Fryderyk Chopin – Berceuse op. 57

F

L’unicum della Berceuse nasconde alquanti misteri; dalla data di composizione (probabilmente il 1844, forse in parte il 1843) al titolo stesso, che assunse la forma definitiva solo nella pubblicazione del 1845, spostando l’accento dal tratto oggettivamente compositivo a quello più affettuosamente espressivo (il primo titolo era infatti Varianti: straordinaria anticipazione di sviluppi novecenteschi). Opera, nella sua trasparente semplicità, tra le più sperimentali di Chopin, la Berceuse è formalmente costituita da una serie di variazioni (quattordici) su un tema originale (ossia di Chopin stesso) di quattro battute, preceduto da due misure introduttive che presentano, da solo, il basso ostinato caratteristico, quasi motto che giustifica il titolo; più, alla fine, una enigmatica Codetta di otto battute.

Si potrebbe dire che il lavoro è costituito come un campo di potenziali varianti; sicché l’idea stessa di variazione, anziché riconnettersi a quella classica di una progressiva espansione degli elementi di partenza, si avvicina piuttosto, assai modernamente, a una ipotesi virtuale di formanti, in un’ottica spazio-temporale allargata, come nelle atmosfere irreali di un sogno. L’impressione di una continua divagazione tra i percorsi della memoria che si intersecano e si sovrappongono, riposa altrettanto evidentemente su una meticolosa cura architettonica, rivolta non tanto al riempimento e alla accumulazione quanto alla rarefazione e alla decantazione; al punto che risulta arduo distinguere la sostanza tematica dall’ornamentazione, il crescendo dalla dissolvenza. Alla estatica immobilità di un basso ostinato fisso come per ipnosi su tonica e dominante di re bemolle (eccettuate un paio di battute prima della fine) si oppone la melodia arabescata e vagamente improvvisata della mano destra, come in una ninna-nanna cullante per chi già soglia; e mai vorremmo addormentarci perdendo quel sogno.


Maurizio Pollini
Ravenna Festival 1996

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