Luigi Dallapiccola – Tartiniana

L

Luigi Dallapiccola

 
Tartiniana

divertimento per violino e orchestra

 
«Tre volte negli ultimi trent’anni ho scritto delle ‘opere tonali’: e tutte e tre le volte si trattò di lavori di ‘traduzione’. Nel 1942-43 la Sonatina canonica su Capricci di Niccolò Paganini per pianoforte; nel 1951, durante il mio primo soggiorno negli Stati Uniti (Tanglewood), la Tartiniana per violino e orchestra da camera, opera commissionata dalla Koussewitzky Foundation; nel 1955-56 la Tartiniana seconda, in due versioni: una per violino e pianoforte, l’altra per violino e orchestra da camera. Che, dopo ciascuna delle citate esperienze tonali io abbia fatto un notevole passo innanzi sul cammino della dodecafonia è un fatto: troppo lungo a spiegarsi; tuttavia un fatto incontestabile e notato da tutti coloro che hanno studiato a fondo le mie musiche. In comune alle tre citate opere tonali c’è l’applicazione di canoni diversissimi».

Questa breve nota, particolarmente toccante in quanto stesa per un concerto torinese che Dallapiccola avrebbe dovuto dirigere e non poté più né dirigere né ascoltare, conferma retrospettivamente – e a distanza di molti anni – la stretta interdipendenza fra momenti di rielaborazione e di riflessione sulla musica del passato e fasi di decisa, energica avanzata sulla strada della dodecafonia. Dallapiccola chiama questi lavori «traduzioni»: termine evidentemente preso in prestito da Busoni, e proprio nel senso da questi inteso per esempio nel caso della famosa trascrizione per pianoforte della Ciaccona per violino solo di Bach. Che questi lavori di «traduzione» assumessero rilevanti caratteri «tonali», che i temi originali vi fossero esposti con lievi o addirittura senza modificazioni, non toglie nulla alla profonda individualità della ricreazione dallapiccoliana, che si manifesta sia sotto l’aspetto linguistico-formale (ancora una volta le forme antiche rivivono sviluppate in veste moderna) sia sotto il profilo contrappuntistico-compositivo (straordinariamente virtuosistica e ricca è l’applicazione dei canoni e dei giuochi imitativi). La vastità della cultura musicale di Dallapiccola trova in queste opere un’eco fantastica nel compositore del Novecento.

Se Paganini – i Capricci – adattato al pianoforte con dovizia di artifici compositivi significava per Dallapiccola proseguire la tradizione dei virtuosi-compositori ottocenteschi (da Liszt a Busoni), il nome di Giuseppe Tartini (1692-1770) nascondeva forse il richiamo di una gloria della sua terra natale, l’Istria; onde la conoscenza dei manoscritti delle Sonate del violinista-compositore settecentesco, mediata dalla competenza appassionata di Sandro Materassi – eccellente violinista e didatta, da anni collaboratore in duo con Dallapiccola – dette origine a un circoscritto, breve ma intenso filone tartiniano nella produzione di Dallapiccola.

Filone di solare serenità, espressione di quella gioia di comunicare che riluce sempre al fondo della natura musicale di Dallapiccola, anche nelle opere più difficili ed elaborate, magari solo a squarci. La Tartiniana è un «Divertimento» su temi di Tartini in un duplice senso: uno storico (il Divertimento come forma del comporre settecentesca, costituita da una serie di movimenti variamente alternati e facilmente accessibili) e uno per così dire privato (la gioia appunto di scrivere una musica «facile» e «semplice» intrisa di memorie del passato ma in funzione del presente, come diversione se non svago dalle forti tensioni dalle quali l’opera di Dallapiccola, nel cammino verso la dodecafonia, era dominata: non si dimentichi che la Tartiniana viene subito dopo la Sacra Rappresentazione Job, una delle opere più concentrate e spasmodicamente tese – sia compositivamente che tematicamente – di tutto Dallapiccola).

