Lucerna – La villa di Wagner a Tribschen – da Lucerna mezz’ora a piedi costeggiando il lago, o dieci minuti in battello – è un luogo di culto per gli amanti del genere. Non che possieda cimeli favolosi (per la maggior parte copie o riproduzioni), ma il posto è assolutamente incantevole, unica l’atmosfera; e fa una certa impressione pensare che qui, per una storia d’amore finita male, di cui in realtà ben poco si sa, nacque il Tristano. Nel bel prato digradante dalla collinetta su cui si erge il bianco «Asilo» di Wagner si sono inaugurate quest’anno le Settimane Internazionali di Lucerna, con un concerto all’aperto della Schweizerisches Festspielorchester diretta da Wolfgang Sawallisch. Per quanto suggestiva, la scelta non premiava la musica, inevitabilmente compromessa da condizioni d’ascolto non ideali; anche se la gabbia costruita in riva al lago per contenere i musicisti era un portento svizzero d’efficienza, impensabile da noi. Curioso poi anche il programma: il quale in barba a Wagner accostava alla Prima Sinfonia di Brahms l’accademico Festlicher Hymnus op. 64 di Othmar Schoeck, compositore svizzero attivo nel nostro secolo ma di chiara ascendenza tardoromantica, e un raro Schumann, quello del Konzertstück op. 86 per quattro corni e grande orchestra.
Anche quest’anno il Festival di Lucerna ha un programma imponente, da vera vetrina internazionale. La sua collocazione cronologica tra Salisburgo e Berlino lo rende un punto di passaggio quasi obbligato nelle tournée delle grandi orchestre: che qui si possono ascoltare a prezzi relativamente vantaggiosi e senza dover organizzare il viaggio con troppi mesi di anticipo. Una antica tradizione, che risale a Furtwängler e che Karajan mantenne negli anni del suo impero, fa dei Berliner Philharmoniker degli ospiti fissi: torneranno anche con Abbado il 31 agosto e il 1° settembre negli stessi due programmi di Salisburgo. Il primo di questi appuntamenti (il Secondo concerto per pianoforte e la Quarta sinfonia di Brahms, solista Brendel) è una serata di gala per raccogliere fondi destinati a una nuova sala da concerti. A parte la novità cli Tribschen, infatti, le manifestazioni hanno luogo nel Kunsthaus, edificio grondante di memorie artistiche ma oggi non più sufficiente. Il finanziamento per la nuova sala è in parte previsto con l’incasso dei concerti. E sono molti i direttori e le orchestre che hanno dato la loro adesione: la Filarmonica di Israele con Mehta (27 e 28 agosto), il Concertgebouw di Amsterdam con Chailly (3 e 4 settembre), i Wiener Philharmoniker con Maazel (5 e 6 settembre), l’Orchestra di Parigi con Bychkov (7 e 8 settembre) e 1’Academy of St Martin in The Fields con Marriner (10 e 11 settembre). Accanto a loro, solisti come Perahia, Lupu, Kremer, Midori e la Mullova.
Ma a Lucerna non si ascoltano soltanto i grandi nomi. Una buona parte dei concerti, collocati opportunamente a ridosso degli appuntamenti con le star, sono concepiti partendo da qualche tema o ricorrenza, con spunti di originalità che meritano la segnalazione: già il solo fatto di non celebrare quest’anno Mozart è un titolo di merito. Certo, l’alternativa era in qualche modo obbligata nell’anno in cui si festeggia il settecentesimo anniversario della Confederazione Elvetica. Tutt’altro che inutile però l’occasione per far riflettere sul ruolo avuto dalla Svizzera nell’arte soprattutto del nostro secolo, attraverso le vicende della musica: anche con la presenza di compositori poco noti internazionalmente, come Schoeck e Frank Martin.
Anche la musica contemporanea ha la sua parte, e senza quel clamore che per esempio a Salisburgo sembra diventato l’ultima moda. In un concerto dell’Orchestra della Svizzera italiana diretta da Marc Andreae (solista di violoncello Thomas Demenga) si sono potute ascoltare tre novità assolute di Norbert Moret, Roland Moser e Francesco Hach, quest’ultimo allievo assai estroso di Donatoni: tutte impegnate a non isolare la ricerca musicale da un contatto col pubblico, e con i linguaggi tradizionali. Niente di travolgente, ma l’esatta sensazione che fuori dai centri di potere, dove la musica contemporanea è mercato,, si torni a ripensare la creazione musicale -senza ideologie o preconcetti esasperati. Con quella calma e quella misura che sono tanto più necessarie in tempi di crisi profonda dell’arte d’avanguardia.
da “”Il Giornale””