Antonín Dvořàk – Trio in fa minore, per pianoforte, violino e violoncello op. 65

A

Il Trio in fa minore di Dvořak

 

Dei quattro Trii con pianoforte che figurano nel catalogo di Dvo k il più celebre e frequentemente eseguito è l’ultimo in mi minore op. 90, il Dumky-Trio (1891), così chiamato perché si basa quasi interamente sulla forma della dumka, canto popolare slavo particolarmente amato da Dvoràk. Questo, in fa minore, è cronologicamente il terzo e lo precede di una manciata d’anni, essendo stato composto nei primi mesi del 1883, non senza dubbi e travagli. Dvoràk esitò a lungo prima di decidere quale posizione dare ai due tempi centrali, scegliendo solo da ultimo di posporre l’Adagio allo Scherzo: soluzione più moderna che classica, forse suggerita da tendenze in quel momento dominanti in area romantica.

Nel Trio op. 65 si riscontrano i due poli della maniera compositiva di Dvořàk: da un lato gli influssi della tradizione classico-romantica, da Dvořàk pressoché identificata col modello di Brahms, dall’altro l’impronta del canto popolare, ricreata in forma stilizzata. Questa contrapposizione di caratteri si compendia in un linguaggio musicale esuberante, vitalistico, estroverso negli aspetti impetuosi e appassionati, e liricamente ammorbidito in quelli malinconici e sentimentali. La successione dei movimenti intreccia e separa questi elementi. Il primo ha un’impronta decisamente sinfonica, sia nello spessore tematico sia nella ricchezza delle varianti timbriche. Esso parte con un’ampia frase cantata in ottava dal violino e dal violoncello, sostenuta dal pianoforte con un drammatico crescendo: il clima è accesissimo, l’andatura piena e incisiva, senza soste, senza distensioni, neppure nel secondo tema in do maggiore, esposto dal pianoforte su lunghe note tenute degli archi. Il ritmo puntato, pressoché onnipresente, accentua l’impressione di un’urgenza espressiva pressante. Lo Scherzo che segue è un intermezzo assai prossimo alla maniera di Brahms, con un carattere schiettamente popolare nel ritmo e nella melodia; le forme di danza si interrompono nella sezione centrale in tempo Meno mosso, sorta di trio nel quale Dvořàk riprende ed elabora un’idea del primo movimento, anticipando così quel procede-re ciclico che sarà tipico del suo stile maturo; anche armonicamente il collegamento è ingegnoso, con do diesis minore che diventa enarmonicamente re bemolle maggiore.

Il terzo tempo è un Poco Adagio che oscilla tra l’eloquenza del canto a tutto tondo (il cantabile del violoncello all’inizio) e l’assorta malinconia di un ripiegamento lirico ampiamente sostenuto: anche qui la concatenazione armonico-tonale presenta passaggi di sorprendente originalità, questa volta muovendosi nella scia di Schubert. Il compito di riportare il lavoro sul terreno della spontanea adesione alla naturalezza popolare spetta all’Allegro con brio conclusivo. Esso ha la vitalità gioiosa di una danza paesana, pulsante al ritmo di un vivace furiant, fino ad attirare nel circolo del Finale, con gesto calcolato, il primo tema del primo movimento.


Andràs Schiff, Yuuko Shiokawa, Boris Pergamenschikov
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Stagione di musica da camera 1998-99

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