Arnold Schoenberg – Kammersymphonie op. 9
La Kammersymphonie op. 9, composta nel 1906, è un’opera di svolta nella produzione schoenberghiana, un punto critico sulla strada della sua evoluzione artistica. Senza voltare del tutto le spalle al passato, suo e della tradizione musicale a lui più vicina, Schoenberg sperimenta con decisione, fors’anche con intenti programmatici, nuove soluzioni espressive, estendendo il suo tentativo a tutti gli elementi del comporre: dall’elaborazione tematica alla ricerca armonica, dalla configurazione formale all’assetto strumentale. E quest’ultimo l’aspetto più caratteristico, ma come vedremo anche quello più contraddittorio, della Prima Sinfonia da camera: titolo già di per sé ambiguo anche se chiaro nelle intenzioni. Nella scelta di un organico ristretto, formato da quindici strumenti solisti (flauto, oboe, corno inglese, tre clarinetti di cui uno piccolo e uno basso, fagotto, controfagotto, due corni, due violini, viola, violoncello e contrabbasso), Schoenberg intendeva evidentemente allontanarsi dal gigantismo orchestrale del sinfonismo romantico e tardo-romantico, da lui già accostato in precedenti lavori, e mirare con risolutezza verso un tipo di composizione più asciutta, concisa e concentrata, che gli consentisse di indagare, per così dire allo stato puro, complessi problemi di linguaggio. E interessante a questo proposito riportare quanto Schoenberg ebbe a dichiarare molti anni dopo la stesura della Kammersymphonie: “”Se questa composizione è un vero punto di svolta della mia evoluzione, essa lo è ancor più per il fatto che presenta un primo tentativo di creare un’orchestra da camera. Si poteva forse già prevedere la diffusione della radio, e un’orchestra da camera in questo caso sarebbe stata in grado di riempire la stanza di un appartamento con una sufficiente quantità di suono. C’era forse la possibilità, in prospettiva, di poter provare con un gruppo ristretto di strumentisti a costi inferiori e in modo più approfondito, evitando le spese proibitive delle orchestre-mammuth.
La storia mi ha deluso da questo punto di vista: la mole delle orchestre ha continuato a crescere, e nonostante il gran numero di composizioni per il piccolo complesso, anch’io ho dovuto tornare a scrivere per grande orchestra””.
La versione per grande orchestra della prima Kammersymphonie, che Schoenberg realizzò nel 1935, sulla scorta di questa dichiarazione sembra dunque essere il risultato di una “”delusione”” e di una necessità. Non è così. Essa è il frutto di un acuto ripensamento e di una lucida autocritica basata sulla constatazione che il problema, essenziale, del rapporto fra ricerca linguistica e realizzazione strumentale non era stato risolto in modo adeguato. Presupposto del lavoro è infatti la assoluta equiparazione fra i quindici strumenti solisti, ad eccezione dei corni in numero di due e con funzioni di guida: il perfetto equilibrio timbrico, improntato a rigorosa unitarietà nonostante le continue asprezze e deformazioni. Questa omogeneità di fondo è il tratto distintivo della nuova concezione schoenberghiana – cosciente superamento della poetica espressionista e punto di partenza della strada dodecafonica – e si estende su tutti i piani della composizione: non a caso l’autore riconosceva, senza dubbio con soddisfazione, che qui “”veramente è stabilita un’intima reciprocità fra melodia e armonia in quanto ambedue riconnettono in una perfetta unità lontane relazioni di tonalità, traggono conseguenze logiche dai problemi affrontati, e contemporaneamente compiono un grande progresso in direzione dell’emancipazione della dissonanza””.
Non altrettando logiche e conseguenti, e quindi soddisfacenti, dovettero invece sembrare le ragioni, in via teorica ineccepibili, che avevano portato alla scelta della insolita strumentazione. Già nel 1916 Schoenberg notava: “”Credo che in fondo questo uso solistico degli archi in rapporto a tanti fiati sia un errore. Viene infatti meno la possibilità che un solo strumento ad arco, un violino solo per esempio, possa dominare al di sopra di tutti gli altri quando questi suonano insieme””. In altri termini, Schoenberg era perfettamente consapevole che il “”difetto”” di quest’opera risiedeva proprio nella strumentazione e intese, nella più tarda versione orchestrale – compiuta in un periodo di fertile ripensamento della sua fase più innovatrice – riordinare e ricomporre il dissidio.
Non aveva dunque forse torto Mahler quando, ascoltata l’opera – e sappiamo quanto Mahler stimasse il giovane collega -, così si espresse: “”Non capisco quello che scrive, ma è giovane; forse ha ragione. lo sono vecchio, può darsi che non abbia più la sensibilità auditiva per afferrare la sua musica”” Senza dubbio Mahler, con la sua enorme esperienza e con il suo orecchio infallibile, aveva intuito dove stesse il “”difetto””. Schoenberg stesso ne avrebbe fatto tesoro, realizzando con la forza e la sicurezza della maturità un ideale formale ed espressivo di grande, affascinante arditezza.
Jan Latham-König / Orchestra Regionale Toscana
Orchestra Regionale Toscana, Marzo-novembre 1983, i concerti, i programmi, gli interpreti