Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy
Concepita inizialmente per il teatro, l’egloga di Stéphane Mallarmé intitolata L’après-midi d’un faune (Il pomeriggio di un fauno) fu pubblicata nel 1876 dall’editore Derenne e illustrata da Manet. Il fauno, risvegliandosi dal suo sonno, ricorda, o crede di ricordare, di aver rapito due ninfe il pomeriggio precedente, in Sicilia, alle pendici dell’Etna. Una delle due ninfe era bionda e casta, l’altra bruna e sensuale. Il fauno non sa se esse siano esistite realmente o se siano visioni di sogno suggerite dai fruscii del vento e dal suono del suo flauto. In preda al dubbio, ricorre alla fantasia e cerca di ricreare i suoi ricordi delle ninfe. Poi, soccombe al calore soffocante, al “”silenzio fiero”” del mezzogiorno, e si addormenta.
In un primo momento Debussy aveva pensato di scrivere, a commento dei 110 versi del poema, una partitura che comprendesse un preludio (il risveglio del fauno che dà voce al suo flauto), alcuni interludi (il rapimento e la fuga delle ninfe) e un finale (il ritorno del fauno al sonno nella rasserenata trasparenza del meriggio calante). La riduzione del progetto al solo Prélude è già di per sé indicativa dell’atteggiamento che alla fine prevalse. Partito dall’idea di una musica di scena teatrale, Debussy approdò a una dimensione astratta, allusiva, evocativa e non illustrativa; dove il motivo intellettuale della ricreazione artistica si legava in primo luogo al tema musicale del flauto, “”strumento delle fughe”” e dell’ebbrezza, come suggeriva il testo. Da questo punto di vista la “”sonora, vana e monotona linea”” del flauto che sogna in un lungo assolo d’incantare la bellezza diviene, nella reinvenzione di Debussy, un arabesco cromatico di dolcissima voluttà, che non rende solo l’immagine d’un molle e pigro ridestarsi nell’inquietudine della calura meridiana, ma anche quella del continuo oscillare tra realtà e sogno, tra luce ed ombra. Questa sinuosa figurazione del flauto si estende, evanescente e ambigua, all’intera pagina come una magia continuamente rinnovata; dapprima in una estatica e sensuale sospensione del tempo, poi in un turbamento che si rianima, incalza e palpita, infine in un ritorno all’atmosfera dell’inizio: in un unico, avvolgente passaggio intrecciato contrappuntisticamente tra voci che si rifrangono e si contemplano.
La ricca tessitura timbrica della partitura si fonda su una forma meticolosamente costruita, a cui siano state sottratte le impalcature per far risaltare i fregi e i colori. L’iridescenza della veste strumentale dissolve ogni episodio nell’altro senza attribuirgli una fisionomia precisa. Le componenti armoniche, melodiche, ritmiche, contrappuntistiche, timbriche, assumono relazioni inedite e polivalenti. E tuttavia tutta questa indeterminatezza si basa su una concezione strutturale rigorosa e perfino severa, classicamente equilibrata e spogliata di ogni ridondanza: tendente a rarefarsi e a svanire nel momento stesso in cui individua un potenziale di esistenza formale e di affermazione poetica. Nell’aria assopita di folli sonni, il fauno di Debussy rivela una nuova sensibilità compositiva perpetuando le parole di Mallarmè: «Forse amai un sogno?».
Composto tra il 1892 e il 1894, il Prélude à l’après-midi d’un faune venne eseguito per la prima volta il 22 dicembre 1894 a Parigi per la Société Nationale de Musique sotto la direzione di Gustave Doret.
Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Stagione sinfonica 2000-2001
Leonard Slatkin / Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia