Si sottolinea spesso che Beethoven scrisse solo nove Sinfonie, mentre Mozart ne aveva composte oltre cinquanta e Haydn oltre cento.
Come ha osservato Massimo Mila, “”fino ad allora, scrivere una Sinfonia non costava a un compositore maggior fatica di quanto ne costi ad una gallina fare l’uovo. E’ con Beethoven che la composizione d’una Sinfonia comincia a diventare una fatica simile a quella di partorire un figlio. D’allora in poi le Sinfonie, nella vita d’un musicista, non si conteranno più a decine, ma per singole unità””.
Quando Beethoven entrò sulla scena musicale viennese la sinfonia si era da poco collocata al primo
posto in una ideale gerarchia delle forme strumentali: più del concerto solistico, per definizione brillante e mondano, e della musica da camera. non destinata alla sala da concerto e quindi limitata a un pubblico di intenditori, era la sinfonia a costituire il principale tramite tra l’autore e un nuovo,
più composito pubblico. Haydn, con le sue sei “”Parigine”” prima e con le dodici “”Londinesi”” poi, aveva elevato la sinfonia da forma di intrattenimento di corte a luogo di espressione del pensiero musicale più impegnato; Mozart, ancor prima di dare il suo massimo contributo individuale alla letteratura sinfonica con le ultime tre Sinfonie, aveva definitivamenu emancipato la sinfonia da lavoro di carattere occasionale a contenuto di alta speculazione musicale. Non sorprende che Beethoven, nell’affrontare un campo già reso illustre dai capolavori haydniani e mozartiani, ne ripercorresse le tracce adattandosi a questi model consolidati, salvo introdurre alcune innovazioni formali sotto li spinta di una urgenza espressiva sempre più marcata ed esuberante. Nacquero così, a cavallo del nuovo secolo, la Prima sinfonia in do maggiore op. 21 (1799-1800) e la Seconda in re maggiore op. 36, abbozzata giù nel 1800 e terminata nel l802 durante il soggiorno ad Heiligenstadt. Se queste due Sinfonie – da sole sufficienti a porre il Beethoven sinfonista al livello dei suoi due grandi predecessori – sono oggi considerate soprattutto lavori di transizione, ciò è dovuto, a posteriori, al confronto con la Terza Sinfonia in mi bemolle maggiore op. 55, scritta tra il 1802
e l’inizio del 1804.
Dedicata al principe Lobkowitz, il suo più importante mecenate, nel cui palazzo viennese fu eseguita in forma privata nell’agosto 1804 (la prima esecuzione pubblica avvenne il 5 aprile 1803 in un concerto al Theater an der Wien, sempre con la direzione dell’autore), la Terza è per concezione e realizzazione un lavoro assolutamente originale: una di quelle opere capaci di modificare il corso stesso della storia della musica.
E’ noto che Beethoven avrebbe voluto intitolare la Terza sinfonia “”Bonaparte””, in omaggio a
Napoleone e agli ideali rivoluzionari che egli ai suoi occhi rappresentava. Il titolo fu poi cambiato in “”Sinfonia Eroica composta per festeggiare il sovvenire di un grand’uomo””, titolo che compare per la prima volta sulle parti d’orchestra pubblicate a Vienna nel 1806. Indipendentemente dalle motivazioni che indussero Beethoven a concepire prima e a ripudiare poi la celebre dedica – assai più complesse della semplice delusione da lui provata alla notizia dell’incoronazione eli Napoleone a Imperatore – ciò che appare reau nente importante è la volontà del musicista di collegare la propria opera con la storia e nello stesso tempo di superarla: il suo eroe è un grande uomo che, pur prodotto dalla storia, non si identifica con essa ma si proietta in una sfera ideale, propria della musica. In ciò sta la grandezza del suo gesto, il suo eroismo.
Beethoven stacca la musica dalla cornice formale e con gesto imperioso la getta nella mischia della vita, che non è più il luogo di un altrove. Nell’Eroica la cornice non basta più a contenere tutto il ribollente paesaggio sonoro ed è ridotta alle funzioni di un sipario: due accordi perfetti maggiori all’inizio, ben sedici ripetuti fino all’autoesaurimento alla fine: giacché anche un pezzo di musica delle proporzioni inaudite di questo deve comunque aprirsi e chiudersi. Alcuni brandelli galleggiano sul mare in tempesta degli sviluppi del primo movimento, Allegro con brio (per esempio verso la fine dell’esposizione, nella drammatica serie di strappate sincopate di tutta l’orchestra), o del secondo, Marcia funebre. Adagio assai (nei laceranti appelli di corni e trombe prima della ripresa della parte iniziale): ma sono frangiflutti che si oppongono alla violenza della marea, non elementi di una cornice.
