Musica sacra di G. Clari, A. Vivaldi, W. A. Mozart, F. Schubert, F. J. Haydn, G. F. Händel, C. Monteverdi, L. Bernstein, L. Cherubini, A. Pärt, I. Stravinsky

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La seconda edizione del festival internazionale di musica sacra “”Anima Mundi”” prosegue sulla strada indicata dalla prima, accolta l’anno scorso con grande successo di pubblico e di critica. Otto concerti distribuiti nell’arco quattro settimane esploreranno con continuità aspetti diversi della produzione musicale sacra lungo tre secoli, dal Settecento alle soglie del Novecento: periodo nel quale il concerto di musica sacra, prima essenzialmente legato al culto, assume significati più ampi nella combinazione, sollecitata dalla stessa evoluzione della storia, di voci e strumenti, e nella presenza di complessi orchestrali di più strutturate dimensioni e ambizioni espressive Ho già avuto modo di sottolineare la nostra visione di ciò che si intende sotto il termine di musica sacra dia per scontata l’ovvia destinazione liturgica che fa parte della pratica del culto, comer tale essenziale nella vita quotidiana della celebrazione dei riti ecclesiastici, e ricerchi invece un’accezione più comprensiva di questo sulla traccia dell’espressione tedesca geistliche Musik: implicante non soltanto un genere appunto, contrapposto a quello della weltliche Musik, ma anche una serie di sfumature intermedie in ambito religioso e spirituale. E sono queste sfumature che la musica ha amplificato nel corso della sua storia moderna, via via allargando i confini dell’interpretazione delle tradizioni e dei testi sacri. Sacro inteso dunque come liturgico e insieme come religioso e spirituale: secondo una linea non sempre rettilinea ma anzi spesso segnata da problematiche interferenze e da avvitamenti incrociati. Si pensi al’infuenza che la musica strumentale del Settecento ha avuto sullo sti sacro (e naturalmente viceversa) definizione di un rapporto di reciproco dare e avere, i cui ambiti hanno teso sovente a sovrapporsi e proficuamente intrecciarsi: nomi come quelli di Pietro Locatelli, Arcangelo Corelli, Nicola Antonio Porpora e Giovanni Battista Pergolesi, oltre ai massimi Sebastian Bach, Händel e allo stesso Vivaldi, ne offrono validi esempi nella nostra programmazione. Qui la cornice nella quale sono presentati questi autori e le loro musiche strumentali da concerto (accortamente accostate a opere che si rifanno invece espressamente alla tradizione vocale sacra: la splendida cantata Actus tragicus di Bach, i Salve Regina di Porpora e Pergolesi, il salmo Beatus vir e il mottetto Longe mala di Vivaldi) rende appunto ragione – da un punto di vista insieme storico e concettuale – sia della stretta connessione esistente tra i diversi stili sia delle relazioni che intercorrono all’interno di una visione onnicomprensiva della musica sacra. Un ulteriore contributo a questo chiarimento è costituito dall’unico concerto interamente corale, nel quale un compositore considerato essenzialmente di tipo strumentale, Domenico Scarlatti, coniuga gli stili in senso convergente e da ultimo unitario nell’affresco di riferimento dello Stabat Mater. Ma sotto un analogo riguardo anche un’opera nominalmente liturgica come la singolare e misteriosa Petite Messe solennelle del tardo Rossini (1863) ribadisce, nel tentativo di conciliare due termini apparentemente inconciliabili come il “”petit”” e il “”solennel””, la decisiva libertà di interpretare anche in senso privato il rito sublime della messa, e dunque di estendere i recinti del sacro in una concezione tanto spoglia ed essenziale quanto memore dei fasti del melodramma.

Non si dirà perciò, come pure si sarebbe tentati di affermare, che ogni grande partitura musicale abbia in sé qualcosa di geistlich, ossia di spirituale e dunque di sacro: ciò contrasterebbe, a tacere di altre considerazioni, con la precisa distinzione dei generi che la storia stessa ci ha imposto. La Missa in tempore belli o Paukenmesse di Haydn (del gruppo eccelso delle sei ultime messe, scritta nel 1796), detta “”Messa in tempo di guerra”” o “”Messa dei timpani”” perché composta in circostanze belliche nell’Europa sconvolta prima dalla rivoluzione francese, poi dalle imprese napoleoniche, e simbolicamente marcata da ricorrenti effetti strumentali militareschi (trombe e tamburi), scioglie nel conclusivo Agnus Dei una preghiera di pace pregna di interrogativi e di inquietudini, intonandola a un sentimento profondamente religioso e devozionale. Le sezioni contrastanti delle singole parti hanno però molto in comune con i movimenti di una sinfonia: l’attacco del Kyrie, con il “”Largo”” introduttivo che precede l””Allegro moderato”” poi sviluppato per quasi cento battute, è per esempio di netta concezione sinfonica, nonostante la partecipazione delle voci; e ispirati armonicamente a contrasti sinfonici, per quanto dipendenti anche dal senso dei testi, che richiedono ora lentezza, ora scorrevolezza, ora vivacità, sono anche le sezioni successive, con al centro il Credo quadripartito come i tempi di una sinfonia. Ecco allora che ascoltare questo capolavoro di Haydn accanto a una delle ultime sinfonie di Mozart (la celeberrima 40 in sol minore, del 1788) può aiutare indirettamente a capire certe convergenze e affinità nell’organizzazione ideale e musicale della messa che chiameremo, più che da chiesa, da concerto. E ancor più ciò vale confrontando direttamente quel prodotto assoluto del sinfonismo mozartiano con il mottetto Exsultate, jubilate, composto nel 1773 dal diciassettenne Mozart per le doti di bravura del famoso castrato italiano Venanzio Rauzzini: più che un mottetto in senso tradizionale (sulla scia usuale dell’ispirato Jommelli, per esempio), un vero e proprio concerto in tre tempi, con un recitativo prima dell””Andante”” centrale e un funambolico “”Vivace”” conclusivo. Superato qualsiasi problema di stile sacro, Mozart opta decisamente per la vocalità spensierata e decorativa dell’opera italiana: il generoso impegno virtuosistico e l’opulenta invenzione melodica hanno finito per fare di questo pezzo, e in modo particolare dell””Alleluja”” finale, un cavallo di battaglia nel repertorio dei più affermati soprani di tutti i tempi. Eppure esso fa parte a rigor di titolo dell’ambito più pretto della musica sacra.

