Richard Wagner – Tristan und Isolde, II atto dal dramma musicale in tre atti

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«Poiché in vita mia non ho mai gustato la vera felicità dell’amore, voglio erigere al più bello dei miei sogni un monumento nel quale dal principio alla fine sfogherò appieno questo amore. Ho sbozzalo nella mia testa un Tristano e Isotta; un concetto musicale della massima semplicità, ma puro sangue; col bruno vessillo che sventola in fine del dramma, voglio avvolgermi per morire!». Benché questo passaggio della lettera scritta da Wagner a Franz Liszt nel dicembre 1854 da Zurigo sia ultrafamoso e stracitato, è impossibile prescinderne in qualsiasi nota che si occupi del Tristano: giacché esso è insieme premessa ed epigrafe dell’opera teatrale piú sconvolgente che sia mai stata composta, erede della tragedia classica e intimamente rivoluzionaria negli accenti, punto di non ritorno nella storia dell’opera romantica e punto di partenza di tutta la musica moderna. Tre anni prima di iniziarne la stesura, nel pieno del travaglio creativo dell’Anello del Nibelungo, allora giunto quasi alla fine della Valchiria, Wagner non soltanto comunicava all’artista fratello l’idea generatrice di un progetto, ma all’amico confidava anche uno stato d’animo, un sentimento pronto a realizzarsi con evidenza assoluta. Tristan und Isolde è il sogno artistico di un amore ideale, e come tale oggettiva nell’opera d’arte, trasfigurandolo, un impulso che nessuna realtà è in grado di contenere. Oltre che sentimento, è espressione di una visione del mondo intrisa di profondo pessimismo, legata a una stagione irripetibile della vita, nella quale la stessa esperienza vissuta, nelle forme più diverse, si interiorizza e si trascende nell’urgenza di definire un valore altrimenti irraggiungibile: la perpetua mobilità di un desiderio, di un sogno senza tempo né spazio, al di là non solo della storia ma anche del mito.

Solo in questo rapporto acquistano il loro significato le due esperienze concomitanti vissute dall’autore negli anni della nascita del Tristano, tra la fine del 1857 e l’agosto 1859. Da un lato la burrascosa vicenda sentimentale che lo legò a Mathilde Wesendonk, moglie del ricco commerciante svizzero presso il quale Wagner aveva trovato ospitalità in uno dei periodi piú cupi del suo esilio; dall’altro l’approfondimento dell’opera capitale di Schopenhauer, Il mondo come volontà o rappresentazione, nella quale Wagner trovò, più ancora che la chiarificazione filosofica di una concezione del mondo (la negazione della volontà di vivere nell’innata tragedia del cosmo), una potente intensificazione a creare, riscattando dalla tragica illusorietà del mondo interiore il piú ispirato anelito alla vita e all’amore.

Wagner ricavò l’argomento del Tristano da un poema del XIII secolo del Minnesänger tedesco Gottfried von Strassburg, che aveva rielaborato, su fonti disparate del secolo precedente, un’antica leggenda di probabile origine celtica. Nel poema di Wagner, compiuto a Zurigo tra l’aprile e il settembre 1857, gli antefatti, piuttosto complicati e ricchi di digressioni, sono affidati al racconto di Isolde nella scena centrale del primo atto, in forma tanto concisa quanto altamente drammatica: finalizzati già all’erompere dell’azione nel suo nucleo fondamentale. L’idea che Isolde covi, insieme con il desiderio di vendetta per l’uccisione di Morold da parte di Tristan, anche la fiamma di un amore inconscio per colui che l’ha gradita. si fa strada a poco a poco nelle sue terribili e disperate invocazioni: e tuttavia il nodo centrale è rappresentalo dal simbolo del filtro magico, su cui si innesta. sul piano del testo poetico, un tratto quanto mai ambiguo di psicologia Tristan e Isolde bevono la pozione credendo di darsi la morte; in realtà Brangäne ha sostituito a loro insaputa il filtro di morte con quello d’amore: e ciò spiega senza fratture apparenti l’improvviso accendersi della passione. Ma per quanto il tema del filtro magico faccia parte del retroterra piú consueto di un poema medioevale, e non solo di quello qui preso a riferimento, Wagner insinua un dubbio che mette in altra luce il destino dei due amanti: Tristan e Isolde possono finalmente abbandonarsi alla passione che già è presente nei loro cuori nel momento in cui sanno di morire. In altre parole, si rivelano l’uno all’altro consapevolmente, per consegnarsi alla morte non prima di aver riconosciuto il loro amore.

