Palestrina, opera in tre atti di Hans Pfitzner su libretto proprio, andò in scena per la prima volta al Residenztheater di Monaco di Baviera il 12 giugno 1917, sotto la direzione di Bruno Walter, con clamoroso successo. Divenne ben presto uno dei titolo più rappresentati nei teatri tedeschi dell’epoca, fino agli anni Trenta, quando la figura di Pfitzner, tacciata di essere reazionaria e accusata di simpatie verso il nazionalsocialismo, venne isolata e messa da parte, senza peraltro godere di particolari favori presso il nuovo regime. Ebbe tra i suoi più convinti estimatori Wilhelm Furtwngler, che lo sostenne apertamente eseguendo in teatro e nelle sale da concerto le sue musiche tra cui, ripetutamente, i tre Preludi tratti dall’opera Palestrina.
Questa costituisce il lavoro più grandioso e ambizioso non soltanto di Pfitzner ma dell’intero teatro tedesco dopo la morte di Wagner e sulla sua scia. Pfitzner vi travasa le proprie convinzioni estetiche in anni di dure battaglie tra innovatori e conservatori (è di questo periodo la sua polemica verso le nuove correnti musicali di Schönberg e Busoni, quest’ultimo attaccato con un pamphlet intitolato Pericolo futurista), identificando nel personaggio di Palestrina, in chiara proiezione autobiografica, il difensore di una visione eternamente immutabile e spiritualmente alta della musica, capace di vincere non solo il radicalismo delle avanguardie ma anche i contrasti stessi all’interno della tradizione. Pur nella consapevolezza che si trattasse di una leggenda (e appunto “”leggenda musicale in tre atti”” suona il titolo originale dell’opera), Pfitzner accettò l’idea che con la Missa Papae Marcelli Palestrina avesse salvato nel Cinquecento l’arte del contrappunto e la musica da chiesa dal bando minacciato dal Concilio di Trento e riaffermato il valore della grande polifonia sacra insidiata dalla nuova pratica della monodia. Così facendo trasferì in un’epoca lontana e in un ambiente storicamente definito temi e interrogativi che riguardavano la sua epoca e la sua persona: un po’ come aveva fatto Wagner nei Maestri cantori di Norimberga, che dell’opera di Pfìtzner è il modello niente affatto nascosto.
Va detto che l’ideale estetico e l’etica spiritualistica di Pfitzner erano tutt’altro che rivolti al passato e che, nonostante un gusto arcaizzante qua c là presente nell’opera, il suo stile vi è assai personale e originale: cosa che fa del Palestrina un capolavoro arduo ma assoluto, purtroppo poco riconosciuto, del teatro del nostro secolo.
I tre Preludi sono collocati ciascuno all’inizio degli atti e costituiscono insieme una introduzione e una sintesi sinfonica del dramma. Il primo, Ruhig (Andante), descrive in un movimento tranquillo e intensamente contemplativo il carattere sereno e deciso del protagonista, travolto poi nel corso del primo atto da una crisi di identità e di ispirazione così profonda da indurlo a pensare al suicidio. La visione delle immagini dei musicisti che lo hanno preceduto e che lo esortano a continuare la sua opera conforta Palestrina e lo spinge a una nuova fede.
L’atto secondo si svolge durante una seduta del Concilio di Trento, tra discussioni teologiche e liti furibonde di cardinali. Questo clima accesamente drammatico, nel quale Pfitzner vince la sfida impossibile di porre una questione teoretica al centro dell’azione, è espresso con tempestosa violenza dal Preludio, Mit Wucht und Wildheit (Con impeto e fierezza), pezzo di vivaci contrasti e di squarci possenti, che da solo basterebbe a rintuzzare l’accusa di una impermeabilità dell’autore alle aperture e alle novità dei linguaggi contemporanei.
Un sapore pacificato, arcaico e solenne, ha invece il terzo Preludio, Langsam, sehrgetragen (Adagio, molto sostenuto), che annuncia la vittoria di Palestrina sui suoi dubbi e l’accettazione di un compito che innalzerà la sua concezione dell’arte oltre la realtà storica del suo tempo. Tema che sarà riaffermato con commovente partecipazione nell’ultima scena, allorché Palestrina, compiuta la sua missione, si siede all’organo e con animo sereno ringrazia Dio, solo di fronte all’eternità.
Christian Thielemann / Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti – Stagione sinfonica 1993-94