Si direbbe quasi che le strade della musica sacra sono infinite. Esse incrociano senz’altro, senza bisogno ulteriori specificazioni, le distese dello spirito negli incantesimi del Venerdì Santo del Parsifal, il grandioso Bühnenweihspiel (“”dramma sacro””) che chiude nel 1882 la produzione di Richard Wagner. Nel Preludio al primo atto vengono annunciati, con la tematica dell’opera, i principali Leitmotive, in particolare quelli che simboleggiano la fede, l’amore, la pietà, lo strazio del peccato, intrecciati ai temi della speranza, e della redenzione: la Sacra Agape, Santo Graal, la Lancia. Più controversa può legittimamente apparire la collocazione della energica Prima Sinfonia in re maggiore di Gustav Mahler (1889), soprattutto per quel sottotitolo superoministico, il “Titano”. Occorre però ricordare che esso proviene dalle pieghe metafisiche, anch’esse assai complesse, dell’omonimo romanzo formativo romantico (1803) di Jean Paul (ex pastore, fra l’altro), nel quale 1’ansia del divino e del superamento in senso mistico dei limiti umani si tinge, esemplarmente e appunto romanticamente, di tutta una serie di implicazioni che possono senza meno essere definite religiose e trascendenti. E un’eco di queste aspirazioni soprannaturali si ritrova nella musica di Mahler, ebreo convertito al cattolicesimo, in perenne travaglio tra l’auscultazione dei suoni di un’eterna primavera della natura e il richiamo di simboli angosciosi, capaci però di annullare la disperazione della miseria umana in un’utopia pacificata dell’assoluto.

Completa il programma un concerto d’organo che è celebrazione al tempo stesso dello strumento per eccellenza della Chiesa e di quello della sede in cui principalmente si svolge il nostro festival, la cattedrale di Pisa, luogo di culto e di raccoglimento, dove il grande organo storico è stato da poco riconsegnato alla sua aurea funzione dopo un magnifico restauro. E anche qui le voci della fede del sommo Bach e del più delicato, intimo Brahms si fondono con quella intrisa di stupori virtuosistici della solenne meditazione sonatistica di Reubke sul salmo 94 “”Inno a Dio giudice del mondo””, uno dei massimi vertici ai quali possano attingere, in temperie ormai ottocentesca, il clangore sonoro e la superba varietà di registri dell’organo. A sempiterna e maggior gloria di Dio.

Desidero ringraziare infine tutti coloro, privati e pubblici, che hanno reso possibile la realizzazione della seconda edizione del festival “”Anima Mundi”” attraverso gli enti coproduttori: l’Opera della Primaziale Pisana e la Fondazione della Cassa di Risparmio di Pisa, il Comune e la Provincia di Pisa. L’ingente impegno economico è stato accompagnato da una spontanea adesione personale al significato dell’iniziativa che costituisce, del festival, il patrimonio più ricco e importante: di dedizione, di affetti e di ideali, la vera anima della manifestazione. Con queste premesse ci accingiamo a dare il benvenuto al pubblico che vorrà beneficiarne assistendo ai nostri concerti, nella convinzione che essi siano un’occasione di riflessione interiore e di elevazione spirituale destinata a durare a lungo nel tempo.

AnimaMundi, Secondo Festival Internazionale di Musica Sacra a Pisa, Duomo di Pisa, 2002
Riccardo Donati / Opera della Primaziale Pisana; Josè Luis Basso / Coro e strumentisti del Maggio Musicale Fiorentino; Zubin Mehta / Orchestra e Coro dell’Opera di Stato Bavarese; Fabio Biondi / Europa Galante; Georges Pretre / Orchestra della Staatkappelle di Dresda

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