Hindemith e Busoni
Quando Hindemith nasceva, nel novembre 1895, Busoni aveva 29 anni, era appena ritornato in Europa dall’America e si era stabilito a Berlino, la città nella quale avrebbe trascorso la maggior parte della sua vita e nella quale successivamente anche Hindemith avrebbe passato anni decisivi della sua esistenza. Busoni era allora ancora un giovane musicista ambizioso e irrequieto, che si proponeva soprattutto di diventare un grande virtuoso di pianoforte. Solo dopo aver raggiunto questo traguardo, la sua attività tese a concentrarsi sulla messa a punto di uno stile compositivo proprio, attraverso non soltanto la creazione di opere di svariato genere, ma anche la definizione costruttiva di una teoria critica che potesse offrirsi come modello normativo di istanze compositive non meno che estetiche.
L’influenza esercitata da Busoni nel circolo berlinese, e su scala più vasta nella Germania e nell’Europa prima e dopo la grande guerra, è legata in primo luogo alla tenacia di un magistero didattico fertile di stimoli e di nuove prospettive (ancor più in concreto quando Busoni fu richiamato da Leo Kestenberg a Berlino nel 1920 per assumere la cattedra di composizione all’Accademia Prussiana delle Arti), ma si riflette anche nella diffusione degli scritti e nelle prese di posizione sui problemi più attuali della musica contemporanea. Anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1924, Busoni continuò ad essere un punto di riferimento per i compositori delle giovani generazioni, che proprio a Berlino, prima ancora che Hindemith vi giungesse nel 1927 per insegnare composizione alla Hochschule für Musik (accanto a Schönberg, nominato già nel ’25 successore di Busoni), avevano creato un centro cosmopolita e rigoglioso di ricerche e di attività artistiche e musicali.
Prima di analizzare nel suo complesso il rapporto fra Busoni e Hindemith nel quadro della cultura tedesca degli anni Venti, è opportuno tracciare brevemente la storia delle occasioni in cui essi furono protagonisti di un contatto diretto o indiretto, sulla base delle testimonianze di cui disponiamo. Nel suo svelto ma nient’affatto sbrigativo volumetto su Hindemitht (1), Giselher Schubert afferma che Hindemith lesse lo scritto busoniano Abbozzo di una nuova estetica della musica (2) già nel 1916: cioè quando ne uscì la seconda edizione riveduta e ampliata, quella che fu letta e fittamente postillata di note in margine da Schönberg (3) e che originò il violento attacco di Hans Pfitzner con il pamphlet Pericolo futurista (4). Schubert aggiunge testualmente che Hindemith ne rifiutò allora i tratti speculativi: “”Er lehnte damals deren spekulative Züge ab”” (5); non precisa però in che senso. La conoscenza diretta fra i due musicisti avvenne solo nel 1923, quando il Quartetto Amar, di cui Hindemith faceva parte in qualità di violista, eseguì in concerto i lavori degli allievi di Busoni Jarnach, Vogel e Weill. È di questo periodo una lettera di Busoni a Jarnach che contiene un giudizio abbastanza pesante su Hindemith e che rivela assai più di “”un rapporto distanziato””, come afferma ancora Schubert nel suo libro. Scrive dunque Busoni (da Parigi, 7 ottobre 1923):
Ricevo parecchie informazioni pessimistiche su Berlino e conosco parte degli inconvenienti per esperienza personale. Ella li ammette tutti, ad eccezione di quel che riguarda Hindemith, che Ella difende lealmente. – So bene che col mio giudizio “”butto via il bambino con l’acqua sporca””; ma, come ho avuto occasione di sperimentare, l’efficacia dell’affermazione diminuisce se si fanno concessioni. Fa effetto solo se viene annunciata recisamente, come è successo nel Suo caso. Ma devo protestare quando Ella parla di un mio atteggiamento preconcetto che mi fa vedere le cose sotto una certa prospettiva. Un atteggiamento preconcetto significherebbe un partito preso, una specializzazione, oppure ostinazione. Ma nemmeno essa potrebbe ridurre “”il mondo a un mucchio di rottami””, perché me lo trovo già