Un’opera di chiarificazione
Nel dicembre del 1901 Schönberg lasciò Vienna e si trasferì a Berlino, dove lo scrittore Ernst von Wolzogen lo aveva invitato come direttore d’orchestra allo “”Oberbrettl””, un cabaret letterario in grande stile che dava i suoi spettacoli al Buntes Theater (Teatro a colori) e che era diventato, sotto la guida animatrice di Wolzogen, luogo d’incontro delle avanguardie artistiche del tempo. Tramite Wolzogen Schönberg entrò nell’aprile del 1902 in contatto con Richard Strauss, che oltre a procurargli un posto di insegnante al Conservatorio Stern e successivamente una borsa di studio della Fondazione Liszt si era impegnato a sostenerlo nella sua attività di compositore.
Strauss era persuaso che la piena affermazione di un musicista non potesse prescindere dal teatro, come anch’egli stava sperimentando. Fu con questa convinzione che suggerì a Schönberg di prendere in considerazione come progetto d’opera (a suo parere ottimo, ma evidentemente non tanto da dedicarcisi lui stesso) il dramma Pelléas et Mélisande di Maurice Maeterlinck, rappresentato a Parigi nel 1893 e subito diventato l’opera-manifesto del teatro simbolista; già noto anche a Berlino nell’edizione curata da Max Reinhardt al Kleines Theater (Piccolo Teatro) nel 1901, nonché entrato a far parte degli orizzonti, cui sembrava predestinato, dei musicisti: il primo dei quali era stato Gabriel Fauré, autore nel 1898 delle musiche di scena in occasione di un allestimento della pièce a Londra.
Dopo aver attentamente considerato il soggetto, Schönberg rinunciò alla realizzazione teatrale ma non all’idea di comporlo, indirizzandosi sulla forma di un poema sinfonico per grande orchestra. Su questa decisione non pesò il fatto, a lui del tutto ignoto, che nello stesso periodo Claude Debussy avesse lavorato a un’opera sul medesimo titolo: opera che era andata in scena per la prima volta a Parigi il 30 aprile 1902. Piuttosto è probabile che a influenzarlo fosse proprio l’esempio di Strauss, che ammirava come sommo maestro del poema sinfonico, oltre alla possibilità di racchiudere gli stati d’animo e i caratteri del pezzo in forme musicali ben determinate, di tipo sinfonico, secondo una tecnica che un’opera teatrale non avrebbe consentito in eguale misura. È quanto si ricava appunto da ciò che Schindirizzandosi sulla forma di un poema sinfonico per grande orchestra. Su questa decisione non pesò il fatto, a lui del tutto ignoto, che nello stesso periodo Claude Debussy avesse lavorato a un’opera sul medesimo titolo: opera che era andata in scena per la prima volta a Parigi il 30 aprile 1902. Piuttosto è probabile che a influenzarlo fosse proprio l’esempio di Strauss, che ammirava come sommo maestro del poema sinfonico, oltre alla possibilità di racchiudere gli stati d’animo e i caratteri del pezzo in forme musicali ben determinate, di tipo sinfonico, secondo una tecnica che un’opera teatrale non avrebbe consentito in eguale misura. È quanto si ricava appunto da ciò che Schönberg scrisse retrospettivamente in un saggio del 1950, che faceva il punto sulla sua evoluzione di compositore: “”Intorno al 1900 Maurice Maeterlinck affascinava i compositori, stimolandoli a creare musica sui suoi drammi. Ad attirare era la sua arte di mettere in scena problemi eterni dell’umanità nella forma di fiabe senza tempo, che non imitavano gli stili antichi. Dapprima avevo progettato di trarre da Pelleas und Melisande un’opera teatrale, ma poi vi rinunciai, sebbene non sapessi che contemporaneamente Debussy stava lavorando alla sua opera. Mi pento ancora oggi di non aver realizzato la mia intenzione iniziale. La mia opera avrebbe avuto un esito diverso da quello di Debussy: forse non avrei colto il meraviglioso profumo della poesia, ma avrei reso più cantabili i personaggi. D’altro canto il poema sinfonico mi fu d’aiuto insegnandomi a esprimere stati d’animo e caratteri in unità musicali ben formulate, tecnica che un’opera teatrale non avrebbe forse favorito altrettanto bene””.
