Igor Stravinskij – Le sacre du primptemps

I

Durante la primavera del 1910, mentre a Pietroburgo stava terminando le ultime pagine della partitura dell’Uccello di fuoco, Stravinskij ebbe come una visione. Racconta egli stesso nelle Cronache della mia vita: “”un giorno – in modo assolutamente inatteso, perché il mio spirito era occupato allora in cose del tutto differenti – intravidi nella mia immaginazione lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, che osservano la danza fino alla morte di una giovinetta che essi sacrificano per rendersi propizio il dio della primavera.

Fu il tema del Sacre du printemps. Confesso che questa visione m’impressionò fortemente; tanto che ne parlai subito all’amico pittore Nikolaj Roerich, specialisti nell’evocazione del paganesimo. Egli accolse l’idea con entusiasmo e divenne mio collaboratore in quest’opera. A Parigi ne parlai pure a Djagilev, che si entusiasmò subito di tale progetto””. Nonostante la folgorazione e l’entusiasmo di Djagilev, che immediatamente ne vide le potenzialità per un nuovo balletto, la realizzazione non seguì immediatamente. Stravinskij fu occupato dalla composizione di Petruska che lo impegnò dalla metà del 1910 alla metà del 1911: solo dopo la sua rappresentazione, avvenuta nel giugno del 1911, poté pensare alla stesura della Sagra e alla sua concretizzazione scenica, in collaborazione con Roerich. Il balletto, con il sottotitolo di “”Quadri della Russia pagana””, si suddivide in due parti: “”L’adorazione della terra”” e “”Il sacrificio””. In una lettera a Djagilev, Roerich così descriveva l’azione: “”Nel balletto Le sacre du Printemps, così come lo abbiamo concepito io e Stravinskij, il mio scopo è presentare un certo numero di scene che manifestano la gioia terrena e il trionfo celestiale secondo la sensibilità degli slavi. La prima scena deve trasportarci ai piedi di una collina sacra, in una pianura rigogliosa, dove le tribù slave sono riunite per celebrare i riti della primavera. In questa scena c’è una vecchia strega che predice il futuro, un matrimonio dopo un rapimento, danze in tondo. Poi viene il momento più solenne. Il vecchio saggio è condotto dal villaggio per imprimere il suo sacro bacio sulla terra che ricomincia a fiorire. Durante questo rito la folla è in preda a un terrore mistico.

Dopo questo sfogo di gioia terrestre la seconda scena suscita intorno a noi un mistero celestiale. Giovani vergini danzano in circolo sulla collina sacra, fra rocce incantate: poi scelgono la vittima che vogliono onorare. Immediatamente ella danzerò davanti ai vecchi vestiti di pelli d’orso per mostrare che l’orso era l’antenato dell’uomo. Poi i vecchioni dedicano la vittima al dio Jarilo””. La prima rappresentazione del balletto ebbe luogo a Parigi al Théâtre des Champs-Elysées per la stagione dei Rallets Russes il 29 maggio 1913 (coreografo Vaslav Nijinskij, direttore Pierre Monteux) e suscitò uno scandalo rimasto memorabile. Stravinskij abbandonò la sala dopo le prime battute del preludio, che sollevarono immediatamente risa e canzonature. “”Queste manifestazioni””, ricorda il compositore nelle Cronache della mia vita, “”dapprima isolate, divennero presto generali e, suscitando d’altra parte delle opposte manifestazioni, produssero in breve un chiasso infernale. Durante tutta la rappresentazione rimasi tra le quinte, a fianco di Nijinskij. Questi stava in piedi su una sedia e gridava a squarciagola ai ballerini: “”Sedici, diciassette, diciotto…”” (si servivano di un conteggio convenzionale per segnare le battute). Naturalmente i poveri ballerini non sentivano niente a causa del tumulto della sala e del loro calpestio. Io ero costretto a tenere per il vestito Nijinskij, fuori di sé dalla rabbia e in procinto di balzare in scena, da un momento all’altro, per fare uno scandalo. Djagilev, per far cessare il fracasso, dava ordini agli elettricisti, ora di accendere, ora di spegnere la luce nella sala.

