“”Alla memoria di un angelo””
II 9 febbraio 1935 Alban Berg compiva cinquant’anni. Viveva isolato a Vienna ma era un compositore internazionalmente riconosciuto, anche se chiaramente non di successo: assai più affermato di quanto non lo fossero in quegli anni il suo maestro Arnold Schönberg, costretto all’esilio negli Stati Uniti, e il suo collega, di poco più anziano, Anton Webern. Nei dieci anni successivi alla prima rappresentazione berlinese (14 dicembre 1925), Wozzeck era stato ripreso in più di venti teatri: si poteva considerare un’opera entrata a viva forza nella coscienza del Novecento, anche se osteggiata perché ritenuta “”scandalosa”” e “”dissacrante””. Le scadenze per l’anno appena iniziato erano precise: Berg doveva finire l’opera Lulu, il cui abbozzo era stato terminato già nell’aprile 1934 e i cui Symponische Stücke (Suite sinfonica) erano stati presentati da Erich Kleiber alla Staatsoper di Berlino il 30 novembre. Proprio questa esecuzione aveva però addensato più di una nube sui progetti artistici futuri, che prevedevano a Berlino la prima rappresentazione della nuova opera. Kleiber era stato fatto oggetto di violenti attacchi da parte della stampa per la sua conduzione della Staatsoper e nel gennaio 1935 si era dimesso per protesta contro la politica culturale del Terzo Reich, emigrando in Sudamerica; Berg temeva, come poi di fatto avvenne, che le sue musiche già poco gradite in Germania sarebbero state proibite dai nazisti. Ciò avrebbe significato perdere di colpo una buona fetta dei diritti d’autore, di cui principalmente viveva, e forse la sua libertà.
Fu anche questa situazione incerta e scoraggiante a convincerlo a interrompere in febbraio la strumentazione della Lulu per accettare la commissione di un Concerto per violino da parte del violinista americano Louis Krasner, che l’aveva accompagnata con la non modesta offerta di un compenso di 1500 dollari. Berg si mise al lavoro alla fine di febbraio e già il 28 marzo scriveva per rassicurare il suo committente: “”Apprendo con gioia che Lei vuoi rimanere e lavorare in Europa durante l’estate. Poiché da maggio sarò nella mia casa sul Wörthersee (di fronte, diagonalmente, a Pörtschach, dove Brahms scrisse il suo Concerto per violino) e là comporrò il ‘nostro’ Concerto per violino (per il quale ho già compiuto molto lavoro preparatorio), forse possiamo rimanere in contatto anche nel periodo della genesi di quest’opera””. Berg procedette con una rapidità per lui rara, tanto che il 16 luglio poteva annunciare a Krasner in America che la composizione era finita e che prevedeva di finire la strumentazione in agosto: l’11 agosto 1935 la bella copia definitiva era effettivamente pronta. Krasner, che non aveva visto neppure uno schizzo, rimase sorpreso nel constatare che Berg aveva tenuto conto di certe caratteristiche della tecnica dell’interprete ricavandole solo dai loro incontri preliminari, quando gli aveva fatto ascoltare alcune sue improvvisazioni al violino. Le difficoltà tecniche, per quanto cospicue, vennero ritenute superabili e così alla fine il pezzo venne accettato senza che non una nota venisse ritoccata.
Krasner non era stato informato neppure dell’evoluzione che la genesi del Concerto aveva avuto. Su di essa aveva pesato infatti in modo determinante anche un altro avvenimento. A Pasqua, il 22 aprile, era morta improvvisamente Manon Gropius, figlia diciottenne del secondo matrimonio di Alma Mahler con l’architetto Walter Gropius, fondatore del Bauhaus. Berg, che era da lungo tempo in rapporti di amicizia con Alma, nel frattempo risposatasi con lo scrittore Franz Werfel, aveva un attaccamento speciale per la sfortunata Manon, malata di poliomielite. La sua morte lo aveva colpito profondamente e aveva fatto nascere in lui il desiderio di dedicarle il Concerto che stava scrivendo. Non solo. L’idea di inserirvi un programma che adombrasse il destino della fanciulla scomparsa si era fatto a poco a poco sempre più forte: un ritratto dell’adolescente nella prima parte, la morte e la trasfigurazione nella seconda. Ciò influì sulla scelta della forma sia interna che esterna del Concerto. Esso si articolò in due parti divise a loro volta in due movimenti ciascuna: I. Andante, Allegretto; Il. Allegro, Adagio. La disposizione simmetrica dei movimenti – lento, veloce, veloce, lento, con una pausa fra i due tempi veloci – ricordava quella della Nona Sinfonia di Mahler e ne ripercorreva, aggiungendo così un ulteriore elemento al programma interiore, il percorso “”dalle tenebre alla luce””, con il suo distaccarsi gradualmente dalla gravità terrena in un trascendimento spirituale “”al di là di ogni cosa””. In questo senso va intesa anche la bellissima dedica che Berg aggiunse a quella dovuta a Krasner: “”Dem Andenken eines Engels””, “”Alla memoria di un angelo””.