davanti in questo stato. Nella musica non esiste una sola opera perfetta. Perciò si può accettare solo quel che sorpassa quanto già esiste o introduce tentativi nuovi, fruttuosi, oppure indica la volontà di perseguire uno di questi due scopi. – Ammetto senz’altro che il Suo protetto abbia talento; ma questo è solo il presupposto essenziale per diventare un artista. E ancora una volta devo menzionare Mozart, il quale, come sappiamo, poneva la massima cura nel risolvere ogni problema e, in verità, non era meno dotato del nostro collega che sguazza nella musica; comporre è per lui altrettanto naturale come abbaiare per un cane o cantare per un gallo. Ed Ella chiama questo un atteggiamento preconcetto! Quel che deploro è il chiasso che si fa intorno al suonatore di viola compositore, chiasso che rafforza la sua convinzione di essere ormai un maestro; anzi io mi mostro meglio intenzionato verso di lui che non i suoi ammiratori (6).
Già due anni prima Busoni aveva avuto occasione, scrivendo allo Jarnach, di soffermarsi su Hindemith, prendendo spunto dal clamore suscitato dalle rappresentazioni della sua opera Mörder, Hoffnung der Frauen (Assassino, speranza delle donne) la cui prima assoluta aveva avuto luogo a Stoccarda nel giugno 1921. Busoni si era espresso allora con ancora maggior durezza (da Berlino, 22 agosto 1921):
Il “”talento effervescente”” e la “”frenetica indipendenza”” dell’ancor mitico Indù mi hanno fatto un po’ sorridere. Ha commesso un errore di gusto, di cui mi devo ancora riavere: ha “”musicato”” uno di quegli inqualificabili tentativi dilettanteschi (un così detto dramma) del pittore Kokoschka, facendone un’… Opera (7).
Se consideriamo questo aspro giudizio di Busoni alla luce dei suoi scritti di quegli anni e nel quadro più globale della sua poetica e delle sue opere, è chiaro che esso non avrebbe potuto essere diverso nella sostanza; quanto alla forma, esso è tipico dello spirito un po’ inacidito degli ultimi anni. Niente era più estraneo a Busoni della temperie espressionista nella quale si muoveva Hindemith, e dello stato d’animo che agitava quell’arte di avanguardia “”provocatoria”” e all’apparenza irriverente verso la tradizione. Il disprezzo per il suonatore di viola compositore si mescolava a quello per i tentativi dilettanteschi di un pittore delirante, verso i quali l’aristocratico e distinto Busoni – lui che tanto sapeva di aver dovuto lottare per raggiungere un rango degno dell’artista creatore – non poteva non nutrire dall’alto di un atteggiamento perfino snobistico un’istintiva, radicale diffidenza. Si trattava davvero di un ineliminabile preconcetto, come Jarnach, che pure condivideva molte delle tesi di Busoni, aveva palesamente compreso, suscitando le ire del maestro.
Già nel gennaio 1920 del resto Busoni aveva lanciato nel mondo la sua idea di una “”Junge Klassizität””: di una nuova, giovane classicità. Molte delle osservazioni negative con le quali egli stigmatizzava gli eccessi vistosi di singoli esperimenti che sfociano nella caricatura (8) potrebbero benissimo riferirsi anche a Hindemith. Ancora più esplicita è in questo senso la “”Lettera musicale aperta”” indirizzata il 17 gennaio 1922 al direttore della rivista Melos Fritz Windisch. La condanna del neoespressionismo è ribadita e approfondita, sino a divenire quasi ideologica; la chiusa del saggio è poi una perorazione volta a negare per l’ennesima volta che il diritto dell’individualità si identifichi con la manifestazione impertinente di qualsiasi scalzacane (un cane che abbaia gli apparirà infatti Hindemith):
Ben lontano da sconsigliare di accogliere nel laboratorio dei nostri possibili procedimenti qualunque mezzo efficace, pretendo però che sia impiegato in modo estetico e sensato; che le proporzioni delle misure, delle sonorità e degli intervalli siano distribuite con arte, che una creazione – in qualsiasi modo impostata e di qualsiasi carattere – si elevi all’altezza della classicità, nel senso originario di perfezione compiuta (9).