È tutto ciò che ricordo di quella ‘prima’. Fatto strano, alla prova generale a cui assistevano, come sempre, numerosi artisti, pittori, musicisti, letterati e i rappresentanti più colti della società, tutto si era svolto in modo calmo e io ero lontano mille miglia dal prevedere che lo spettacolo avrebbe provocato quella gazzarra””. Anche in seguito a quella storica serata, la partitura del Sacre rimase a lungo il simbolo della musica moderna, in ogni senso: se da un lato la sua apparizione parve sconvolgere tutti i canoni della bellezza e del gusto per l’inaudita violenza con cui si evocava l’irruzione di forze selvaggie e primordiali, d’altro canto l’originalità della sua lingua barbarica e “”primitiva”” esercitò un influsso notevole, e non solo tra le avanguardie musicali del tempo. La radicale novità della partitura, percepibile soprattutto nell’invenzione ritmica, di una ricchezza e complessità senza precedenti, ma estendibile anche ai parametri armonici e melodici, si basava su una visione formale profondamente emotiva, ma improntata anche a una evidenza insieme classica e popolare. Non a caso Jean Cocteau definì il Sacre “”le georgiche della preistoria””, ponendo l’accento su una rappresentazione delle forze della natura che per quanto rovesciata in confronto alle visioni idilliche della primavera ne serbava il carattere mitico e l’aura sacrale; mentre Stravinskij stesso, ancora anni dopo la composizione, ribadì che a influenzarlo era stata l’esperienza della “”violenta primavera russa, che sembra iniziare in un’ora ed è come se la terra intera si spezzasse””: un’esperienza che risaliva alla sua infanzia e che si intrecciava con il ricordo dei riti propiziatori della tradizione popolare. Gran parte del fascino incomparabile della partitura sta proprio in questa strettissima commistione di artificio e natura, mitologia e folklore, simmetria e asimmetria. pulsione vitale e istinto di morte, dinamicità e staticità. L’Adorazione della terra si apre con il celeberrimo assolo del fagotto iinpiegato in una tessitura acuta, su una melodia popolare lituana. Fin dall’inizio si stabilisce un clima di arcaica staticità, cui ben si attaglia il titolo di “”Notte pagana”” suggerito dal compositore per il grande sacrificio: qui è come se la musica volesse rappresentare il timore suscitato dalle grandi forze cosmiche della creazione, “”il risveglio della natura, lo stridio, il rodio, i movimenti di uccelli e bestie””, secondo un’indicazione del compositore stesso. Alcuni caratteri fondamentali si delineano già in questa introduzione: i motivi si riducono per lo più a frasi brevi e incisive, quasi formule elementari, che hanno però già in sé le forze della propria trasformazione; il ritmo, anche attraverso l’uso frequente dell’ostinato, provoca l’impressione di un impulso inarrestabile, che non è solo quello realistico della danza, ma assurge anche a valore simbolico di esasperazione del movimento; le sovrapposizioni politonali, congiunte da un lato con procedimenti modali e dall’altro con il libero trattamento delle dissonanze che non eliminano l’esistenza di centri tonali, creano un antagonismo che acquista via via un sempre più marcato senso drammatico (massimamente nel Gioco del rapimento, culmine anche di un crescendo dinamico di

forza esplosiva). Ad episodi di crescente tensione fanno seguito zone di quiete e di rarefazione: così le Ronde primaverili vengono introdotte da un lungo trillo dei flauti che preludono a un movimento “”sostenuto e pesante””, dove i clarinetti danno voce a una melodia di sapore popolare che ricorda il Chorovod, la danza circolare in onore della primavera. I trilli dei flauti fanno nuovamente da preludio al Gioco dalle città rivali, in cui entrano con prepotenza le percussioni, che assumono l’importanza quasi di una sezione orchestrale a sé stante. La tremenda tensione interna tra la semplicità del materiale tematico e la discordante complessità della tessitura ritmica e armonica è acuita dalla strumentazione, che utilizza mezzi estremamente sofisticati per ottenere un effetto volutamente elementare, primitivo. Episodi di opposta spettacolarità sono il Corteo del saggio, che culmina nella straordinaria magia evocativa del “”bacio della terra””, e la vorticosa Danza della terra, momento di estrema forza centrifuga che chiude la prima parte con l’esplosione di un caos primordiale. La seconda parte si apre con una nuova Introduzione, di segno diverso: sono, secondo Roman Vlad, “”sonorità glaciali, da notte polare””, che creano il clima di attesa sacrificale. Nei freddi armonici degli archi e negli echi dei corni si fa luce un tema d’un singolare, astrale lirismo.

Nei Cerchi misteriosi degli adolescenti, intrisi ancora della medesima atmosfera velata, questo tema si dispiega in un incedere quasi ipnotico, trepido e struggente. A questo momento di ripiegamento lirico, segue, avviata dal tamburo, in un brusco accelerando, la Glorificazione dell’eletta, originariamente pensata come una selvaggia cavalcata delle amazzoni; la solenne Evocazione degli

antenati ristabilisce il carattere religioso del sacrificio, a cui l’episodio successivo, Azione rituale degli antenati, conferisce sussulti e spasimi di sinistra irrevocabilità. Si avvicina così l’epilogo, la danza sacrale della vittima designata a morire per propiziare il rinnovarsi della primavera. Nella Danza dell’eletta, ilfurore ritmico raggiunge l’apice del più orgiastico parossismo, rimettendo in gioco tutte le possibilità strutturali sperimentate nell’opera e non lasciando più dubbi sul carattere barbarico del sacrificio. Eppure, proprio da questa identificazione con le crudeltà del rito che si è appena compiuto, si rigenera una sorta di euforia vitale, di panica rivelazione del mistero della rinascita, di tragica consapevolezza del ciclo eterno degli inizi e delle funi scandito dalle leggi immodifìcabili della natura.

Lorin Maazel / Bayerischer Rundfunk Symphonieorchester Ravenna Festival 1998

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