Jan Sandström – Indri per orchestra

J

Indri di Sandström

 

Jan Sandström, svedese di nascita e di formazione, è tra quelli della sua generazione uno dei compositori più in vista in Svezia, paese che se non può contare su eccelse tradizioni storiche ha però sempre guardato con attenzione alla musica contemporanea. Ciò è dovuto almeno in parte al fatto che il rapporto tra avanguardia e tradizione non ha mai assunto in Svezia un significato di contrasto ideologico (a differenza, per esempio, di quanto è accaduto in Norvegia, per restare ai paesi nordici), sicché la produzione musicale contemporanea non solo si è potuta sviluppare con una naturale continuità ma è stata anche costantemente sostenuta dalle istituzioni. Non è infatti raro trovare nei programmi concertistici e operistici opere di au-tori locali: esse oscillano tra tematiche legate alla cultura d’origine e aperture alle correnti internazionali della musica, che vengono in tal modo per così dire stabilmente introdotte nella coscienza degli ascoltatori. Il tutto nel segno di una seria e matura civiltà, per la quale la musica è comunque un’espressione artistica del presente.

Jan Sandström appartiene alla schiera dei compositori più sensibili alle esperienze d’avanguardia, come dimostra la composizione in programma, Indri, per grande orchestra, scritta nel 1988 su commissione dell’Orchestra Filarmonica di Stoccolma in occasione del suo settantacinquesimo anniversario. Vi si notano influenze di Ligeti nella scrittura per fasce sonore degli archi, timbricamente sostenute da una nutrita batteria di percussioni, con marcate escursioni dinamiche e agogiche. La padronanza della tecnica seriale e post-seriale è saldamente manifestata dalla densa pienezza della partitura, che esplora una vasta gamma di procedimenti microtonali e aleatori, alternando momenti di furiosa esaltazione sonora a fasi di distesa contemplazione statica, chiaramente ispirate da misticismi orientali (a ciò allude il titolo). Non mancano però tratti di ironia e di parodia nella condotta di un discorso mosso, sferzante e stratificato, che sembra procedere per accumuli di materiali eterogenei e per improvvise decantazioni di immagini: rispecchiate dal sottotitolo ammonitore cave canem, secondo l’antica iscrizione latina accompagnata dalla figura del cane ringhioso alla catena, anch’essa riportata sul frontespizio della partitura.


Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Stagione sinfonica 2000-2001
Jeffrey Tate / Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Articoli