Se noi osserviamo anche solo di sfuggita la produzione hindemithiana di questi anni, anche prescindendo dal teatro e dalle sue opere espressioniste, difficilmente potremo ritrovare in essa una realizzazione anche parziale degli ideali di Busoni. Opere come la prima Kammermusik e ancor più la Suite 1922 per pianoforte appaiono esattamente agli antipodi della concezione busoniana di un’arte olimpica, capace di presentarsi racchiusa in forme solide e belle. Si pensa con pena a quale sarebbe stato il suo orrore nel leggere le famosi istruzioni per l’uso nell’esecuzione del Ragtime che chiude la Suite 1922:
Non aver riguardo per ciò che hai appreso durante la lezione di pianoforte Non stare a pensare se tu debba suonare il re diesis con quarto o col sesto dito Esegui questo pezzo molto selvaggiamente, ma sempre mantenendo rigorosamente il ritmo, come una macchina. Considera il pianoforte come una interessante specie di strumento a percussione e agisci di conseguenza.
Sicuramente Busoni, che pazientemente, dall’””alto”” della sua esperienza, si era sforzato di convincere Schönberg della necessità di correggere la scrittura pianistica del secondo pezzo dell’op. 11 per renderla più accessibile al pubblico, più proporzionata ed equilibrata (10), di fronte a simili affermazioni si sarebbe ritratto non meno che indignato sull’abisso dello Zeitgeschehen: rimuginando amaramente (o sarcasticamente, a seconda dell’umore) sui tempi che corrono. (Si veda lo scritto che reca questo titolo e le considerazioni musicali sul flusso del tempo(11)).
Nemico giurato dell’avanguardia intesa soprattutto come stato d’animo e come “”tendenza””, cui opponeva la fiducia in qualcosa di stabile e di permanente, nella continuità della compiutezza classica che non rifiutava però alcun mezzo di espressione e di arricchimento linguistico, Busoni dimenticava di esser stato anche lui, pressappoco alla stessa età che aveva allora Hindemith, un artista di avanguardia: come pianista, soprattutto, ma anche come compositore. Solo che i tempi erano profondamente cambiati. L’avversione di Busoni per il tipo di compositore rappresentato dal giovane Hindemith era di natura tanto generazionale quanto storica. Lo Stuckenschmidt ha definito con parole molto semplici e tuttavia calzanti l’aspetto caratteristico di questo salto generazionale e storico:
Questa gioventù vedeva il mondo con occhi tutti diversi da quelli della generazione che l’aveva preceduta. Fino dall’adolescenza aveva dovuto conoscere la miseria, i pericoli, la fame della prima guerra mondiale. Poi, nel 1918, era avvenuto il grande crollo di un mondo: lo smascheramento di migliaia di menzogne della propaganda, la liquidazione di potenti imperi, il ripristino di collega-menti con un mondo esterno, dal quale si era vissuti per anni isolati. Nessuna legge tramandata sembrava aver più valore; Dio era morto, la patria era un cumulo di macerie morali. Dominati da uno strapotente complesso di ribellione, si credeva di poter creare di nuovo la cultura. […] Hindemith sente di appartenere al poderoso movimento di avanguardia, che inquieta l’Europa suscitando approvazioni e riserve (12).
