Una problematica sintesi di classicità e romanticismo
Da un pezzo che reca il titolo di Fantasia, e che non è la consueta parafrasi di parata su melodie popolari o temi d’opera, ci attenderemmo un concentrato di improvvisazione e di virtuosismo, di immagini poetiche e di divagazioni sentimentali, estrose e rapsodiche. Non è così. Pur nell’essenziale libertà della forma, che definisce uno schema inclassificabile, o meglio passibile di più classificazioni, la Fantasia in fa minore op. 49 – un unicum nella produzione di Chopin – è un’opera solidamente impiantata, condotta, forse proprio per sfida, con una logica di costruzione particolarmente compatta. Scritta nella prima parte del 1841, fu rielaborata a più riprese nel corso dell’anno, come se Chopin non si stancasse mai di limarla, fino alla pubblicazione, avvenuta tra il novembre 1841 e il gennaio 1842 con la dedica alla principessa Catherine de Souzzo, sua allieva: coesistendo con una costellazione di lavori nei quali la ricerca compositiva raggiunse vertici assoluti ma chiusi in se stessi (la Polacca op. 44, il Preludio in do diesis minore op. 45, la terza Ballata op. 47, i due Notturni op. 48 e le tre Mazurche op. 50), tanto quanto invece essa tendeva a una perfezione continuamente spostata verso l’indefinito. Ed è forse in questo senso che va intesa la scelta del titolo, sulle cui ragioni peraltro Chopin non si espresse mai.
La composizione si apre con un tempo di marcia in 4/4 su un ritmo puntato un po’ esitante, a metà strada tra il funebre e l’implorante, il meditativo e il narrativo, che si estende ad arcate discendenti e ascendenti per 42 misure. Il fatto che questa sezione, in fa minore, una volta presentata non ricompaia più in seguito, può far pensare a un’introduzione, anche se il suo carattere severo e marcato, impreziosito da una scrittura ornamentale più colorita, individua un clima di fondo che non sarà mai del tutto abbandonato. La parentesi accesa di una serie di arpeggi, che assumerà poi quasi la funzione di ritornello, collega la presentazione di tre gruppi tematici nettamente distinti: il primo, in la bemolle maggiore, agitato e inquieto; il secondo, in do minore, più sereno e sognante; il terzo, in mi bemolle maggiore, eroico e quasi affermativo. Alla fine dell’esposizione il tono della marcia si muta da funebre in trionfale. La successione delle tonalità indica un piano preciso, meticoloso: dal fa minore iniziale si diparte una progressione per terze ascendenti, alternativamente minori e maggiori, a due a due relative.
La sezione che segue può essere considerata di sviluppo, ma non configura alcun vero e proprio svolgimento lineare, semmai una rotazione con una brusca, inattesa interruzione; dopo la riproposizione del primo e del secondo tema, sempre accompagnati dagli arpeggi, ora rispettivamente in do minore e in sol bemolle maggiore, Chopin introduce un episodio fortemente contrastante per tempo, tonalità, movimento e carattere: un Lento, sostenuto in 3/4 e in si maggiore, con carattere di corale, raccolto e devoto. Esso assume su di sé ora la gravità della marcia introduttiva, sospendendosi di colpo dopo 24 misure. La ripresa riespone in forma leggermente accorciata e variata, ma nello stesso ordine, i materiali dell’esposizione, riprendendo il discorso là dove si era interrotto, mentre il circolo delle tonalità si dispone simmetricamente a specchio portandolo a conclusione: si bemolle minore, re bemolle maggiore, fa minore e infine la bemolle maggiore sono le stazioni di questa ricomposizione.
Questa ferrea maglia tonale racchiude un’estrema varietà di atteggiamenti e di trasformazioni. Il timbro, che in alcuni momenti si allarga a una dimensione sinfonica, sembra in altri evaporare in una nuvola di suono, perdersi in lontananze fantastiche, toccando gamme vastissime di espressione, dal canto di dolore al fiero accento patetico, dal ripiegamento lirico alla perorazione declamatoria. L’impressione di una certa frammentarietà permane nonostante il rigore della struttura interna, come se le parti, nel loro incastro, mantenessero un che di elusivo, di estraneo: momenti legati a qualche sottinteso sfuggente, a drammi e stati d’animo appena sfiorati. Schumann, che non aveva questa Fantasia tra i suoi pezzi preferiti, la considerava audace, ricca di singoli spunti geniali, ma non riuscita nella forma. E si domandava quali immagini potesse aver avuto davanti agli occhi Chopin quando la scrisse: non immagini gioiose, sicuramente. Da una Fantasia egli si attendeva probabilmente una traccia poetica più definita e ariosa, meno allusiva e vaga, senza apparentemente sospettare che Chopin in quest’opera era andato oltre un programma, cercando nella libertà della forma una problematica sintesi di classicità e romanticismo.
Radu Lupu
63° Maggio Musicale Fiorentino