Iniziata il 4 luglio 1902, la composizione fu ultimata, sempre a Berlino, il 28 febbraio 1903. La prima esecuzione ebbe luogo, sotto la direzione dell’autore, a Vienna (dove Schönberg era nel frattempo ritornato) il 26 gennaio 1905, provocando grandi tumulti tra il pubblico e anche tra i critici. A sconcertare furono non soltanto l’esorbitante durata del lavoro (tre quarti d’ora: neanche Strauss era ancora giunto a tanto) e l’enormità dell’organico, comprendente 17 legni, 18 ottoni, due arpe e 64 archi oltre a una nutrita percussione (le grandi Sinfonie di Mahler non erano ancora di casa a Vienna), ma anche l’aggressività della scrittura e l’inaudita densità contrappuntistica, spinta ai limiti dell’indeterminatezza tonale. È lecito ritenere che all’insuccesso contribuissero anche l’insufficienza delle prove (nello stesso concerto era in programma la prima esecuzione della fantasia per orchestra Die Seejungfrau di Zemlinsky, diretta dall’autore) e la scarsa dimestichezza di Schönberg, come direttore, con le grandi masse. Ne è riprova il fatto che solo sei anni dopo, sotto la direzione di Oskar Fried, il pezzo ebbe accoglienza positiva e, a differenza di altri lavori di Schönberg, in seguito non ha costituito più un problema né per le orchestre né per gli ascoltatori. Si può semmai aggiungere come curiosità che in uno scritto d’introduzione alla partitura del dicembre 1949 Schönberg ricordava ancora il giudizio particolarmente malevolo di un critico, non nominato, il quale dopo l’ascolto aveva suggerito di metterlo in manicomio e di tenere la carta da musica fuori della sua portata. Quel critico era in realtà Richard Strauss, che in una lettera ad Alma Mahler di alcuni anni successiva alla prima esecuzione si era espresso in questi termini: “”Oggi, l’unico modo di aiutare Schönberg sarebbe chiuderlo in manicomio. Piuttosto che scarabocchiare carta pentagrammata, farebbe meglio a spalare la neve””. Schönberg aveva commentato: “”Dal punto di vista artistico, egli [Strauss] oggi non m’interessa affatto, e ciò che a suo tempo avevo imparato da lui, grazie a Dio l’ho male interpretato””.
Se la partitura di Schönberg aveva segnato il momento di massimo avvicinamento a Strauss, d’altro lato se ne distaccava nel modo di interpretare la funzione della musica nel poema per orchestra: salvando in rapporto al dramma ispiratore l’autonomia della forma sinfonica. Ma anche di questo esito l’autore fu soddisfatto solo in parte, soprattutto dopo che l’evoluzione della sua arte lo ebbe portato in tutt’altre direzioni: pur riconoscendo che nell’opera giovanile comparivano “”molti tratti che hanno contribuito a formare lo stile della mia maturità””, lo considerava un passaggio superato. “”Il poema sinfonico Pelleas und Melisande“”, scriveva nella ricordata introduzione del 1949, “”è ispirato da capo a fondo allo splendido dramma di Maurice Maeterlinck, di cui ho cercato di riflettere ogni particolare con solo alcune omissioni e con lievi modifiche nella successione delle scene. Forse, come spesso accade in musica, uno spazio maggiore è riservato alle scene d’amore””. Schönberg proseguiva esemplificando i temi musicali che rappresentavano, “”sul tipo dei Leitmotive di Wagner””, i tre personaggi principali di Melisande, Golaud e Pelleas, ed enumerando le trasformazioni che corrispondevano ai mutamenti di atmosfera e agli sviluppi della trama. Ciò che gli premeva anzitutto sottolineare era la novità di soluzioni inconsuete tanto nella melodia quanto nell’armonia (“”molte melodie contengono intervalli extratonali, che richiedono movimenti inconsueti dell’armonia””) e la ricchezza illustrativa della strumentazione: quasi con compiacimento si soffermava sulla scena in cui Melisande fa pendere i capelli fuori dalla finestra (“”il passaggio relativo si inizia con i flauti e i clarinetti che si imitano rigorosamente tra loro. Si aggiungono poi le arpe, mentre il violino solo suona il motivo di Melisande e il violoncello solo il tema di Pelleas. Continuano poi i violini divisi nel registro acuto e le arpe””), poi su quella nella quale Golaud accompagna Pelleas nelle terrificanti segrete sotterranee, quando “”viene prodotta una sonorità notevole da molti punti di vista ma specialmente perché qui per la prima volta nella letteratura musicale è usato un effetto in larga misura sconosciuto: il glissando dei tromboni””. La tensione febbrile che si addensa nelle linee polifoniche determina una scrittura armonica di straordinaria, inquieta mobilità: il pezzo è impiantato in re minore (questa tonalità, cara al giovane Schönberg, s’incontra anche in Verklärte Nacht op. 4 e nel primo Quartetto per archi op. 7: essa è alla base anche dei Gurrelieder, allora già composti ma portati a termine nella strumentazione molto più tardi, facendo in ogni senso tesoro dell’esperienza del poema sinfonico); i confini armonici sono però assai allargati e toccano zone estreme di incertezza tonale: vi sono impiegati anche accordi per quarte e per toni interi. Da questo punto di vista la partitura di Pelleas und Melisande è un momento essenziale nella chiarificazione espressiva di Schönberg, come egli stesso riconosceva nella sua Harmonielehre (1911): “”Gli accordi per quarte si presentano qui isolati una sola volta per esprimere un’atmosfera la cui peculiarità m’indusse contro voglia a trova-re un nuovo mezzo d’espressione. Sì, contro voglia, perché ancora oggi ricordo che indugiai a scrivere quest’armonia, ma non potei poi farne a meno data la chiarezza con cui essa mi si imponeva””.
