Pochi compositori del nostro secolo hanno coltivato come Prokof’ev le forme della tradizione classica. A testimoniarlo stanno non soltanto i titoli di molte sue composizioni – le Sinfonie, i Concerti, le Sonate, i Quartetti e via dicendo – ma soprattutto il trattamento della materia musicale. Ogniqualvolta Prokof’ev affronta uno di questi generi, lo fa nel fondamentale rispetto dei principi non soltanto nominali che li governano – seminando a piene mani le proprie doti più autentiche: che sono quelle di un magistero tecnico di prim’ordine – ma anche della chiarezza d’idee e di una capacità creativa innata. Il tratto personale di Prokof’ev s’inscrive tutto all’interno della musica, scava a fondo nella sostanza lasciando intatto l’involucro esterno. La sua modernità si rivela non tanto nella critica alle convenzioni quanto nell’adeguamento della soggettività alla disciplina della forma, in un atteggiamento costruttivo che consapevolmente accetta il confronto con la storia e lascia trasparire semmai sullo sfondo un distacco venato di originalità.
Il giovanile Concerto per violino e orchestra in re maggiore, composto nel 1916-17, mostra esplicitamente questi legami ma è anche un ripensamento della tradizione alla ricerca di una rapida maturazione stilistica. I momenti migliori li raggiunge là dove il solista, stagliandosi su un’orchestra mobilissima e variegata, si addentra in una vegetazione di suoni rari, d’immagini fantastiche e di luminose fioriture. Qui Prokof’ev offre spazio al lato più puramente lirico della sua ispirazione, sospendendosi in assorte melodie che tendono all’oggettività. Questo carattere del Concerto si presenta fin dall’inizio, nella intimità raccolta che apre il primo movimento, Andantino: un tema “”sognante””, pieno d’incanti armonici, sale lentamente verso le regioni acute, dipanandosi con semplicità, sostenuto dal tenue accompagnamento dell’orchestra. Ribaltando la disposizione tradizionale Prokof’ev pone all’inizio e alla fine, come primo e terzo movimento, due tempi lenti; lasciando al vivacissimo Scherzo centrale il compito di rappresentare un vivido contrasto sia timbrico (con il rilievo degli ottoni e delle percussioni) sia espressivo. Nello Scherzo si assiste a una girandola di suoni su un tema di schietta matrice popolare, in un intreccio di figurazioni incisivamente sbalzate nel ritmo. Il Finale (in tempo moderato) ritorna al clima eminentemente lirico del primo movimento caratterizzato da un dialogo più partecipe con l’orchestra, in una veste timbrica che aderisce con l’essenzialità del colore all’articolazione delle parti. Il Concerto si chiude così in un’atmosfera assai delicata e rarefatta, fra i trilli del solista che ornano la ripresa del tema principale nel diafano registro sovracuto.
Lorin Maazel / Frank Peter Zimmermann, Orchestra Filarmonica della Scala
Teatro alla Scala, Stagione 1991-92