Gustav Mahler – Sinfonia n. 1 in re maggiore

G

Gustav Mahler – Sinfonia n. 1 in re maggiore

Quella che sarebbe divenuta la prima delle nove Sinfonie portate a termine da Mahler ebbe una genesi alquanto tormentata. La forma nella quale comunemente la conosciamo – in quattro movimenti, secondo una struttura quasi classica, nonostante le dimensioni già notevolmente ampliate, anche se non inconsuete per 1’epoca – fu il risultato di un lungo travaglio che accompagnò una fase importante nello sviluppo del pensiero sinfonico di Mahler. Quando cominciò a comporla, Mahler aveva venticinque anni e alle spalle un gruppo di opere già significative e ambiziose. Al loro centro stava però ancora la voce, in un rapporto privilegiato con la letteratura romantica, soprattutto con quella di tono popolare e intimistico, fiabesco e umoristico, nella quale il musicista si era gettato secondando la sua natura anche come autore dei testi.

Anche la Prima Sinfonia nacque con profonde radici extra-musicali, ma a poco a poco queste radici

vennero recise per avviare la conquista dell’autonomia della forma sinfonica. E in questo senso vanno intese le continue revisioni a cui 1’autore sottopose la partitura. Quando essa venne eseguita per la prima volta, infatti, a Budapest il 20 novembre 1889 (dopo oltre tre anni di lavoro, dal 1885 al 1888), il sottotitolo 1’annunciava come “”poema sinfonico in due parti””.

Un programma vero e proprio comparve pero soltanto dopo un’ulteriore revisione, ultimata il 16 agosto1893: sempre in due parti, la Sinfonia recava ora it titolo “”Titano””, tratto dal romanzo omonimo di Jean Paul (1800-1803), e si articolava in cinque movimenti ognuno dei quali presentava un lungo programma letterario e pittorico, fitto di descrizioni e di riferimenti ancor più specifici a Jean Paul (per esempio nel secondo movimento, Blumine). In questa veste, indicata come “”poema sonoro in forma di sinfonia””, la partitura venne eseguita ad Amburgo il 27 ottobre

1893; ma le stesse implicazioni di ordine letterario parvero a Mahler troppo gravose e fuorvianti. Sicchè dopo la terza esecuzione (Weimar, 3 giugno 1894) Mahler elimino l’Andante, ossia Blumine, e il programma illustrativo,      intitolando 1’opera semplicemente “”Sinfonia in re maggiore””. E in questa forma essa venne data a Berlino il 16 marzo 1896 e apparve nelle edizioni a stampa, senza Blumine, che rimase ineseguita fino al 1967, quando Benjamin Britten la presentò da sola in un concerto al Festival di Aldeburgh, riproponendola all’attenzione del pubblico e degli studiosi.

Che cosa raccontava il programma di accompagnamento alla Sinfonia? La prima parte, intitolata “”Dai giorni di gioventu: fiori, frutti e spine””, cominciava con la rappresentazione del risveglio della natura dal lungo sonno invernale (“”Eterna primavera: Introduzione e Allegro comodo””), proseguiva con l’Andante Blumine (“”una ghirlanda di fiori””) e terminava con lo Scherzo, “”A gonfie vele””. “”Commedia humana”” era invece il titolo della seconda parte, concepita in due sezioni: la prima, “”Piantato in asso””, una “”Marcia funebre nello stile di Callot”” ispirata al quadro infantile e fiabesco del “”Funerale del cacciatore””, si mutava repentinamente in un Allegro furioso, “”Dall’Inferno al Paradiso””, per descrivere “”l’improvviso scoppio di disperazione di un cuore ferito nel profondo””. Ma più che a precise immagini o a una vera e propria storia a cui la musica si doveva attenere queste indicazioni programmatiche, aggiunte solo in un secondo momento e poi ripudiate, servivano a stabilire un clima, a evocare delle suggestioni. Certo, in esse si ritrovano i temi prediletti della poetica mahleriana, il senso dell’immensità della natura, il rimpianto per l’innocenza perduta, e nello stesso tempo la sensazione di estraneita dell’uomo di fronte al mistero dell’esistenza: con momenti di estasi e di disperazione in continua, problematica interazione. Se è vero che Mahler non dubitava della forza espressiva della sua musica, un tratto di fondamentale ingenuità presente nella sua indole di sognatore lo spingeva a credere che fosse necessario spiegare i contenuti delle        sue partiture, non foss’altro per mettere 1’ascoltatore nella disposizione d’animo giusta ad affrontarne il peso e le atmosfere. Ciò non aveva niente a che fare con il carattere intrinseco della musica, di per se stessa eloquente, ma semmai nasceva da un problema di ricezione, verso il quale Mahler, da uomo pratico qual era, si mostrava estremamente sensibile. E quando si rese conto che i programmi, anzichè aiutare la musica, al contrario ne dilazionavano e complicavano la           comprensione favorendo equivoci e banalizzazioni, con altrettanto senso pratico li abolì, senza che per questo cambiassero la sostanza e il senso delle cose.