Il materiale musicale del Concerto si basa su tre elementi distinti, apparentemente eterogenei fra loro. II primo è costituito dalla serie dodecafonica, che si presenta all’inizio. Essa consta di otto terze ascendenti (sol, si bemolle, re, fa diesis, la, do, mi, sol diesis, si) e da quattro toni interi sempre ascendenti (si, do diesis, re diesis, fa). Le prime nove note sono costruite in modo tale da formare le triadi di sol minore, re maggiore, la minore e mi maggiore, ossia gli accordi perfetti che si possono trarre sulle note corrispondenti a quelle delle corde vuote del violino (sol, re, la, mi). L’integrazione del pensiero dodecafonico con le implicazioni tonali che sono sottese alla serie e perfino con i criteri dell’esecuzione violinistica è una caratteristica che si comunica alla struttura complessiva dell’opera e ne connota il significato simbolicamente retrospettivo.
Il secondo elemento è dato dalla inserzione verso la fine della prima parte (secondo movimento, Allegretto) di una melodia popolare della Carinzia (regione nella quale Berg compose il Concerto) tratta dalla canzone dialettale A Vögale af’n Zweschpm-Bam (Un uccellino sull’albero di susine). La melodia per terze, trasposta in sol bemolle maggiore, rivela affinità con la struttura della serie e, con il suo Jodler in falsetto, introduce una nota stilizzata, gaia, ma anche ambigua, nel linguaggio musicale moderno razionalmente organizzato: insieme evocazione di uno stato d’innocenza e irruzione di una realtà paradossale nella musica d’arte assimilata alla tradizione.
Il terzo elemento è rappresentato ancora da una citazione, ma di tutt’altro profilo. Si tratta del corale Es ist genug (testo di Burgmeister, melodia di Ahle, 1662) nella versione di Sebastian Bach dalla Cantata n. 60 O Ewigkeit, du Donnerwort (0 eternità, parola di tuono) del 1723. Berg ne riporta per intero il testo, il cui riferimento diviene così esplicito, sotto la citazione del corale, che avviene nell’Adagio conclusivo. Esso dice: “”Basta! È tempo! / Signore, se così Ti piace / Liberami dai vincoli! /Viene il mio Gesù: / Buona notte, ora, mondo! /Vado nella dimora celeste, / Me ne vado sicuro, in pace, / La mia grande pena resta quaggiù. / Basta! È tempo! È tempo!””. L’idea di inserire il corale di Bach venne a Berg soltanto nel corso del lavoro per arricchirlo di un ulteriore significato simbolico. Questo significato è anzi duplice. Non soltanto il corale, che ha le qualità di un requiem, rappresenta il presentimento della morte e il suo superamento, ma costituisce anche un elemento di complementarità e di coesione strutturale all’interno del Concerto: le prime quattro note del corale (una sequenza di toni interi) corrispondono infatti esattamente alle ultime quattro note della serie dodecafonica sulla quale è costruito il Concerto. E per dare alla sua entrata un senso esplicito di elevazione, Berg le trasporta dall’originale la maggiore a si bemolle maggiore, tonalità verso la quale tutta la composizione gravita.