Il lavoro si compone infatti di quattro brevi pezzi nei quali i temi di Tartini, protagonisticamente affidati al violino solo, sono avvolti in un reticolato contrappuntistico basato sull’«applicazione di canoni diversissimi»: diretti, per moto contrario, per aumentazione, a ritroso e in contrattempo. Sovente i canoni o frammenti di essi sono sovrapposti polifonicamente, sì da generare intrecci fra le varie voci che fondono con naturalezza il parametro melodico e quello timbrico (l’orchestra è costruita ad hoc: l’organico comprende due flauti e ottavino, oboe, due clarinetti in si bemolle, clarinetto piccolo e basso, due fagotti e controfagotto, due corni in fa, tromba in do, arpa, xilofono, ma solo tre prime viole, tre seconde viole, tre violoncelli e due contrabbassi; oltre naturalmente al violino solo). La disposizione polifonica provoca talvolta, per logica conseguenza dell’intreccio canonico a diversi intervalli, stratificazioni politonali e polimodali da cui l’autore sa trarre profitto per ampliare i confini del suo linguaggio verso orizzonti novecenteschi. E questa stessa sapienza costruttiva attinge non di rado accenti di una severa e dolorosa intensità tutta moderna.

I temi di Tartini conoscono così una storia. Se i primi due pezzi («Larghetto; molto espressivo, ma semplice» e «Allegretto misurato, ma con fuoco») sono per così dire una celebrazione della vitalità – nell’uno melodica, nell’altro ritmica – delle proposte tematiche del violino solo, cui l’orchestra risponde affermativamente e brillantemente, nel terzo pezzo («Molto sostenuto») l’entrata del violino è preparata dall’intarsio di un duplice canone esposto da clarinetto basso e controfagotto, e proseguito poi, come se ne fosse lo svolgimento, dal violino. Il materiale di Tartini, calato in un’atmosfera timbrica oscura e inquieta – cui non sembrerebbe predestinato – appare qui non tanto un’origine quanto una conseguenza del processo di «traduzione» compositiva. L’acme espressiva del pezzo («Tempo I, molto sereno») – una vera e propria Verklärung – è contrassegnata dal motto – che Dallapiccola riprende dai maestri dell’antica polifonia – «Qui post me venturus est, ante me factus est», con l’indicazione della fonte evangelica (Giovanni, I/15). Non si tratta, è ovvio, soltanto di un criptoideogramma che aiuta a decifrare l’ordito canonico, a specchio, ma di un preciso monito morale e artistico, che eleva la temperie espressiva dell’elaborazione compositiva. «Chi verrà dopo di me, è stato creato prima di me»: ora Tartini è divenuto proprietà e possesso di Dallapiccola. Una nuova serietà (o seriosità, per riprendere un suggerimento dell’autore in una didascalia) si impossessa del disegno compositivo, che va facendosi sempre più rarefatto e arabescato: il «Tempo I» ritorna un’ultima volta, ma questa volta accompagnato dalla didascalia: «funebre»; e la musica, ridotta ormai a poche linee che si cercano amorevolmente, dissolvendo in pianissimo, si scioglie in commozione.

Questa serietà diviene drammaticità nel quarto e ultimo brano («Allegro assai, ma non precipitato»). Il procedere, tipicamente tartiniano, per quartine di crome del violino solo è avvolto in un intenso cromatismo dell’orchestra, quasi una lotta fra opposti principi – linearità dinamica contro verticalità statica – che conosce momenti di veemente espansione. L’opera si conclude, dopo un martellante incalzare, con una catena di trilli cui solo il violino, nei suoi ampi intervalli melodici, si oppone; fino all’ultimo accordo in sforzando fortissimo dell’intera orchestra – quasi una cifra stilistica di Dallapiccola – che sovrappone senza risolvere due quinte concatenate (sol-re, si-fa diesis).

Commissionata a Dallapiccola dalla Koussewitzky Music Foundation, la Tartiniana è dedicata a Serge e Natalie Koussewitzky in memoriam: proprio durante la stesura della composizione infatti il noto direttore d’orchestra russo-americano morì. Non fu né la prima né l’ultima volta che un lavoro nato dalla stima e dall’affetto di amici e colleghi musicisti divenne, per Dallapiccola, testimonianza alla memoria, arricchendosi – nella perdita di una persona cara – di nuovi motivi spirituali. Testimonianza umana oltre che artistica, ammantata di un velo di tristezza.

James Judd / Carlo Chiarappa, Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
47° Maggio Musicale Fiorentino

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