Da parte di Busoni, appunto, soprattutto riserve. Busoni morì troppo presto per rivedere il suo giudizio alla luce di quello che Hindemith sarebbe diventato nella cultura tedesca, e berlinese in particolare, degli anni Venti. E tanto più paradossale sembra perciò il fatto che proprio Hindemith assumesse su di sé gran parte dell’eredità e delle posizioni per così dire dinamicamente conservatrici di Busoni, con la stessa autorevolezza e lungimiranza. Per farlo ricredere, forse sarebbe bastata un’opera come Cardillac, con il suo rifarsi a E.T.A Hoffmann: quello stesso Hoffmann da cui Busoni aveva tratto il soggetto della sua prima opera teatrale, La sposa sorteggiata, con la sua limpida drammaturgia sorretta dall’adozione di forme chiuse, di pantomime, di marce e canzoni, riflessa nello specchio magico o deformante del soprannaturale e dell’innaturale.
Esiste così una seconda fase dei rapporti fra Busoni e Hindemith, la cui data d’inizio coincide con la morte di Busoni e che si prolunga poi negli anni berlinesi di Hindemith. Essa è all’insegna di quel movimento che in campo figurativo prese il nome di Neue Sachlichkeit e che in musica ebbe ripercussioni in un deciso e coerente antiromanticismo, volto a recuperare il valore assolutamente autosufficiente e autosignificante delle forme compositive. La “”Nuova classicità”” di Busoni del resto conteneva già il seme di quella generale reazione antiespressionista che si sarebbe affermata nella vita musicale tedesca in modo decisamente polemico con Weill e Kfenek, e in modo più meditato e conciliante in Hindemith. L’esigenza di un””‘oggettività”” musicale era anzi il punto di arrivo della appassionata requisitoria busoniana: “”Un terzo elemento, non meno importante, è il rinnegamento della “”sensualità”” e la rinuncia al “”soggettivismo”” (la via verso l’oggettività – il ritrovarsi dell’autore di fronte all’opera – una via di purificazione, un cammino duro, una prova dell’acqua e del fuoco), la riconquista della serenità”” (13). In questo generale cambio di prospettiva nella musica tedesca degli anni Venti, che Busoni aveva in un certo senso previsto e anticipato, Hindemith ha un ruolo di primo piano proprio nel modo in cui si distacca dalla corrente principale del Neo-classicismo per affermare il valore della categoria dell’oggettività in senso costruttivo e positivo, come estensione e potenziamento degli elementi costitutivi del linguaggio musicale in una sfera architettonica e razionale; aperta però sull’ignoto. Polemizzando con Schönberg, Busoni aveva affermato che il vero compito della musica è la rappresentazione della sfera; alla stessa conclusione sarebbe giunto anche Hindemith, che avrebbe persino cercato di realizzare questa idea componendo un’opera, Die Harmonie der Welt [L’armonia del mondo], la sua ultima, che presenta molti significativi agganci anche a livello strutturale con il testamento artistico e teatrale di Busoni, il Doktor Faust.
La via di purificazione, la riconquista della serenità, antidoti al delirio espressionista e alla disgregazione della forma, trovano tanto in Busoni quanto in Hindemith un punto di incontro non meno significativo nel ritorno a Bach. Ritorno che è in realtà l’individuazione di un punto focale da cui ripartire per sviluppare principi essenziali della dottrina del comporre, secondo una prospettiva tutt’altro che chiusa nell’imitazione o nel gioco delle forme. Quello spremere valori essenziali della logica musicale si risolve in un atteggiamento fondamentalmente polifonico, in una polifonia sviluppata, ma non complicata, al massimo grado. Sembra anzi che uno degli elementi della “”nuova classicità”” busoniana, identificato nel “”distacco definitivo dal tematismo””, e nel “”rinnovato impiego della melodia (non nel senso di motivo orecchiabile) quale dominatrice di tutte le voci, di tutti gli impulsi, supporto dell’idea e genitrice dell’armonia”” (14), abbia trovato in Hindemith una realizzazione più definita e compiuta che in Busoni stesso. Da questo punto di vista Hindemith può ben dirsi un continuatore e un perfezionatore della via lasciata aperta e appena tracciata da Busoni compositore.
