Pëtr Il’ič Čaikovskij – Lo Schiaccianocisecondo atto del balletto op. 71

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Čajkovskij è autore di tre grandi, famosi balletti. Il primo, Il lago dei cigni, in quattro atti op. 20, risale al periodo centrale della sua vita: composto nel 1876, fu rappresentato per la prima volta a Mosca nel 1877. Gli altri due balletti appartengono invece alla fase più tarda della produzione di

Čajkovskij e sono legati alla figura di un coreografo, Marius Petipa (1818-1910), che ebbe un ruolo di assoluto rilievo nel rinnovamento del balletto ottocentesco. La bella addormentata in un prologo e tre atti op. 66 (da Perrault, su sceneggiatura di Petipa in collaborazione con Ivan A. Vsevolozskij, sovrintendente dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo) fu composto nel 1889 e rappresentato per la

prima volta al Teatro Mariinskij nel 1890. Lo schiaccianoci, in due atti e tre scene op. 71, nacque sull’onda di quel successo, con gli stessi artefici: fu infatti Vsevolozskij a proporre il soggetto, Petipa a sceneggiarlo e Čajkovskij a musicarlo tra il 1891 e il 1892. Il balletto completo fu messo in scena per la prima volta al Teatro Mariinskij di Pietroburgo il 6 dicembre 1892, sotto la direzione di Eduard Napravnik e con la coreografia di Marius Petipa realizzata da Lev Ivanov; ma già il 7 marzo precedente, sempre a Pietroburgo, ne era stata eseguita con enorme successo la Suite per orchestra, da allora rimasta un gioiello del repertorio sinfonico.

Con Čajkovskij il balletto si rinnova per diventare da mero spettacolo d’intrattenimento creazione armonizzata di danza e musica, nella quale anche l’elemento decorativo è integrato in un piano compositivo organico. Il tratto innovativo sta nel fatto che, pur in una distribuzione dei singoli numeri che tiene conto delle convenzioni e perfino di ferree indicazioni di carattere e durata, tutta la musica del balletto segue una propria linea di sviluppo: in altri termini, è concepita nel segno di un’unità sinfonica che mira a garantire non solo la tenuta formale ma anche una progressione musicale incalzante. Proprio in considerazione dell’esilità della trama dello Schiaccianoci Čajkovskij inventò con la scrittura orchestrale sonorità speciali che aderissero alle situazioni e caratterizzassero i personaggi della vicenda: al fine di ricreare, con la magia dei timbri, delle figure melodiche e delle trascolorazioni armoniche, le atmosfere e le suggestioni di una visione fiabesca senza spazio né tempo, le cui radici affondavano nelle immagini dell’infanzia e nella immediatezza della fantasia e del canto popolare. L’argomento dello Schiaccianoci si basa su un adattamento di Alexandre Dumas padre del racconto Lo schiaccianoci e il re dei topi di E. T. A. Hoffmann, scritto nel 1816 (il titolo francese dell’adattamento era Casse-Noisette et le Roi des souris). Sulle prime Čajkovskij, che pure era reduce dal grande successo della Bella addormentata, si mostrò riluttante ad accettare, troppo fragile e ripetitiva sembrandogli la storia. A convincerlo fu la proposta di dare il balletto in un’unica serata assieme alla sua nuova opera Iolanta, in modo da presentarsi in una duplice veste: ciò spiega la durata relativamente contenuta del balletto, che nella versione integrale non supera l’ora e mezza. Già la riduzione di Dumas aveva semplificato la trama e stemperato gran parte di quella componente grottesca, un po’ inquietante e ossessiva, che si trovava nel racconto di Hoffmann. Il compito di Petipa fu quello di concepire uno scenario (la coreografia vera e propria fu poi lasciata al suo assistente Lev Ivanov, essendosi Petipa ammalato nel frattempo) che pur conservando esplicitamente il doppio piano della realtà e della finzione alleggerisse il peso di una spettralità surreale e togliesse alla storia ogni carattere di incubo maligno, per trasferirla nella sfera poetica di un sogno natalizio: tutto vi è visto con occhi trasognati, e in proporzioni per così dire miniaturizzate. Dopo la prima rappresentazione il balletto non raggiunse subito una vera e propria affermazione. La sua diffusione fu ritardata, fors’anche ostacolata dalla Suite sinfonica che era stata approntata dall’autore stesso scegliendone i pezzi più brillanti; tanto che per avere la prima del balletto fuori dalla Russia si dovette attendere il 1934, e ancora un bel po’ prima che esso entrasse nel repertorio come una delle più raffinate creazioni di Čajkovskij. Forse anche troppo raffinata per un balletto: di una strumentazione così ricercata e preziosa (basti pensare alla presenza nell’organico del glockenspiel e della celesta, strumenti d’atmosfera più che d’azione) da richiedere, per essere apprezzata, esecuzioni di estrema cura e sensibilità.