Nel cammino della Prima Sinfonia si assiste però, parallelamente all’altalena dei programmi, a un processo di riduzione del piano compositivo che ha         ben altro valore. L’abolizione dell’Andante Blumine, per quanto si tratti di una pagina deliziosa, luminosa e serena, va nella direzione di un equilibrio formale sempre più interno all’arco disegnato dalla musica. Il ritorno ai quattro movimenti canonici, con lo spostamento del tempo lento dal secondo al terzo posto,

non soltanto ricompone un quadro di misura classico ma offre all’economia dell’opera una notevole forza propulsiva. Che ciò fosse per Mahler un punto di arrivo e non di partenza, una conquista e non una premessa, non è la ragione ultima che fa della Prima Sinfonia un lavoro speciale e unico, quasi un ponte che dalle ultimi propaggini della Sinfonia romantica si slancia verso nuove prospettive, chiudendo un’epoca per annunciarne una nuova.

Da questo punto di vista, bisogna attendere il gesto      dimostrativo che apre 1’ultimo movimento (“”Con moto tempestoso””) perchè l’idea di irruzione rigeneratrice della forma si affermi in tutta la sua portata. Ciò che precede quel momento intensamente drammatico, simile a un sipario che si squarci per lasciar finalmente vedere ciò che prima era avvolto da un velario di brume e ombre, e preparazione e attesa, reminiscenza e visione interiore. Se un programma vi è sotteso, esso rimane tutto interno alla sensibilità che vuol mettersi alla prova, per diventare, prima ancora che figura, suono. All’inizio della Sinfonia, nella introduzione lenta (“”Lento, strascicato””) che precede il quieto snodarsi del tema principale (“”Sempre molto tranquillo””), Mahler rappresenta la condizione originaria del suono, intesa come Naturlaut, suono di natura: su un lungo pedale tenuto dagli archi i legni a turno espongono un motivo di quarte discendenti, simbolo della voce intatta della natura, cui si contrappone, con brusca accelerazione, una fanfara portata prima dai clarinetti e poi dalle trombe. Questa entrata definisce già un panorama sul quale la Sinfonia muoverà i suoi passi, dopo aver identificato un contrasto tipico fra mondo della natura e visione individuale, che quella purezza contamina per il solo fatto di esistere, dell’uomo. Si affaccia qui per la prima volta in veste puramente musicale una contraddizione che è alla base dell’arte di Mahler: se la percezione del mondo della natura può esistere solo nel momento in cui il compositore la materializza in suoni, ogni ricreazione, anche quella che si manifesta “”come un suono della natura””, è impura e artificiale e ne svela al massimo una “”seconda natura””. E mai Mahler è cosi consapevole di questa contraddizione come quando cita temi o motivi tratti “”direttamente”” da quel mondo.

