Robert Schumann – Allegro op. 8

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Dopo il ritorno a Lipsia per riprendere lo studio del pianoforte di Friedrich Wieck, la vita di Schumann si avviava verso urta svolta decisiva. L’idealizzazione dell’ambiente in cui maturarono le esperienze eli quel periodo tumultuoso si concretizzò nella Lega dei Fratelli di Davide, dove per la prima volta Schumann dava nomi poetici alle persone, reali o immaginarie, che lo circondavano; Maestro Raro a Wieck, Cilia a Clara, Eusebio e Florestano a se stesso. Con la fondazione della Neue Zeitschrift für Musik, alla fine del 1833, l’attività critica animata dall’impegno a “far tornare in onore la poesia dell’arte”, si intrecciò con quella del compositore, alla esaltante scoperta del mondo circostante e di se stesso. Il primo nome nel quale Schumann riconobbe attraverso la sola poesia della musica i connotati del genio fu quello di Chopin; la recensione delle Variazioni op. 2 di Chopin (apparsa per la prima volta nel dicembre del 1831 sulla Allgemeine Musikalische Zeitung di Lipsia, venne simbolicamente premessa alla raccolta degli scritti curata dall’autore come esempio di articolo programmatico che dettava le coordinate non solo dell’epifania del genio, ma anche della verità della sua aspirazione, della forza della sua maestria. Il polacco Chopin reagì all’entusiasmo del suo ammiratore tedesco con un riserbo stupito e ironico. Il 1831 è anche l’anno di composizione dell’Allegro in si minore per pianoforte, che nonostante il numero d’opus (la pubblicazione avverrà soltanto nel 1834) è un’opera prima a tutti gli effètti. Essa si ricollega non soltanto all’interesse per i problemi tecnici e virtuosistici dello strumento pianoforte suscitato dall’esempio di Paganini sul violino, ma anche agli stridi teorici di composizione con Heinrich Dorn, a quel tempo direttore musicale a Lipsia, rivolti soprattutto a sviluppare la sensibilità armonica in stretta unione con la condotta contrappuntistica delle parti. Di questi due aspetti l’opera è pervasa nella sua sostanza prima ancora che nella realizzazione, sovrabbondante di slanci e di idee a stento incanalate in una definizione unitaria. L’impressione è che, da un lato, miri a fare piazza pulita di ogni schematizzazione precostituita di tempi e spazi sonori, dall’altro ricerchi un ordine e una disciplina appoggiandosi nei momenti di più pericolosa anarchia alla tenuta costruttiva del fugato. Da queste opposte istanze, che troveranno presto una via di conciliazione nella poetica dei cicli e nella versatilità delle variazioni, la pagina riceve il silo carattere aspro, scabro, primitivo, quasi brutale; ancora lontano da quella “”nobile pacatezza sacerdotale”” che sarà uno degli ideali di Schumann, ma proprio per questo intensanumte vissuto e spontaneamente estremo.

Maurizio Pollini
Ravenna Festival 1996

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