di Ravenna con questa edizione dell’opera di Auber, attendibile anche se non sempre esaltante sotto il profilo esecutivo. Molte falle nella compagnia di canto: vistose in Tiziana Fabbricini, primadonna con gravi problemi vocali, un po’ meno nella coppia dei tenori, Diego D’Auria (il nobile Alphonse) e José Sempere (il popolano Masaniello); incisivo, in una parte però secondaria, William Shimell. Gradevole invece per stile e misura la danzatrice Marzia Falcon e positiva la prova di Patrick Fournillier, direttore preparato e con chiare idee d’insieme. Un po’ troppo sbilanciata sul versante coreografico la regia di Micha van Hoecke; capace però di sfruttare con suggestive scenografie gli spazi ampi della dispersiva Rocca Brancaleone. Al successo dello spettacolo hanno contribuito l’orchestra e il coro del Comunale di Bologna e la folta schiera di comprimari.

 

«La Muta di Portici» di Auber a Roma (repliche oggi e il 22 luglio)

da “”Il Giornale””

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