Il vero dramma di Tristan e Isolde comincia con il secondo atto, ed è conseguenza non tanto di un filtro magico quanto di un destino ineluttabile che già incombeva. Essi vivono loro malgrado, ma sanno di essere consegnati alla morte, essendosi dichiarati credendo di morire. In un certo senso sono già morti: condannata a vivere e ad amare, aborriscono la luce e anelano alle tenebre. Il paradosso di questa situazione è alla base di quanto seguirà. Lo stesso tema della notte, che si trova al centro del grande duetto d’amore del secondo atto, più ancora che omaggio al culto romantico, che faceva della verità della notte opposta alla falsità del giorno uno dei cardini della propria poetica, è un presupposto necessariamente inerente allo svolgimento drammatico: una sorta di camera oscura del sogno e dell’illusione, in cui Tristan e Isolde sono costretti a rinchiudersi per continuare a vivere nascondendosi. Cacciati anche di là, il loro estremo rifugio sarà la melodia, ultima anticamera della morte: ambiente del quale Tristan, abbandonato alla sua solitudine acuita dalla malinconica melodia del pastore che gli ricorda l’infanzia, sfogherà nel terzo atto un delirio di terrificante violenza, tra dolore e ricordo, davvero proiettato sulle voragini del nulla. Che il filtro magico sia solo un trucco teatrale per rendere visibile sulla scena l’eruzione di sentimenti insondabili e profondamente inabissati nell’inconscio, lo dichiara d’altra parte la musica, in modo inequivocabile. II tema del filtro d’amore si presenta subito all’inizio del preludio, unito a quello della sofferenza – insieme privazione e desiderio d’amore – in una figura che incarna, non solo nella sua ambiguità tonale che tanti fiumi di parole ha fatto scorrere in esegeti di ogni estrazione, l’essenza stessa dell’anelito verso un ideale. Il suo scioglimento, che avviene al termine di una ‘azione’ dal flusso continuo (Handlung, così Wagner indica in testa alla partitura: non opera, né dramma musicale), nella quale prolungate sospensioni ricche di eventi interiori sono bruscamente interrotte da colpi di scena tanto improvvisi quanto esteriori, già prefigurati da quelle attese, è determinato dall’annullarsi del desiderio, ogni passione spenta, nel puro ideale: ossia nella realizzazione simbolica fuori dai confini del mondo – di ogni mondo possibile – di una condizione di pienezza assoluta e di completa liberazione. Ciò avviene non soltanto nelle ultime parole di Isolde, nelle quali la gioia di riunirsi a Tristan nella morte per amore diviene emblema di una gioia più cosmica, quasi estasi di un’unione mistica «nell’alitante Tutto», ma anche – ed è ciò che più conta – nella musica: allorché il motivo del desiderio, lo stesso con cui aveva avuto inizio l’opera, distende il suo cromatismo avvolgente in una risoluzione ascendente finalmente compiuta nella chiusa risonante di un’armonia perfetta. E’ la musica stessa a rappresentare, con un atto non di negazione e rinuncia, bensì di superba volontà di potenza, sia lo scioglimento del dramma che la perfezione dell’ideale; nella quale Tristan e Isolde affondano, quasi ignari essi stessi, con gioia suprema. Sotto questo rispetto, Wagner ha eretto un monumento non soltanto al più bello dei suoi sogni – la vera felicità dell’amore nel ‘non essere’ – ma anche alla capacità suprema della musica di redimere, dopo aver abbattuto ogni barriera linguistica e formale, perfino la pietà: per ‘essere’, con smisurato orgoglio, sogno e realtà concreta a un tempo.

Orchestra sinfonica nazionale della RAI, Stagione sinfonica 1998-99, 16° Concerto

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