Robert Schumann
Concerto in la min. op. 54
per pianoforte e orchestra
«Quanto al concerto, ti ho già detto clte si tratta di un qualcosa a metà tra sinfonia, concerto e grande sonata. Mi rendo conto che non posso scrivere un concerto da ‘virtuosa’ e che devo mirare a qualcos’altro». Questo brano di una lettera del 1839 a Clara Wieck testimonia quali fossero le intenzioni del compositore nei riguardi di un’idea (un «grande» concerto per pianoforte e orchestra) che già da qualche tempo lo attraeva. Pur giunto alla sua piena maturità., dopo prove sensazionali nel trattamento del pianoforte. Schumann esita a lungo prima di dare corso al suo progetto: tanto che per scrivere quello che sarebbe divenuto uno odei piú celebri concerti ditutto l’Ottocentogli sarebbero occorsi ben cinque anni: dal 1841, a cui risale il primo movimento, al 1845, per il secondo e il terzo.
In origine l’Allegro affettuoso scriIo nel 18 41 per Clara, doveva costituire una Fantasia per pianoforte e orchestra in un unico movimento. Il 1841 è anche l’anno dell’esordio orchestraledi Schumann, con la Prima Sinfonia: ed è probabile che le due opere, accomunate da problemi foratali che fino a quel momento Schumann aveva evitato di affromtare, si influenzassero a vicenda nel modo di risolvere i nuovi compiti posti dall’orchestra. Nella Prima Sinfonia la soluzione è data dal ricorso a una traccia programmatica di tipo descrittivo, poi abbandonata: nel Concerto invece proprio da un uso del pianoforte che. se da un lato lascia al solista la possibilità di sviluppare la ricchezza della sua arte e del suo strumento. dall’altro impone all’orchestra – giusta l’indicazione di «mirare a qualcos’altro» – una varietà di caratteri e una parte piú importante di quella del semplice ‘spettatore’.. Su altra strada poi Schumann si muoverà con la Sinfonia in re minore, solo numeralmente quarta, iniziata appena dieci giorni dopo aver terminato la Fantasia per pianoforte e orchestra. E non è forse un caso che la stesura dei due tempi successivi. l’Intermezzo e l’Allegro vivace che completano il concerto, avvenisse proprio alla vigilia di un ritorno alla forma sinfonica dopo una parentesi di quasi qualtro anni.
Il Concerto in la minore è una delle opere piú dense di Schumann, il tentativo piú ardito di fondere in una singola composizione tutte le suggestioni e le ansie espressive che lo assillavano di fronte a una creazione di vaste proporzioni, costretta a confrontarsi con la tradizione classica. Piú che proseguire quella tradizione, però, si avverte la volontà di superarla e di trascenderla in una immaginazione che non s’impone limiti ben definiti. La caratteristica di ‘unicum’ che il Concerto riveste nella letteratttra del suo genere è programmatica, e deriva in gran parte proprio da questo accavallarsi di intenzioni che ne permea la struttura e ne esaspera le tensioni. quasi evitando la risoluzione foratale. E d’altro canto recensendo nel 1839 il Concerto op. 40 di Mendelssohn sulla «Acuc Leilschrift fiir 1trsik» icbunranu aveva scritto: «Dobbianro aspettare di buon grado il genio che ci rimostri in modo brillante come si possa unire l’orchestra al pianoforte», sottintendendo qualcosa di diverso dai modelli della tradizione.
Lo avrebbe dimostrato lui stesso. La scrittura pianistica del Concerto, per esempio, che in un virtuosismo ad alta definizione amplifica le possibilità tecniche ed espressive già inventale e utilizzale prima, tende ad accentrare su di sé il peso del dialogo con l’orchestra, e se mai a distenderlo per converso in rarefatti equilibri, nello spirito di una feconda, reciproca libertà. D’altra parte, tutto il Concerto anche dominato da un calore che ci rimanda allo stile dello Schumann piú estroverso, in un impeto appassionato che si dispone in sbalzi vertiginosi di tenori, su una vasta gamma di gradazioni, e che non è certo alieno da svagati ripegamenti e da sospensioni poetiche.
Il primo movimento, Allegro affettuoso, si apre., dopo la strappata di tutta l’orchestra, con una scrosciante cascata di accordi del pianoforte solo, un gesto imperioso che sembra voler concentrare subito su di sé il carico di una brillante presentazione. Ma non è sulla via della contrapposizione tra pianoforte e orchestra che si svilupperà il percorso del Concerto. Anche sul piano formale, il secondo tenta deriva dal primo, e ne è per così dire uno svolgimento governato dalla dialettica fra modo minore e relativo maggiore. Questo monotematismo latente impedisce una vera e propria sezione centrale di sviluppo basata sul contrasto, e tende a configurare invece, in un gioco di mutamenti e scambi fra solista e orchestra, un processo di elaborazione simile a quello delle variazioni.Nel bel mezzo di questo processo s’inserisce una sorta di ‘Intermezzo’ in tempo Andante espressivo e nella tonalità di la bemolle maggiore, nel quale si innesta il dialogo fra pianoforte, e orchestra, particolarmente con i due flauti e il clarinetto: generalmente il pianoforte accompagna l’arco melodico con arpeggi. secondo una tecnica che conferisce all’insienie una continua mutevolezza di armonie e di colori. Bruscamente le ottave del solista riportano al tempo e alla tonalità iniziali, cui seguono la ripresa (Piú animato, passionato), una estesa cadenza interamente scritta e una coda (Allegro molto) nuovamente basata sull’idea primaria. Il fatto che questo movimento fosse stato in origine concepito nel carattere di una Fantasia spiega il suo svolgimento formale in senso chiaramente ciclico.
L’Intermezzo, Andantino grazioso, in fa maggiore, è avvolto in un’atmosfera di delicata intimità, in cui il pianoforte si sprofonda dialogando sommessamente con l’orchestra. Quando dai violoncelli si innalza un canto spiegato che a poco a poco si propaga a tutta l’orchestra., il pianoforte da solo si sottrae a questa nuova idea tematica, quasi proseguendo a parte un suo corso di pensieri. Ed è proprio il pianoforte che conduce, attraverso un passaggio di straordinaria suggestione armonica e timbrica all’ultimo tempo, Allegro vivace, che presenta un materiale tematico affine a quello del primo. Qui viene però presentato un secondo soggetto distinto, e una grande varietà ritmica lo contraddistingue nei suoi sviluppi.Ancora audaci figure del pianoforte concludono il concerto, che nella coda finale può ora slanciarsi liberamente a toccare traguardi anche schiettamente virtuosistici, assecondato dall’orchestra.
Il Concerto fu eseguito per la prima volta da Clara Wieck a Dresda il 4 dicembre 1845, sotto la direzione di Ferdinand Hiller.
“ Zoltàn Peskò / Gerhard Oppitz, Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino”
Ente Autonomo del Teatro Comunale di Firenze, Stagione autunnale 1991