Lo spirito è vita. Strauss e Čajkovskij fra poema sonoro e sinfonia.
Richard Strauss uno e due
Il personaggio di Till Eulenspiegel, protagonista del piú estroso tra tutti i poemi sinfonici di Strauss, è una di quelle figure che furono assunte dall’immnaginario popolare prima e dalla letteratura poi a simbolo d un’identità nazionale, al tempo della vecchia Germania: una sorta di Faust in veste di monello, turbolento inventore di burle, in fuga perpetua da se stesso attraverso paesi e città. Strauss se ne innamorò assistendo nel 1889 a Weimar a una rappresentazione dell’opera Eulenspiegel di Cyrill Kistler. A colpirlo furono soprattutto i lati umoristici e scanzonati del personaggio, l’ironia beffuda sottesa allo spirito di rivolta contro la saccenteria dei benpensanti. Quella figura, tanto radicata nella solidità della storia quanto sospesa nella leggerezza della fantasia, gli parve adatta a costituire il soggetto di un lavoro teatrale; il progetto si arenò, per risorgere sei anni dopo come programma non per un’opera bensi per un poema sinfonico. Completato il 6 maggio 1595, Till Eulenspiegel lustige Streiche (I tiri burloni di Till Eulenspiegel) venne eseguito per la prima volta ai concerti Gürzenich di Colonia il 5 novembre dello stesso anno, sotto la direzione di Franz Wüllner.
Per quanto l’autore in una lettera al direttore della prima esecuzione negasse l’esistenza di un programma, invitando gli ascoltatori a cavarsela da soli, le peripezie di Till sono illustrate con una descrizione vivida, ancora una volta quasi plasticamente, perfino nei dettagli piú bizzarri (come quando nell’episodio della predica di Till si spiega che «il controfagotto nel registro grave rappresenta il dito grosso di un piede»). L’opera è articolata in cinque episodi, evocanti altrettante avventure del protagonista, preceduti da un’introduzione e seguiti da un epilogo. La forma del rondò, esplicitamente menzionata nel sottotitolo in capo alla partitura insieme con il riferimento a un’antica melodia burlesca, parve a Strauss la piú adatta a rappresentare il vagabondare di Till. Ciò gli consentiva di far tornare il tema principale dopo ogni strofa, prima di ogni nuova avventura, e di svolgere i controtemi nelle parti di collegamento: un espediente strategico del tutto connaturato all’argomento, ma soprattutto garante di un principio quasi classico di unità.
Nelle prime battute dell’introduzione i commentatori hanno visto tradotto in suoni il tradizionale esordio delle favole, «C’era una volta…»: ne è emblema l’antica melodia burlesca di cui parla il sottotitolo, affidata ai violini. Alla sesta misura il corno presenta il tema principale, quello di Till: scattante, spavaldo, audace nelle sue provocazioni ma anche beffardo nel suo precipitare a rotta di collo verso l’abisso. E il racconto comincia. Sono cinque momenti di gloriosa incoscienza, trattati con la piú incantevole bonomia, spingendo all’estremo la polifonia orchestrale in un gioco di colori, di ritmi, di intrecci, di variazioni figurate. Ecco Till che irrompe sulla piazza del mercato creando un’irrimediabile confusione, tra sinistri strepiti e risa sbellicate; che si traveste da frate per fare al còlto e all’inclita una predica blasfema; che corteggia una ragazza fingendosi perdutamente innamorato, salvo poi offendersi del suo rifiuto; che incontra cinque luminari della scienza (musicalmente personificati da tre fagotti, clarinetto basso e controfagotto), disputando con loro dei massimi sistemi, prima imbrogliandoli e poi dandosela allegramente a gambe. Finalmente sazio di burle, Till riflette sul suo destino, mentre cresce in lui l’indignazione per quel canagliume che è l’umanità (pretesto per un episodio meditativo che riespone il materiale tematico in una nuova combinazione, di tono quasi elegiaco). Davanti a lui si delinea un futuro nero: inevitabile che «filistei, professori e sapienti» ne esigano l’arresto, il giudizio, la condanna. Alla sentenza di morte pronunciata dai tromboni con un salto discendente di settima maggiore egli risponde fischiettando spensieratamente il suo tema. Solo sulla forca un grido acutissimo, strozzato, rivelerà la sua fragilità umana, destinata a finire come tutti, burloni e non, nel nulla.
Ma Till Eulenspiegel è un personaggio fiabesco, e come tale immortale. L’epilogo torna a evocarne la figura con inunensa dolcezza, quasi con gratitudine, trasfigurando il suo tema sul placido cantabile del «C’era una volta…» dell’introduzione. Poi un ultimo sberleffo ne annuncia radiosamente l’ascesa liberatrice verso l’empireo dove, anche privato del corpo, lo spirito è vita.
Herbert Blomstedt / Orchestra del Gewandhaus di Lipsia
Festival Verdi 2004