A Monaco di Baviera un superfesfival che ai giornali locali non piace più

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“”Manager soll Staatsoper retten””: un manager per salvare l’Opera di Stato. Così titolò la “”Abendzeitung””, il giornale popolare di Monaco, il suo ennesimo e più violento attacco alla gestione di Sawallisch del massimo teatro bavarese. Ipotizzando perfino, anzi caldeggiando, una rescissione anticipata del suo contratto, in scadenza appena nel ’93, per far posto a nuovi dirigenti e direttori stabili: per esempio Eva Wagner, attualmente direttore della produzione dell’Opéra-Bastille, e Daniel Barenboim, cacciato da Parigi prima ancora di cominciare il suo mandato. “”Als Operndirektor will man künftig unbedingt einen Manager””, per dirigere l’Opera ci vuole in futuro assolutamente un manager, concludeva l’articolo; dopo aver elencato tutte le colpe di cui Sawallisch si sarebbe macchiato in questi ultimi tempi.

Anzitutto ci si è accorti solo ora, dopo vent’anni, che Sawallisch è assente da Monaco per periodi troppo lunghi, perché dirige anche in Italia, in America o in Giappone: cosa che notoriamente non accade per altri grandi direttori quali Muti alla Scala, Abbado a Vienna o Levine a New York; e che certamente non accadrebbe a Monaco con Barenboim, appena nominato direttore principale della Chicago Symphony. In secondo luogo non garantisce a Monaco la presenza costante dei più grandi direttori, registi e cantanti, per trecentoventi sere all’anno, tante quante ne richiede un teatro di repertorio: un teatro che pure sotto Sawallisch è stato in grado di recente di produrre i cicli integrali di tutte le opere di Wagner e di Strauss, nonché Mozart, e che nel prossimo festival estivo darà (tra il 6 e il 31 luglio) tre volte Trionfi di Orff, due volte Lohengrin, Mathis der Maler, Semiramide, Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Il flauto magico e Il cavaliere della rosa, una volta Salome, La pulzella d’Orléans di Cajkovskij, Nabucco, Dantons Tod di Einem, I Maestri cantori, oltre a tre serate di balletti, concerti di Lieder e di musica da camera e, al Cuvilliés, Intermezzo di Strauss e Mitridate di Mozart quattro volte (con l’assenteista Sawallisch tredici volte sul podio). In terzo luogo, ed è la colpa più grave, Sawallisch non è appunto un manager capace di produrre “”eventi”” e di reclamizzarli come si conviene, ma appena un ammnistratore che cerca di venire a capo con oculatezza degli enormi problemi di identità e di funzionamento che un grande teatro pone oggi in una fase di delicata, confusa transizione tra un sistema consolidato ma internamente minato (per esempio dalle richieste dei registi, dalla mancanza di compagnie stabili e di grandi direttori “”liberi”” da impegni stabili altrove) e un rinnovamento del modo stesso di vedere e concepire il teatro d’opera in dimensioni internazionali. Di fatto, la polemica è stata innescata dalla decisione di Sawallisch di “”licenziare”” il regista Kresnik, che avrebbe dovuto inaugurare con lui il festival con il trittico di Orff, per “”inadempienza contrattuale””: ossia per non aver rispettato i termini di consegna e i preventivi del suo lavoro, fissati da tre anni. Davvero una decisione indegna di un vero manager (che in quattro e quattr’otto ha trovato fra l’altro un sostituto del valore di Neugebauer).

Il caso è istruttivo. Astraendo da beghe locali, anzitutto di natura politica, e da intrighi di potere, coi quali il musicista Sawallisch ha sempre avuto ben poco da spartire, esso significa che il modo di intendere il teatro di cui Sawallisch è uno degli ultimi rappresentanti in Germania, è prossimo a morire, se non si è già estinto sotto la spinta di una propaganda volgare e sensazionalistica. Se un torto Sawallisch ha avuto, è stato proprio quello di credere di poter salvare l’opera dall’imbarbarimento di nuovi costumi venendo a patti con gli artefici del teatro musicale moderno capitanati dai mezzi di comunicazione, dalle case discografiche e dai registi arruffoni: una miscela esplosiva di arroganza e ignoranza. Ora si invoca qualcuno che “salvi” l’Opera di Monaco dal “disastro”, e si chiede l’allontanamento di Sawallisch. Perfino la città e il pubblico sono divisi, e molti credono che sia giusto così: in attesa del nuovo messia, il manager efficiente e brillante, amico del regista rampante e del direttore che vende molti dischi, e che assicurerà ogni sera un’amplificata emozione eccezionale. Che poi ci riesca davvero, è un altro disocrso: l’importante è farlo credere  prima e dopo. Mai durante; come Sawallisch, lavorando in silenzio per la musica, ha sempre fatto.

Il Giornale della Musica, n. 52, luglio-agosto 1990

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