I Sieben frühe Lieder (Sette Lieder giovanili) di Alban Berg gettano un ponte tra la prima fase creativa del compositore, quasi tutta dominata da una copiosa produzione liederistica, e la fase matura, segnata invece da una decisa svolta verso la composizione strumentale e teatrale. Berg li pubblicò infatti soltanto nel 1928, accostando la versione originale per canto e pianoforte, che risaliva agli anni giovanili dei suoi studi con Arnold Schönberg, a una versione orchestrata proprio in quell’anno, quasi a stabilire un legame non solo affettivo ma anche di natura critica. Proprio Schönberg, nel raccomandare il suo allievo al direttore della Universal Edition Emil Hertzka, aveva scritto in una lettera del 5 gennaio 1910: ‘Alban Berg ha uno straordinario talento compositivo. Quando venne da me però sembrava che la sua fantasia non sapesse creare altro che Lieder, e in questi persino gli accompagnamenti per pianoforte avevano qualcosa dello stile vocale. Nel campo strumentale era del tutto incapace di scrivere una frase o di inventare un tema. È difficile che Lei riesca a immaginare a quali mezzi sia ricorso per rimuovere questa deficienza del suo talento. […1 Io ho colmato questa lacuna e sono convinto che in futuro Berg riuscirà persino a strumentare molto bene». La successiva versione orchestrale dei Sieben frühe Lieder era in un certo senso la dimostrazione di questa profezia a sviluppo ormai compiuto; alle congratulazioni di Schönberg, che l’ascoltò a Berlino nel 1929, Berg rispose con una lettera piena di riconoscenza e di orgoglio: «Questi Lieder hanno per me un valore maggiore di quanto in realtà non possiedano, perché sono strettamente legati al mio periodo di studio con te. E il fatto di essere riuscito a strumentarli in modo che tu trovi che suonano bene mi avvicina molto a questo passato!».
La versione per canto e pianoforte dei Sieben frühe Lieder non rappresenta soltanto un ricordo del passato ma è anche il riconoscimento di un punto di partenza che conteneva già le premesse di un’evoluzione: sotto questo punto di vista possono essere considerati nella loro autonomia come semi di un’opera aperta. Essi non configurano un ciclo unitario, ma piuttosto una costellazione nella quale Berg esplora la storia del Lied romantico immettendovi elementi nuovi e nuove acquisizioni. Ognuno di questi Lieder sembra confrontarsi con l’eredità del passato, stabilendo la continuità ideale di una linea “”viennese”” che da Schubert, passando attraverso Brahms, Wolf e Mahler, giunge a sommare queste esperienze e ad annullarle nella sospensione del presente; un miscuglio, per riprendere una folgorante immagine di Adorno, <<di tenerezza, di nichilismo e di intima confidenza con la caducità più completa>>.
È significativo che la raccolta non segua l’ordine cronologico di composizione ma ne ridisegni per così dire l’arco, alternando tensioni e distensioni, aperture e ripiegamenti. Nacht, su testo di Carl Hauptmann, e Sommertage, di Paul Hohenberg, che aprono e chiudono la serie tracciando un itinerario dall’ombra alla luce, furono composti per ultimi, nel 1908, e rappresentano lo stadio più avanzato della ricerca compositiva sia nella compattezza della scrittura armonica sia nel rigore del tessuto tematico, che raffrena nelle maglie del contrappunto lo slancio dell’empito lirico. Del 1908 è anche Schilied (n. 2, testo di Nikolaus Lenau), Lied di chiaroscuri e di inquiete presenze spettrali, nella cui luce fosca già si intravede – è ancora Adorno a precisarlo – «quella oscurità che appare come eterna eclisse sulla campagna e sulle strade del Wozzeck>>.
I Lieder più antichi risalgono al 1905, e sono Im Zimmer (n. 5, di Johannes Schlaf) e Die Nachtigall (n. 3, testo di Theodor Storm). Vi traspare un’impronta più chiaramente romantica, ma come offuscata, percorsa da un’ansia impercettibile che esercita violenza sulla linea melodica e si riverbera sulla parte pianistica irridendo, dopo averle evocate, le convenzioni. Del 1906 è invece la fervida Liebesode (n. 6), su versi di Otto Erich Hartleben, momento di massima divaricazione drammatica tra la calda espansione della voce e la statica fissità dell’accompagnamento.
Il Lied posto al centro della raccolta, Traumgekrönt (n. 4, composto nell’estate 1907), è di tutti il più complesso e costruito, quasi un simbolo della poesia rispecchiata nella musica: due temi indipendenti, affidati uno alla voce e uno al pianoforte, si scambiano le parti nel passaggio dalla prima alla seconda strofa, a stabilire un principio non so-[o di simmetria ma anche di fondamentale equivalenza. La cifra della musica è data da una sottile interpretazione del testo poetico di Rainer Maria Rilke, contemperando la profondità visionaria di questa lirica del sogno e della morte che anela alla felicità con un freddo controllo stilistico, che suona addirittura tragico.
Non è naturalmente un caso che proprio Rilke abbia dettato a Berg una pagina così alta e moderna, insieme sentita e distanziata da una sorta di intellettuale schermatura. Anche nelle scelte poetiche, che spaziano dalla letteratura dell’Ottocento a scrittori contemporanei elettivamente a lui affini, Berg era guidato dalla volontà di confrontarsi con atteggiamenti diversi, ricavandone motivo di riflessione e spunto dialettico. L’intonazione del testo al di fuori di coordinate prestabilite sembra essere in questi Lieder giovanili la preoccupazione principale, capace di definire articolazioni più ampie e spaziate e di sottomettere la spontaneità dell’effusione melodica a una più consapevole disciplina stilistica. E in questa direzione l’insegnamento di Schönberg fu determinante. Paradossalmente, fu proprio grazie a questo apprendistato che Berg conquistò la sua vera natura essenzialmente lirica, dandole però anche una forma e un timbro.
Karita Mattila, Tuija Hakkila
Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Stagione di musica da camera 1999-2000