Nella Unterweisung im Tonsatz [Regola del comporre] Hindemith propone un nuovo ordinamento del sistema musicale basato su funzioni e gerarchie intrinseche alla qualità naturale dei suoni. Qui egli sembra tutt’altro che rifiutare i tratti speculativi di Busoni e accoglierne anzi alcuni motivi di natura teorica e concettuale, ivi compresa una certa tendenza al misticismo e all’astrazione numerica. Si può essere d’accordo con Guido Turchi quando scrive che “”ponendo la musica in un ordine metafisico, che trascende le mutevoli vicissitudini della vita pratica, le episodiche avventure delle mode e delle tendenze, Hindemith ha anche inteso salvarla dagli attentati a certe sue leggi da lui ritenute vitali e immutabili, intrinseche. alla natura stessa dei suoni, alla loro fisica costituzione”” (15). Questa affermazione potrebbe adattarsi anche a Busoni: l’atteggiamento dei due musicisti, pur con le dovute differenze, converge verso un recupero dei valori e dei modelli normativi della tradizione musicale (nel senso di una ritrovata classicità) senza per questo rinunciare a porsi il problema di un linguaggio moderno e aperto a nuove acquisizioni. Conservazione e progresso appaiono così i poli congiunti che legano il passato al futuro in una ininterrotta continuità, nel segno di una testimonianza attuale, radicata nella contemporaneità, ma pregna di contenuti ideali e spirituali che trascendono la realtà stessa delle singoli creazioni artistiche. E quanto accade per esempio, con significativi rispecchia-menti, nelle due opere più impegnate e quasi autobiografiche di Hindemith e Busoni, cioè Mathis der Maler [Mathis, il pittore] e Doktor Faust: opere nelle quali la forza del pensiero e la densità dei temi trattati, con le implicazioni di varia natura ad essi sottese, travalica e sommerge la pur alta qualità della realizzazione musicale concreta.
E possibile individuare alcuni punti fermi comuni nella poetica matura dei due compositori. La rivalutazione del fattore melodico come risultato di una depurazione e di una riduzione all’essenza dell’elemento espressivo, entro proporzioni nitide, limpide e luminose, liberate dalle tensioni soggettive ma non per questo prive di sostanza; il superamento della dicotomia fra “”maggiore”” e “”minore””, strettamente connesso al progressivo inserimento di gradi cromatici nell’orbita diatonica, a creare un nuovo ordine modale, di cui è conseguenza il riconoscimento di un numero esteso di scale nella fondamentale unità del sistema sonoro. Ancora più evidente è l’importanza costruttiva e formativa assegnata ai principi polifonici, con tutto l’apparato tecnico degli artifici e dei nessi contrappuntistici quali si riscontrano nelle infinite possibilità offerte dalla forma polifonica per eccellenza, la fuga: mezzo rigoroso e insieme illimitato per combinare l’esigenza di una logica coerente e controllata del discorso con l’elasticità e la flessibilità dell’inventiva, libera di spaziare nei territori della fantasia senza perdere l’orientamento e la relazione. E a questo ampio paradigma di valori e qualità sonore si subordinano, di volta in volta, gli elementi melodici, ritmici, armonici e tonali, in una aspirazione alla totalità del risultato artistico.
