Luigi Dallapiccola
Musica per tre pianoforti (Inni)
Allegro, molto sostenuto
Un poco adagio; funebre
Allegramente, ma solenne
Musica per tre pianoforti (Inni) è in senso cronologico la prima composizione puramente strumentale di Dallapiccola. Dallapiccola la scrisse nel 1935 con l’intenzione di partecipare al Concorso internazionale di composizione bandito dal «Carillon» di Ginevra, società fondata da André de Blonay che l’anno prima gli aveva commissionato il primo importante lavoro da camera, Divertimento in quattro esercizi per soprano e cinque strumenti. Inviata al concorso, la partitura non ottenne il primo premio, che andò al Quartetto di Karl Amadeus Hartmann, ma fu comunque segnalata e premiata il 22 gennaio 1936; l’autore venne invitato a partecipare al concerto dei vincitori e vi prese parte anche in veste di esecutore, suonando con Orloff e Pasche uno dei tre pianoforti alla prima assoluta, che ebbe luogo il 30 marzo 1936 al Conservatorio di Ginevra. Pochi giorni dopo, il 14 aprile 1936, la Musica per tre pianoforti venne eseguita per la prima volta in Italia ai Concerti di primavera di Roma e in quell’occasione Dallapiccola ebbe come partners Armando Renzi e il giovanissimo Pietro Scarpini. Con i soldi del premio Dallapiccola fece tirare a proprie spese 200 copie della partitura manoscritta della Prima Serie dei Cori di Michelangelo Buonarroti il Giovane, che da tre anni giaceva in un cassetto, e riuscì a farla accettare dalla Casa Carisch di Milano: così Dallapiccola entrò in contatto con quello che sarebbe diventato il suo primo importante editore.
È probabile che nella scelta dell’organico, abbastanza inconsueto, giocassero un ruolo determinante le condizioni del bando di concorso, un lavoro da camera che escludeva l’uso della voce – fino ad allora, come si è detto, sempre presente nelle composizioni del giovane Dallapiccola – e la volontà di mantenere sotto stretto controllo l’invenzione compositiva puramente strumentale, che costituiva comunque una novità e un esperimento per l’autore, servendosi del mezzo che egli conosceva meglio, cioè il pianoforte. L’ampliamento a tre pianoforti nasce da precise scelte linguistiche ed espressive: se è vero che, dal punto di vista tecnico-strumentale, la partitura potrebbe venir eseguita anche da due pianisti soli, l’inserzione del terzo pianoforte ha lo scopo di far risaltare più chiaramente le singole linee dell’ordito contrappuntistico e di creare un timbro strumentale più puro, terso e luminoso.
Il sottotitolo del lavoro — Inni — trova spiegazione nel carattere solenne e austero della composizione, ma sottintende anche molti legami con le opere vocali di quel periodo e anticipa addirittura motivi e temi di opere posteriori, come le Tre Laudi e i Canti di prigionia. La struttura della Musica per tre pianoforti è spiccatamente polifonica e fa largo uso di procedimenti canonici e imitativi, indizio di quel «fiamminghismo» che sarà una delle caratteristiche fondamentali del futuro compositore dodecafonico. Questo addensarsi e stringersi della griglia polifonica culmina nell’episodio finale del terzo movimento, nel quale i temi del primo e del secondo ritornano elaborati in serrati procedimenti a specchio e per moto retrogrado, quasi a ristabilire l’integrità del processo formale: solo che qui il risultato è quello di una gioiosa liberazione, che dà alla chiarificazione stilistica di Dallapiccola gli accenti di una calda, lucente celebrazione innodica.
Ma è sul piano della ricerca timbrica, già da allora una delle costanti del pensiero compositivo dallapiccoliano, che la Musica per tre pianoforti presenta i motivi di maggior interesse e qualità artistica. Se la scrittura per tre pianoforti tende a evidenziare l’inarcarsi e il morbido intrecciarsi delle linee melodiche in un tessuto polifonico sempre più stretto, il trattamento del suono contrasta nettamente con l’ideale timbrico della tradizione classico-romantica. Esso sembra riallacciarsi invece ai modelli di Musorgskij e di Debussy per svilupparli in due direzioni complementari: da un lato il timbro asciutto e percussivo dei due movimenti esterni, sottolineato da precise indicazioni esecutive (non legato, secco, martellato, pesante, eccetera), dall’altro l’estatico, sfumato impressionismo sonoro dell’«Adagio funebre» centrale, tenuto tutto, salvo la dura impennata dell’episodio mediano, legatissimo e sottovoce, quasi a voler fissare le vibrazioni minime del suono puro e assoluto. E probabile che Dallapiccola intendesse ispirarsi al timbro ideale di un «carillon», il nome già di per sé musicale della società ginevrina che gli aveva suggerito la composizione; di fatto, la Musica per tre pianoforti è una tappa importante nel suo cammino di sperimentazione timbrica e strumentale che delimita anche la fase della scoperta di sé e delle proprie tendenze creative, in un momento di gioiosa apertura espressiva, prima della virata dodecafonica.
Gino Gorini, Eugenio Bagnoli, con la partecipazione di Anna Barutti
48° Maggio Musicale Fiorentino