Ludwig van Beethoven – Fantasia in do minore op. 80per pianoforte, coro e orchestra

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La Fantasia per pianoforte, coro e orchestra op. 80 deve gran parte della sua notorietà al fatto che vi appare, come in uno studio preliminare, una chiara anticipazione del tema poi sviluppato nell’Inno alla gioia della Nona Sinfonia. Il nucleo di questo tema risaliva in realtà a un Lied scritto da Beethoven nel 1795, Gegenliebe (Amore reciproco), su una ballata di Gottfried August Bürger: circostanza che rende ancora piu affascinante la storia delle sue trasformazioni dalla originaria cornice soggettiva, sentimentale (un semplice canto d’amore) alla celeberrima unione con il testo di Schiller. Il suo uso nella Fantasia op. 80 è il ponte che collega questo passaggio: qui il tema viene non solo intonato su versi assai simili (nel contenuto, non nella forma e nella qualità poetica) a quelli dell’ode di Schiller, ma anche introdotto attraverso una progressione che dallo strumento solista procede nelle diverse sezioni dell’orchestra, per culminare solo da ultimo nell’entrata del coro, ossia della parola cantata. Non diversamente, dunque, da quanto accade nel Finale della Nona (pianoforte a parte).

Fu Beethoven stesso a chiedere al poeta austriaco Christoph Kuffner (1780-1846) di adattare su nuove strofe lo spunto tematico del vecchio Lied al fine di poterlo usare in una composizione a cui annetteva speciale importanza. Si trattava infatti di ricavarne il brano conclusivo, e quindi in un certo senso riassuntivo (donde, a suo parere, la necessità di un testo che ne esplicitasse alla fine l’ideale programmatico), della grande “”accademia”” del 22 dicembre 1808 al Theater an der Wien: nel corso della quale furono presentate in prima esecuzione assoluta la Quinta e la Sesta Sinfonia, nonchè parti della Messa in do maggiore e, per la prima volta in pubblico dopo 1’esecuzione privata

del marzo 1807 nel palazzo del principe Lobkowitz, il Quarto Concerto per pianoforte e orchestra. Oggi a noi può sembrare strano che Beethoven sentisse il bisogno di aggiungere a un programma già così nutrito di lavori nuovi (e che lavori!) anche la Fantasia; ma la spiegazione è semplice: Beethoven voleva accomiatarsi dal pubblico con una composizione in cui figurasse un brano vocale di lui rappresentativo e nella quale potesse esibirsi al pianoforte anche in veste di improvvisatore (secondo la tradizione delle accademie). L’Introduzione per pianoforte solo fu infatti improvvisata in quell’occasione da Beethoven stesso e solo il Finale, composto “”in un tempo brevissimo”” nel dicembre di quello stesso anno, era stato steso in partitura (l'””Adagio”” che apre attualmente l’opera fu aggiunto a metà del 1809 per la pubblicazione, che avvenne nel luglio del 1811). Con questo gesto Beethoven voleva forse ulteriormente impressionare il pubblico: il caso (o ii destino, chissà) volle che un incidente capitato durante 1’esecuzione lo costringesse a interrompersi di colpo, cosicchè la Fantasia dovette essere ripetuta da capo. E di questo, incredibilmente, soprattutto si discusse alla fine (e il giorno dopo sui giornali) di quello storico concerto, il cui solo ricordo a noi mette i brividi.

La Fantasia corale (titolo con cui è di solito indicata e che ne rispecchia la forma eterogenea) si articola in due parti nettamente distinte. La prima è interamente affidata al pianoforte e si apre con perentori accordi in fortissimo sviluppati in arpeggi sulla tonalità di do minore (la tonalità della Quinta) e proseguiti poi nello stile di una poderosa cadenza; dopo un episodio di transizione in pianissimo il pianoforte preannuncia quasi esitando il tema principale. Inaspettatamente, con un fare misterioso, gli archi gravi introducono un motivo di marcia, quasi richiedendo il dialogo col pianoforte. A poco a poco da questo dialogo chiaramente ispirato allo stile del Quarto Concerto, che il pubblico aveva appena ascoltato, si snoda, solennizzata da un motto simbolico di corni e oboi, la melodia completa del tema, prima in minore, poi, definitivamente, in do maggiore, affidata nuovamente al pianoforte. Ha inizio così la vera e propria seconda parte. Essa si basa su una serie di variazioni: le prime cinque affidano il tema a strumenti ogni volta diversi (nell’ordine flauto, oboe, clarinetto con fagotto obbligato, quartetto d’archi e tutti), di modo che l’organico dell’orchestra aumenta fino a raggiungere la piena espansione sinfonica; la sesta, in minore, rilancia il dialogo col pianoforte in una atmosfera tesa e carica di presagi, condensata poi in una drammatica catena di trilli del pianoforte che incorniciano la settima variazione, di tono invece più discorsivo e pacificato. Di qui il clima si rasserena e, rischiarandosi dopo la tempesta, si apre nell’apoteosi di una marcia trionfale in fa maggiore (la tonalità e i1 procedimento sono quelli della Pastorale), scandita dai fiati e festosamente accompagnata da trombe e timpani. In essa si tocca 1’apice della gioiosa affermazione strumentale della melodia e, proprio come nella Nona, si prepara 1’entrata della voce umana (dapprima due soprani e un contralto, poi due tenori e un basso, infine il coro), cui spetta celebrarla. Cosa che avviene in un rinnovato tripudio a cui concorrono anche il pianoforte e l’orchestra.

Composta in fretta, e non con piena soddisfazione circa l’operato del poco sublime Kuffner, la Fantasia è dunque un lavoro d’occasione, ma per un’occasione molto importante. Probabilmente Beethoven voleva cosi alleggerire la tensione di quella serata, ma non impoverirla. Ciò che gli premeva più di tutto era lasciare un messaggio inequivocabile degli intenti che muovevano la sua creazione (in questo senso va inteso anche il tratto riconoscibile che avvicina la Fantasia al Flauto magico di Mozart): un’idea già cosmica e trasfigurata dell’arte, sorretta dall’ambiziosa visione della potenza espressiva della musica. Questa è ben rappresentata dalle parole, non a caso ripetute con particolare fervore e forse addirittura suggerite da lui stesso, che chiudono la terza e ultima strofa della composizione, esaltate dal coro: «Accogliete, anime belle, lietamente i doni dell’arte. Quando 1’amore si unisce alla forza, l’uomo e ricompensato dal favore degli dei>>. Quasi un ritratto di Beethoven stesso.


Norbert Balatsch / Stefano Arnaldi, Orchestra e Coro dell’Accademia Musicale di Santa Cecilia
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti – Stagione sinfonica 1991-92

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