R. Wagner – Porazzi-tema; Romeo e Giulietta, frammento; A. Tessarin – ore melanconiche; G. Sgambati – gavotta in la bem. min. op. 14; F. Nietzsche – ungarischer Marsch (marcia ungherese); im Mondschein auf der Puszta (chiaro di luna sulla Puszta); due danze polacche (mazurka; aus der Czarda); S. Wagner – preludio e duetto da Der Bärenhäuter (Il poltrone); J. Rubinstein – Quadri musicali da Wagner l’anello dei Nibelunghi; H. von Bülow – parafrasi da “I Maestri Cantori di Norimberga” ; – Tarantella da “Il carnevale di Milano” op. 21; F. Liszt – am Grabe Richard Wagners (sulla tomba di Richard Wagner); Richard Wagner-Venezia; ballata da “L’olandese volante” di Richard Wagner, parafrasi da concerto.
Abituati a considerare l’Ottocento come l’epoca delle grandi vette, delle cime colossali dal bagliore accecante, dimentichiamo sovente che esso è stato anche il secolo nel quale l’esperienza musicale, non da ultimo sotto l’apetto creativo, ha avuto una diffusione pressoché universale, in una misura prima sconosciuta. Il fenomeno del dilettantismo borghese da un lato, quello del trionfante virtuosismo dall’altro, sono le due facce opposte e complementari di un interesse per la musica promosso dalle nuove istanze romantiche, ma favorito anche dal desiderio di partecipare in prima persona ai fervori di lotte, rinnovamenti, conoscenze, scoperte, magari con motivazioni o scopi diversi, spesso contrastanti.
In questo panorama il fenomeno Wagner ha un rilievo tutto speciale. Nessun altro musicista dell’Ottocento seppe attirare su di sé tanta e tale mole di interessi, di attrazioni e di ripulse, creare intorno a sé una cerchia così vasta ed eterogenea di fedelissimi sostenitori; incidere, dai punti di vista più diversi, sul mondo circostante, che lui prese, nel bene come nel male, a modello. La storia di Wagner, la sua stessa fortuna sono legate in modo stretto a questo contorno di molteplici presenze che, mosse dall’imitazione o semplicemente influenzate dal suo esempio, ne spiegano in forma indiretta la straordinaria, quasi unica forza soggiogante.
Il programma di questo concerto – vera delizia di prelibate raffinatezze -getta un chiarore assai affascinante sugli sfondi del mondo wagneriano. Simbolicamente, e non per caso, esso si apre con due brevi, quasi sconosciute pagine dello stesso Wagner: il Porazzi-Tema, l’ultima sua composizione, schizzata ai tempi del Tristano e messa definitivamente su carta a Palermo nel febbraio 1882, e un frammento di Romeo e Giulietta, ulteriore prova di quell’amore per Shakespeare che, se non giunse a essere creativo, mai cessò di accompagnare il musicista. Altrettanto simbolicamente, il concerto si chiude con tre fra le più alte pagine di Liszt, quasi a stabilire una continuità ideale fra Wagner e colui che più gli fu vicino in vita e che meglio seppe comprenderne il messaggio, facendone tesoro e adeguandolo alla propria personalità di compositore.
In mezzo, i satelliti. Quelli che splendendo di luce riflessa testimoniarono in forme diverse, e con diversi risultati, il loro tributo al grande, venerato Maestro. Angelo Tessarin (1834-1909), veneziano, con Ore melanconiche ci dà un esempio di suggestioni wagneriane tanto intimamente vissute e sentite quanto, sul piano linguistico, ridotte a termini, se non proprio minimi, certo modesti. Giovanni Sgambati (1841-1914), musicista assai più robusto e sensibile, mostra nella Gavotta in la bemolle minore di aver filtrato l’esperienza wagneriana attraverso l’insegnamento di Liszt, che fu anche in vita suo maestro. Abbandonata l’area italiana, si passa in quella tedesca con alcuni pezzi pianistici di Friedrich Nietzsche, sommo protagonista della battaglia wagneriana ed emblematicamente militante su versanti opposti, prima fra i paladini più accesi e poi fra i nemici più implacabili. Benché in questi ultimi anni si sia tentata una riscoperta dell’attività compositiva di Nietzsche, la promozione si è rivelata pressoché fallimentare: le sue musiche non escono dal piano di una sbiadita convenzionalità nutrita di formule e atteggiamenti ora popolareggianti ora sentimentali, specchio di un dilettantismo tanto ambizioso quanto povero d’idee. Insomma, l’esatto contrario del Nietzsche pensatore.
Con Siegfried Wagner ci si addentra invece nel terreno che porta direttamente l’influenza e il peso dell’eredità di Wagner. Siegfried, terzogenito di Richard, unico maschio e quindi unico erede nella conduzione di Bayreuth, come compositore non si distanzia molto dai confini di un rutilante epigonismo, quasi avesse imparato, dal padre, soprattutto l’arte di stupire, di “”far la voce grossa”” a suon di effetti, senza del padre avere, è chiaro, la caratura artistica. Di ben maggior valore sono invece i pezzi pianistici di Joseph Rubinstein e di Hans von Bülow; giacché qui, se non altro, si avverte la mano di pianisti d’eccezione, in grado di dare alle loro ricreazioni wagneriane una adeguata veste strumentale. Il russo Joseph Rubinstein (1847-1884), per molti anni famulus di Wagner a Bayreuth e quasi suo pianista personale, tenta di fermare in “”immagini musicali”” qualche impressione ricavata dalla massiccia epopea nibelungica, cogliendo, soprattutto nel primo pezzo (Sigfrido e le figlie del Reno), il clima arioso e luminoso, ma percorso di brividi inquietanti, dell’originale. Quanto ad Hans von Bülow, pianista e direttore d’orchestra di primissimo rango, tutti sanno che fu un tragico protagonista della biografia di Wagner, che a lui tolse la moglie, Cosima, e le figlie; ma rimase per tutta la vita attaccato all’arte wagneriana, che egli seppe comprendere e interpretare come pochi altri. Bülow è forse l’unico ad averci dato una parafrasi da concerto – ispirata ai Maestri cantori di Norimberga – degna del suo maestro Liszt; rivelando anche nella Tarantella dal Carnevale di Milano op. 21 una vena originale di inventiva e di gusto del tutto fuori dal comune.
Liszt, infine. In un ideale percorso a ritroso, del grande virtuoso e compositore sono presentate tre fra le pagine più alte, profetiche e geniali. Am Grabe Richard Wagners (Sulla tomba di Richard Wagner) e Richard Wagner-Venezia, composte ambedue nel 1883, rappresentano l’ultima sponda dell’arte pianistica lisztiana e, fortemente influenzate dal commosso ricordo dell’amico scomparso, si inoltrano in territori linguistici di drastica sperimentazione e dì assoluta novità espressiva: quasi una musica del silenzio. La parafrasi dall’Olandese volante – l’opera con la quale Wagner per la prima volta aveva riconosciuto se stesso e la sua strada – è invece il frutto di una fantasia ancora giovanilmente esuberante, scatenata, brillante, entusiasta di comunicare le proprie e altrui scoperte. Composta nel 1850, essa si basa sulla grande ballata di Senta del secondo atto – ad un tempo nucleo originario e momento culminante del dramma wagneriano -, ed è, con la stupenda appendice del coro delle filatrici arrangiato per pianoforte dieci anni dopo, una delle più strabilianti dimostrazioni dell’affinità elettiva e dell’intima complementarità che legava, e legò fino alla morte, i due artisti.
Rita Verardi
Teatro Comunale di Ferrara, Richard Wagner 1813/1883