La modernità delle soluzioni armoniche, accanto alla ricchezza del tessuto contrappuntistico e all’audacia delle invenzioni timbriche, rappresenta però soltanto una parte degli elementi che fanno la grandezza, non solo quantitativa, di quest’opera. Il programma che vi è sotteso non si risolve in intenti esteriori, puramente descrittivi, drammatici o lirici, ma del dramma riproduce lo svolgimento interiore, mantenendo salda l’impronta di una forma sinfonica modellata; oltre che sui principi wagneriani dei motivi conduttori, sui capisaldi della musica assoluta. Se Anton Webern, in un saggio del 1912, metteva in risalto proprio la ricchezza delle elaborazioni dei temi disposti “”come in una libera fantasia””, Alban Berg, in una più dettagliata analisi tematica scritta nel 1920, notava come nel procedere ininterrotto e particolarmente fitto della partitura si potessero riscontrare quattro ampie sezioni corrispondenti ai quattro movimenti di una sinfonia. La prima parte è trattata come un vasto tempo di sonata, con l’introduzione (l’incontro nella foresta tra Golaud e Melisande, il “”motivo del destino”” esposto dal clarinetto basso, il tema di Melisande affidato nella forma originale all’oboe e nelle varianti ai legni e quello di Golaud ai corni) e lo sviluppo variato (qui appaiono le armonie di accordi per quarte) dei tre temi-personaggi (quello di Pelleas, che si presenta per ultimo alla tromba e ai corni, ha un carattere vigoroso e cavalleresco). Dopo questo sviluppo, nel quale particolare rilievo assume l’appassionato “”motivo del risveglio dell’amore in Melisande”” (clarinetto e violino solo), segue una sorta di Scherzo in tre episodi, con le scene della fontana nel parco, della torre del castello e della discesa nei sotterranei: dove quella centrale, in cui Melisande scioglie i lunghi capelli biondi fuori dalla finestra, naturalisticamente drappeggiata dalle arpe come in Debussy, può essere assimilata a un Trio di rarefatta strumentazione solistica, con due violini soli che suonano il motivo di Melisande e il violoncello solo che risponde con quello di Pelleas. La terza parte è un Adagio molto esteso, di lunghe melodie e di grande concentrazione espressiva (qui appaiono gli accordi per toni interi), che corrisponde alla scena d’amore e d’addio tra Pelleas e Melisande; la conclude, annunciato da ritmi puntati minacciosi e da forti impulsi percussivi dell’orchestra, l’arrivo di Golaud, che uccide Pelleas. La quarta e ultima sezione (morte di Melisande) è costruita come una libera ripresa di quasi tutto il materiale tematico precedente, con un epilogo con carattere di coda. Il brano si estingue, dopo tanta stratificazione sonora, in un diafano pianissimo sull’accordo di re minore.
Nello schema così riassunto sulla traccia indicata da Berg le proliferazioni dei temi, le sovrapposizioni e le metamorfosi appaiono estremamente flessibili e condensate, ma la loro visionaria, incandescente forza emotiva si distribuisce in un discorso sinfonico unitariamente concepito. Ciò spiega perché dall’ascolto di questa partitura smisurata, complessa e audace, che pur conduce i suoi intrecci e i suoi contrasti fino alle soglie della atonalità, si ricavi l’impressione di una misura e di una compiutezza quasi classiche, di una organica chiarezza strutturale che rende le sue proporzioni formali e i suoi contenuti espressivi naturali e insieme necessari. Guidato da questa necessità, Schönberg trasforma ma non annulla quei valori di relazione e di comunicazione che hanno le loro radici nella tradizione e il loro fondamento nella legge della creazione: un fondamento che anche nel suo avanzamento verso la sospensione tonale è retto da solide ragioni linguistiche e musicali, non meno che spirituali e umane.
Claudio Abbado / Berliner Philharmoniker
Teatro del Maggio Musicale Fiorentino Fondazione, Opere Concerti Balletti Stagione 2001-2002