Il primo tempo del Concerto inizia con una introduzione di dieci misure, in cui sembra che gli strumenti dell’orchestra (clarinetti con l’arpa) vogliano accordarsi con il solista per trovare il tono giusto. Famoso è l’attacco del violino sulle quattro corde a vuoto, le cui note costituiscono l’ossatura della serie. Da questa dimensione “”inespressiva”” e “”aerea”” si origina a poco a poco la prima vera e propria idea tematica, esposta nel registro grave da contrabbasso, violoncelli e fagotti, e proseguita con la enunciazione della serie da parte del solista, prima in senso ascendente, poi simmetricamente discendente. La forma dell’Andante può essere intesa come tripartita, con una sezione centrale di sviluppo e una ripresa abbreviata: ognuna è basata sulle permutazioni della serie, e vi si possono altresì riconoscere i principi della variazione strofica e della imitazione. L’Allegretto, che segue senza interruzione, è anch’esso tripartito, in forma di Scherzo con due trii. I due trii, collegati fra loro, sono incorniciati dalle rustiche movenze di danza di un Làndler popolaresco. Sulla ripresa di questo Ländler si innesta, quasi come naturale conseguenza, la citazione della canzone popolare carinzia, affidata al corno, “”come una pastorale””, in dialogo con il solista. II lirismo di questo episodio conferisce una grazia particolare al vagheggiamento di una lontana innocenza, che si colora di richiami delicati e di intense evocazioni.
Un gesto imperioso, lacerante, apre la seconda parte del Concerto. L’Allegro ha il carattere di una vasta cadenza (“”libero come una cadenza””, scrive Berg), ma sottintende, nella sua libertà improvvisatoria, la chiarezza di una forma ciclica di sonata. Nella parte centrale, meno arroventata e in tempo più tranquillo, ritornano elementi dell’Allegretto. Alla tensione incandescente, a tratti quasi drammatica, della parte del solista, che ne mette a dura prova l’impegno tecnico (memorabile è il canone a quattro parti che costituisce il momento di massima difficoltà della cadenza), si oppone la ossessività implacabile dell’orchestra, nella quale un ritmo puntato – che ha la funzione di “”ritmo fondamentale”” – allude alla fatale irruzione del destino. Il punto culminante è espressamente indicato in partitura e coincide con l’apice numerico del tumultuoso crescendo: ancora una volta il caos è organizzato con una logica razionale. Raggiunta la massima espansione, il movimento si placa e, con effetto di graduale dissolvimento, l’orchestra svanisce lasciando al violino solo il compito di annunciare il passaggio verso la trasfigurazione.
L’Adagio è la liberazione. Il solista intona la melodia del corale e i clarinetti gli rispondono citando alla lettera l’armonizzazione di Bach. È un momento di emozione speciale, di religiosa pietà. Questo momento deve però ora essere spiegato e affermato. Ed è quanto Berg fa nella parte finale del Concerto, ricorrendo alla tecnica della variazione sul corale. Comincia con una variazione elaborata in senso contrappuntistico, nella quale la voce del solista adorna il corale sulle sequenze di toni interi ascendenti e discendenti, in una transizione fremente d’accumulazioni. Questo crescendo raggiunge nella seconda variazione il punto espressivo culminante, caratterizzandosi come un vero e proprio lamento. La varietà dei colori strumentali è estrema, vibrante, ma sobriamente controllata. Segue un terzo episodio nel quale riappare la melodia popolare carinzia congiunta con la danza paesana: quando la melodia e la danza terminano, il corale si ripresenta come requiem. Da ultimo il corale, la serie dodecafonica e la melodia carinzia si congiungono nella coda, “”come da lontano”” (“”ma molto più lento della prima volta””). L’immagine dell’angelo, in memoria del quale è stata scritta la musica, viene evocata per l’ultima volta riunendo insieme i tre elementi musicali, che ora si rivelano convergenti, e viene infine trasfigurata nel suo volo verso l’alto, prima che tutto si dissolva in un clima sonoro etereo, di avvenuta riconciliazione.
II Concerto per violino fu l’ultima opera condotta a termine da Berg: in un certo senso il suo struggente congedo, il suo inconsapevole requiem. Anche questo fatto ha contribuito all’eccezionale fortuna di quest’opera, le cui difficoltà d’ascolto scompaiono di fronte all’assoluta evidenza e trasparenza dell’espressione. Berg non fece in tempo a sentirlo. Morì il 24 dicembre 1935. Il Concerto venne eseguito per la prima volta, postumo, a Barcellona il 19 marzo 1936, solista Louis Krasner, direttore Hermann Scherchen.
Oleg Caetani / Renaud Capuçon, Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Teatro del Maggio Musicale Fiorentino Fondazione, Opere Concerti Balletti Statgione 2000-2001