L’elemento di maggior peso nella Prima Sinfonia, dopo la riflessione sul suono, è dato dalla importanza annessa all’elaborazione. Nessuno dei temi principali che compaiono nei primi tre movimenti è di nuovo conio: quello del primo movimento, presentato dai violoncelli accompagnati dal primo fagotto, deriva dal secondo dei Lieder eines fahrenden Gesellen, Ging heut’ morgen fibers Feld; lo Scherzo prende le mosse dalla citazione di un altro Lied composto in precedenza, Hans und Grethe, combinato con la quarta discendente del Naturlaut del primo tempo; quanto alla marcia funebre, essa si basa sulla notissima cantilena Bruder Martin (il nostro “”Fra Martino””), esposta dal contrabbasso, in una combinazione che alla deformazione ironica dà via via un tono sempre più beffardo e sarcastico di parodia spettrale: e quando una nuova idea viene a interrompere questo corteo bizzarro e comicamente stralunato, ecco che si tratta ancora di una citazione, la melodia del Lied Die zwei blauen Augen, quarto dei Lieder eines fabrenden Gesellen (da suonarsi, prescrive Mahler, “”in maniera semplice e disadorna, come un’aria popolare””).

Che cosa significa questo continuo intrecciarsi di citazioni, anzi di autocitazioni, nella Prima Sinfonia? Due cose almeno. In primo luogo viene inoculata nei gangli vitali della sinfonia una forte dose di “”vissuto””, di memoria autobiografica. Citando se stesso, e citandosi in figure emblematiche del suo passato (come fahrender Geselle, ossia viandante) o del suo retroterra politico-culturale (gli archetipi della musica popolare), Mahler sembra voler affermare la propria individualità nella storia, convincersi di essere vivo e di esistere. Sotto questo profilo la Sinfonia e un mezzo per scrivere la propria autobiografia spirituale in termini musicali. Ma c’e anche un secondo aspetto da considerare, forse ancora piu importante. L’unico modo per affermare la propria esistenza nel mondo e percorrerne le strade guardando in avanti, elaborando cioè quei temi in modo dinamico e progressivo facendone lo strumento di una esplorazione che, per quanto circoscritti siano i confini, anela a superare i limiti e a scoprire una conciliazione nell’ignoto. Nasce di qui la modernità linguistica della musica di Mahler, e ancor più quel brivido, quella fertile sensazione di crisi che Adorno ha descritto in modo impareggiabile, affermando che la musica di Mahler “”anticipa terribilmente con mezzi passati cio che deve venire””. La Prima Sinfonia, con la continua tensione dei suoi svolgimenti e delle sue progressioni, individua questo desiderio di totalità e ne traccia in modo esemplare un possibile itinerario, non ancora illusorio.

L’inizio del quarto movimento segna al suo interno un momento estremamente critico, un punto di non ritorno. E’ uno squarcio colossale, creato ad arte (fin troppo banale mettere in risalto quanto vi sia di teatrale, e di esibito in questo) con il ricorso a tutta la scienza degli effetti orchestrali. Ma ciò che esso vuol rappresentare con un gesto drastico, che brucia 1’attesa, è 1’annuncio di spazi e orizzonti nuovi, quasi prefigurando una trasfigurazione, una volta placata la tempesta. E la trasfigurazione, preparata da zone contemplative e idilliche, avviene allorchè si ripresentano i motivi e i temi del primo tempo, a partire dall’introduzione lenta. Non si tratta qui di una ricapitolazione tesa a dare alla Sinfonia un carattere ciclico, bensì di un passaggio di livello, di un’ascesa: come di chi, superata la barriera delle nubi, si trovi davanti la visione illimitata della luce. Anche i suoni di natura appaiono ora in una prospettiva nuova: non più emblema di una purezza irraggiungibile, ma voci di presenze amiche, che infondono sicurezza e calore. E che confortano, dalle altezze in cui la loro pura essenza musicale spande un’eco gioiosa, a dare un senso concreto, positivo alla vita e all’errare.

Mahler non avrebbe mai piu ripetuto la soluzione, insieme semplice e ardita, del Finale della Prima Sinfonia: nel quale un atto di fede nella tradizione della forma sinfonica si salda in unità con il superamento della forma come tradizione. E ciò fa di questa quasi un arcobaleno tracciato nel cielo per collegare la terra popolata di fantasmi all’ultimo Walhalla, dopo il crepuscolo e prima che scenda la notte.


Zoltàn Peskò / Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti – Stagione sinfonica 1991-92

Articoli