Il Trio in sol minore di Smetana
Smetana venne maturando il proprio stile compositivo negli anni Quaranta, sotto l’influenza dei grandi poemi sinfonici di Liszt e Berlioz. Patriota convinto, partecipò ai moti insurrezionali del 1848, che lo videro arruolato nella guardia nazionale, e basò la propria ideologia culturale sul fondamento delle tradizioni musicali del proprio Paese, la Boemia: egli divenne il padre della musica boema e il promotore di una corrente nazionalistica cèca non sottomessa all’egemonia delle culture musicali straniere. La sua opera più nota, il ciclo di poemi sinfonici intitolato Mà Vlast (La mia patria), è il documento più felice di questa volontà di conciliare musica colta e tradizione popolare, spirito sinfonico ed epopea nazionale: intenti che ispirarono anche le sue opere teatrali, dove la freschezza della vita dei villaggi contadini si armonizza con le leggende popolari autoctone e si fonde con le vicende storiche, patriottiche.
Se il nome di Smetana acquistò risonanza internazionale nei campi del poema sinfonico e dell’opera, i tratti caratteristici del suo stile si ritrovano anche nella produzione cameristica, non cospicua ma ben individualizzata. Di essa fa parte, accanto a due successivi Quartetti per archi, un unico Trio con pianoforte, in sol minore op. 15, che risale al 1855 e fu originato da un avvenimento luttuoso: la morte della figlia Bedriska, di soli quattro anni e mezzo di età. È un’opera che nel suo programma autobiografico si configura come un’intima confessione, intrisa di sottili tenerezze, immediata negli stati d’animo, ma energica e compatta, filtrata attraverso una chiara disciplina formale.
La dignità e la compostezza dominano anche nei momenti più amari e dolenti, per tradursi in un discorso non convenzionale, dall’andamento rapsodico, ma classicamente equilibrato.
Ne è dimostrazione il piano costruttivo. Il Trio presenta al primo posto un movimento lento, Moderato assai, che si apre con un recitativo del violino solo nel registro grave: un lamento carico di tensione e di malinconia, a cui fanno eco, sviluppandolo, il pianoforte e il violoncello. Questo tema principale, simbolo del rimpianto, è anche l’elemento che collega tra loro i vari episodi dell’opera ritornando, trasformato nel ritmo e variato nell’armonia, in tutti e tre i movimenti. Lo sviluppo ha un energico slancio drammatico, sottolineato dalla cupa tonalità di sol minore, e viene interrotto da rapide improvvisazioni solistiche, quasi fuggevoli reminiscenze di carezze e di gesti infantili.
Lo Scherzo che segue è in forma di rondò. Figure motiviche derivate dal tema del primo movimento si intrecciano con due episodi alternativi: il primo calmo e disteso (Andante), il secondo nel modo di una marcia funebre (Maestoso). Anche il Finale (Presto) si richiama alla forma del rondò. I temi sono ritmicamente marcati e incalzanti come in una danza macabra, quasi agitati dallo spettro della morte; invano si ripresentano, a scacciare l’ispirazione programmatica, i ricordi lieti e le nuove reminiscenze del tema principale, ora in “”Grave””. Ma quando la tensione ha raggiunto il suo culmine, l’atmosfera improvvisamente si rasserena e il canto si fa vigoroso e quasi affermativo, cancellando il cupo sol minore con una coda giubilante in maggiore.
Andràs Schiff, Yuuko Shiokawa, Boris Pergamenschikov
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Stagione di musica da camera 1998-99