Collocandosi nel mondo fantastico dei sogni, il carattere della musica è in molti momenti affidato al colore più che al disegno, all’evocazione più che alla descrizione. Se ne ha un esempio già nella Ouverture-miniature che apre la partitura, dove il carattere miniaturistico è chiaramente indicato dal titolo e la trasparenza è ottenuta con una strumentazione leggera, significativamente mancante di violoncelli e contrabbassi; ma nello stesso tempo la forma è quella della Ouverture classica, con due terni in netto contrasto. Il primo quadro del primo atto si svolge nel salotto della casa del Presidente Silberhaus, la vigilia di Natale. Fervono i preparativi per l’addobbo dell’albero. Prima i due bambini di casa, Clara e Fritz, poi i loro amici fanno la loro entrata scortati da festosi ritmi di marcia. Attorno all’albero di Natale si depongono i doni. Clara è attratta specialmente da uno schiaccianoci in forma di soldato, recatole dal suo padrino, il dottor Drosselmeyer (figura, in Hoffmann, alquanto sinistra); ma nel bel mezzo della festa il giocattolo si rompe: cosa che la musica sottolinea con una improvvisa accelerazione del tempo e un fragore distorto quando la sua meccanica si spezza. La delusione della bambina è subito interrotta dall’intervento dei genitori, che annunciano la Danza del nonno. Tutto sembra dimenticato, ma non è così: di notte Clara torna nel salotto per rivedere lo schiaccianoci, ora avvolto da una luce misteriosa. Come per magia, tutti gli oggetti crescono smisuratamente e prendono vita. Si inizia con una battaglia dei soldatini e dei topi, che vede opposti il Re dei Topi e lo Schiaccianoci; poi lo schiaccianoci si trasforma in un bellissimo principe, che porterà con sé la bimba in un meraviglioso viaggio, rivelandole il mistero della festa e dei regali (quadro secondo). L’atto si chiude con il Valzer dei fiocchi di neve, dove l’incantesimo della notte di Natale sembra quasi far nascere il turbamento di un presagio d’amore.

Il secondo atto, che ascolteremo questa sera, compie il passaggio dalla parte realistica del racconto a quella del sogno e della fantasia. Osserva Luigi Bellingardi nella sua preziosa guida all’ascolto di Čajkovskij: «L’impostazione di Petipa, di strutturare il secondo atto in modo da conferire uno spazio preponderante al susseguirsi di danze diverse per vari solisti, obbligò Čajkovskij ad abbandonare la scrittura drammaturgicamente coerente del primo atto e ad accentuare la forma del pezzo chiuso in una suite di piccoli brani, nettamente diversi l’uno dall’altro eppure legati assieme dalle preziosità della scrittura strumentale». Ne risultò un’articolazione del secondo atto in tre blocchi. Il primo descrive il viaggio di Clara e del Principe-schiaccianoci sul guscio di noce verso Confiturenburg, il castello incantato sul pan di zucchero, regno dolcissimo della Fata Confetto; accolti nel regno meraviglioso delle ghiottonerie, essi sembrano perdersi in un’estasi di stupore infantile. Segue la mirabolante serie di visioni offerte alla bambina, in un Divertissement di sei danze ognuna delle quali illustra un luogo e un paesaggio magico. La terza parte segna invece il progressivo ritorno alla realtà, lo svanire del sogno e il ritrovarsi di Clara nella casa paterna, ai piedi dell’albero di Natale che ha acceso la sua fantasia. Per quanto Petipa fissasse minuziosamente i singoli numeri del balletto con l’evidente intenzione di dare alle sue stelle spazio e occasione di brillare, Čajkovskij riuscì a caratterizzare ogni danza in senso propriamente musicale, con melodie, ritmi, scale, armonie e timbri diversi: ne è esempio il pirotecnico Divertissement centrale, con le sue danze esotiche offerte dalla Fata Confetto e dalla sua corte a Clara per aver aiutato lo Schiaccianoci a sconfiggere il Re dei Topi. Se gli spunti sono del tutto fantasiosi, gli accoppiamenti sembrano mirati ad arte: il Cioccolato diventa una danza spagnola, il Caffè una danza araba e il Thè una danza cinese; c’è poi una danza russa (Trepak) di grande dinamismo, che si rende sempre più incalzante sino a raggiungere un prestissimo finale; il “”divertimento”” si conclude con la caricaturale Danza dei cannoli (o degli zufoli), che evoca un’orchestrina fantasma di strumenti giocattolo, e con la parata descrittiva di Mamma chioccia e i burattini, intessuta di melodie popolari attinte questa volta in area francese.

Che tuttavia questa impostazione un po’ di maniera al compositore andasse stretta lo conferma la spettacolosa gemma del Valzer dei fiori, il cui tema iniziale intonato dalla sonorità vellutata e romantica di tre corni si anima a poco a poco in una grandiosa celebrazione sinfonica dello spirito della danza. E questo il momento più esaltante e giustamente famoso della partitura, che prelude alla parte conclusiva: il Pas de deux della Fata Confetto e del Principe Coqueluce, le variazioni e l’apoteosi finale, con corpo di ballo e orchestra tutti schierati per il meritato applauso.


Yuri Temirkanov / Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti – Stagione sinfonica 1996-97

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