Robert Schumann
Novelletten, op. 21
per pianoforte
Marcato e con forza
Prestissimo e con bravura – Intermezzo (Un poco più lento)
Con leggerezza e brio – Intermezzo (Presto e selvaggio)
A guisa di danza
Strepitoso e festevole
Allegro assai, con molto spirito
Prestissimo
Allegro assai – Trio I – Trio II – Allegro non troppo
«Come sono stato felice nei giorni scorsi, giovane, leggero… In queste ultime tre settimane ho composto una quantità spaventosa di musica, di scherzi, di storie di Egmont, di scene di famiglia con genitori, un matrimonio: insomma, come vedi, tutte le cose più desiderabili! Ho chiamato il tutto Novelletten perché il tuo nome è Clara come quello della Novello, e perché Wiecketten purtroppo non suonava così bene! ». Questa lettera di Schumann a Clara Wieck, scritta il 6 febbraio 1838 in quel tono insieme scherzoso e appassionato che lo distingueva, rivela lo stato d’animo da cui nacquero le otto Novelletten op. 21, uno dei frutti più maturi e straordinariamente densi del pianismo schumanniano. L’amore per Clara, seppure ancora aspramente contrastato e coperto nel titolo con curiosa metafora (e chissà che il fantasma della bella cantante che furoreggiava a Lipsia non abbia ingelosito Clara), avvampava in quel tempo più forte che mai, dettando a Schumann piene meravigliose di musica. «La musica affluiva in me» – egli scriveva; «cantavo continuamente mentre componevo, e quasi tutto è venuto a meraviglia. Ora gioco con le forme…»
Che questo gioco con le forme avvenisse in mezzo a uno slancio e a un ottimismo perfino insoliti, evidentemente ispirati dalla presenza di Clara, è dimostrato dal veemente lirismo e dalla fondamentale unitarietà di questi otto pezzi, tutti in modo maggiore e tutti ruotanti attorno alla tonalità di re maggiore, che appare in ben cinque brani. Un segno evidente della definitiva affermazione di Florestano contro Eusebio? Piuttosto, forse, la conseguenza di una momentanea esaltazione che si chiude in se stessa, non prima però di aver percorso, ora monologando audacemente ora dialogando appassionatamente, tutte le tappe di una fantasiosa necessità espressiva.
I riferimenti alla realtà o all’immaginazione denunciati dal musicista stesso sono naturalmente soltanto i materiali di partenza di una trasfigurazione che soggiace alle leggi dell’invenzione strumentale, della sperimentazione armonica, della libertà formale vigilata, della policromia ritmica, della pregnanza melodica. In altri termini, il punto di arrivo coincide con la totalità del linguaggio di Schumann e del suo stile personale, ormai in grado, mediante il pianoforte, di fissare e moltiplicare in un’esplosione continua di idee, di forme che si concatenano e si rispondono, le suggestioni del suo romanticismo di sogno.
Queste suggestioni si palesano talvolta sotto forma di programma o di visione. Così, per esempio, nell’Intermezzo della terza Novelletta si immagina l’evocazione delle tre streghe del Macbeth, in un clima di sinistra, cupa oscurità. Si tratta forse di una meditazione interrogativa sul senso del destino («Quando ci ritroveremo ancora noi tre / in mezzo ai fulmini, ai lampi o alla pioggia», questi i versi che recava in epigrafe la prima edizione), che dura però, appunto, soltanto lo spazio di un «Intermezzo», per cedere subito il passo alla certezza di una risposta gioiosa. Tutta la parte centrale delle Novellette (dalla quarta alla sesta compresa) rappresenta infatti il sogno animato di una festa di nozze, con brindisi e balli. E volendo continuare sulla falsariga di un immaginario programma, immagine appena sbiadita della tensione compositiva che pulsa in queste pagine e si realizza nella musica, ecco che la compostezza un po’ inquieta e venata di nostalgia della settima Novelletta potrebbe significare l’improvvisa, straniata percezione di un’assenza: quella della sposa. Colei apparirà, Stimme aus der Ferne («voce che viene da lontano», così la didascalia), soltanto verso la fine dell’ottava Novelletta, dopo i sussurri e i sorrisi dei due Trii, sotto forma di una semplice melodia, un motto che fra breve assumerà forma completa e si disegnerà con nitidezza. Clara, naturalmente, trionfante e circonfusa di luce: attorno a lei tutto si ravviva, mentre la festa riprende, con una intimità più piena, conducendo fino alle soglie dell’estasi.
Gidon Kremer / Oleg Meissenberg
Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze, Stagione d’autunno 1984