La forma della Terza sinfonia in mi bemolle maggiore op. 55 è un unicum che non sarà mai più ripetuto da Beethoven: per il semplice fatto che in esso la forma è una conseguenza dell’idea e del gesto che l’aveva originata. I tradizionali principi costruttivi del sonatismo classico sono rivisitati in chiave epica: il primo movimento diventa così un dramma di proporzioni colossali, che non si esaurisce nella ripresa ma richiede l’aggiunta di una grandiosa coda di 120 battute, una specie di nuovo sviluppo, e di lì si prolunga nella grave meditazione del movimento lento, una tartarea Marcia funebre; di conseguenza, il vecchio Minuetto viene sostituito da un più sostanzioso e incisivo Scherzo, che nel Trio ribadisce la necessità dell’aggiunta di un terzo corno all’organico classico; quanto al Finale, esso utilizza una fòrma inconsueta, nella quale trovano una originale sintesi le forme del rondò e del tema con variazioni, a sua volta pregno di storia personale (il tema è lo stesso già impiegato da Beethoven nell’episodio conclusivo del balletto Le creature di Prometeo e nelle Variazioni op. 35 per pianoforte). L’idea che informa la Sinfonia (e non solo le dà forma) è la violenta irruzione di una volontà plasmatrice e rigeneratrice, di natura anzitutto interiore, nel complesso dei temi e degli sviluppi. Ciò produce non soltanto un progressivo aumento di tensione nella lotta con la materia e con le forze aggressive dell’elaborazione e della modulazione armonica, ma anche un processo di affinamento della capacità di risolvere ogni elemento in evidenza tematica e in unità tonale: sì da portare, da ultimo, allo scioglimento di quella tensione. La scommessa di Beethoven nell’Eroica stava nel conciliare un contenuto espressivo, che era espressione di una visione del mondo e di una convinzione ideale, con la resistenza che ad esso avrebbe opposto la materia: di più, nel rappresentare l’uno e l’altra in termini essenzialmente musicali. E.T.A. Hoffmann, allargando i confini della sfida, ne trasse motivo per assegnare a Beethoven un anelito romantico: ma non dalla volontà di sostituire al mondo reale un mondo fantastico e irreale, come volevano i romantici, esso dipendeva, bensì, al contrario, dalla volontà di conformare il mondo reale a quello ideale, per dargli la forma di una Sinfonia di cui l’autore fosse nello stesso tempo creatore e creatura, attore e spettatore.
Fu così che l’idea divenne prima di tutto gesto. Riconsideriamone ora le tappe. In origine Beethoven voleva scrivere una “”grande”” Sinfonia in onore di Napoleone Bonaparte: nello stesso anno 1800 in cui dedicava all’Imperatrice Maria Teresa d’Austria un più modesto (seppure bellissimo) Settimino.
In testa l’autografo recava dapprima questa indicazione: “”Sinfonia Grande / Intitulata Bonaparte / Del Sigr. / Louis van Beethoven / Geschrieben / auf Bonaparte””. La seconda riga (“”Intitulata Bonaparte””) fu poi cancellata, ma il Geschrieben auf Bonaparte rimase. Molto diverso è invece il frontespizio (tutto in italiano) delle prime edizioni: “”Sinfonia Eroica composta per festeggiare il sovvenire di un grand’Uomo, e dedicata / A Sua Altezza Serenissima il Principe di Lobkoiritz, da Luigi van Beethoven””. Dunque: una Sinfonia non Grande ma Eroica, ufficialmente dedicata a un mecenate cui Beethoven doveva molto tua idealmente composta per altri. La ragione sovente avanzata per spiegare questo cambiamento – la delusione provata da Beethoven per la decisione di Bonaparte, atto effimero di un “”uomo volgare”” come tutti gli altri – può essere convincente a patto di non caricarla di significati ideologici: Beethoven non vedeva più in lui l’eroe, cioè un grand’uomo, perché il suo eroe non poteva essere identificato con un personaggio della storia, rivoluzionario o imperatore che fosse (ecco la distanza da Haydn e da Mozart). Il gesto, come si è detto, è tutto qui: nel sottrarre la musica a ogni riferimento alla storia per proiettarla in una sfera ideale, propria di lei stessa.
Resta però da chiarire il significato del “”sovvenire””. E qui si torna dal gesto all’idea. E’ probabile che nell’italiano non sicurissimo di Beethoven “”sovvenire””significasse non tanto “”sopravvenire”” o “”soccorrere””, conte di solito si interpreta, quanto “”entrare in scena””, alla maniera teatrale. Ciò che vi si festeggerebbe sarebbe dunque non l’annuncio rivolto al futuro o l’utopia della redenzione, ma l’entrata in scena dell’eroe: e ciò caricherebbe la Sinfonia di un peso drammatico che non sfuggì per esempio a Wagner. Ciò non toglie che in alcuni momenti la raffigurazione di un eroe puro (di cui si celebra il compianto nella Marcia funebre, epicedio per un eroe presunto più che reale) sia scossa da sussulti di collera, di sdegno quasi morale per il suo destino nel mondo: fino a diventare, nello Scherzo, parodia di un’immagine convenzionale e riaffermazione di un principio vitale. Sotto questa luce anche la svolta del Finale, con l’utilizzazione del tema del balletto Le Creature di Prometeo astratto dalla scena materiale in cui era già apparso e piegato a nuove, molteplici avventure nelle variazioni figurate di stile sinfonico, acquista rilievo: di marca non solo teatrale (Leonora, ossia Fidelio era alle porte e ne avrebbe reso evidenti gli sviluppi nella specificità del genere), ma anche contenutistica, nel segno di un vittorioso umanesimo prometeico, ed etica. Ma se davvero con l’Eroica Beethoven intese inscenare l’eroismo, che è qualcosa di più di un eroe, il suo obiettivo restava l’idea di un grand’Uomo: se non lui stesso, un suo sosia destinato nella solitudine degli eletti a un regno metafisico.
Ravenna Festival 1997
Riccardo Muti / Orchestra Filarmonica della Scala, Associazione del Coro Filarmonico della Scala