Un confronto analitico fra il Ludus tonalis, opera riassuntiva delle sperimentazioni teoriche e pratiche di Hindemith, e la Klavierübung di Busoni, che raccoglie i saggi della sua ultima stagione creativa volti a definire lo stile pianistico e compositivo della nuova classicità, rivela la fondamentale identità di una ricerca mirante a codificare, proprio come aveva fatto Bach nel suo tempo, le esperienze compiute per fissarle in qualcosa di stabile,di universalmente valido e istruttivo. Si tratta di opere che chiudono un’epoca, tendendo a individuare i punti critici di un nuovo sviluppo della composizione. Questi due testamenti spirituali segnano anche il raggiungimento di una maturità che anziché accumulare le esperienze e moltiplicarle tende sempre più a ridurle all’essenza di valori elementari: i principi stessi della dottrina del comporre alla luce di una visione radicata nella evoluzione della musica del Novecento.
Per giungere a questa meta tanto Busoni quanto Hindemith dovettero imporsi di disciplinare lo straordinario talento istintivo della loro natura. La rinuncia alla facilità e alla immediatezza di una musicalità prorompente, che agiva quasi di per se stessa in ambito creativo, acuì il senso di responsabilità, aumentò lo spessore e la densità del pensiero, l’acume della ricerca e la lucidità dell’analisi, e nello stesso tempo l’aspirazione alla sintesi: individuando alla fine utopiche certezze e valori sentiti come universali.
Questa trasformazione è strettamente connessa con il processo evolutivo della società e della cultura tedesca negli anni Venti e si inserisce in quel generale processo, di ricostruzione prima, stabilizzazione poi, che seguì alla rovina della guerra e attraversò le alterne vicende della Repubblica di Weimar. Resta da definire il ruolo che musicisti come Busoni e Hindemith ebbero in questo paesaggio mosso ed estremamente contraddittorio. Una cosa è certa: non è con formule spicce alla Adorno o alla Pfitzner, tanto opposte da risultare alla fine coincidenti, che il problema può essere ancora oggi liquidato. Al contrario, Busoni e Hindemith sembrano nascere proprio da quelle contraddizioni irrisolte, testimoni di una ridefinizione delle leggi costitutive della musica tra rinnovamento e conservazione.
NOTE
(1) SCHUBERT G., Hindemith, Hamburg, 1981.
(2) BUSONI F., Entwurf einer neuen Aesthetik der Tonkunst, Trieste 1907 (II edizione ampliata, Lipsia, 1916).
(3) L’Inselverlag ha pubblicato nel 1974 un fac-simile della copia dell’Entwurf appartenuta a Schönberg, con copiose note in margine dello stesso, a cura di STUCKENSCHMIDT H.H.
(4) PFITZNER H., Futuristengefahr, Monaco 1917 (trad. it. in appendice a SABLICH S., Busoni, Torino 1982).
(5) SCHUBERT G., op.cit., p. 58.
(6) BUSONI F., Lettere, raccolte e annotate da Antony Beaumont (ed.ital. a cura di SABLICH S., trad. di Dallapiccola L., Milano, 1988).
(7) Ibid.
(8) BUSONI F., “”Nuova classicità””, Lo sguardo lieto. Tutti gli scritti sulla musica e le arti, a cura di F. D’AMICO, Milano, 1977, p. 113.
(9) BUSONI F., “”Lettera musicale aperta””, in Lo sguardo lieto, cit., p. 135-136.
(10) Anche il carteggio Busoni-Schönberg è tradotto nella edizione italiana delle lettere di Busoni, op.cit. (orig. in Beiträge zur Musikwissenschaft, XIX, 3, 1977, a cura di J. THEURICH). Il riferimento si trova nelle lettere 6-12.
(11) BUSONI F., “”Il flusso del tempo, considerazioni musicali””, in Lo sguardo lieto, cit., pp. 145-147.
(12) STUCKENSCHMIDT H.H.,
(13) BUSONI F., “Nuova classicità”, cit., p. 114.
(14) Ibid.
(15) TURCHI G., “Paul Hindemith”, L’approdo musicale, I, 3, luglio-settembre 1958, Torino, p. 49.
Da Paul Hindemith nella cultura tedesca degli Anni Venti, Milano, Convegno Internazionale, Teatro alla Scala 25-27 maggio 1987, Edizioni Unicopli