Nikolai Rimski-Korsakov – Shéhérazade

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Nikolai Rimski-Korsakov – Shéhérazade

 
Come uno dei maggiori rappresentanti della scuola nazionale russa nel secolo scorso, tra i fondatori del famoso <<Gruppo dei Cinque>>, Rimskij-Korsakov ebbe accanto a Borodin e Mussorgski notevole importanza per la definizione di uno stile nazionale distaccato dalla tradizione occidentale, estranea alla civiltà musicale russa. Ciononostante, soprattutto negli anni della maturità, egli fu anche, fra i suoi colleghi russi, l’elemento piú disponibile ad accettare le influenze esterne; e non soltanto gli influssi provenienti dall’occidente, ma anche quelli, costituzionalmente più vicini alla natura della musica russa, del favoloso Oriente, con i suoi profumi, i suoi brillanti colori e il fascino di una vita esotica che già di per se stessa sembrava configurarsi come musica.

Rimskij-Korsakov fu, come si sa, anzitutto un genio dell’orchestrazione. Il suo smisurato virtuosismo in questo campo, unito alla profonda conoscenza della produzione musicale corrente, dimostrata anche come didatta al Conservatorio di Pietroburgo (e anche se Prokofiev rimpiangeva il tempo perduto nella sua classe di strumentazione), non poteva non trovare nelle suggestioni fantastiche di un Oriente idealizzato la materia adatta a scatenare quel cosí peculiare senso del timbro, quella vena di grande evocatore di mirabolanti effetti sonori; riuscendo sempre, anche là dove la minaccia di troppo sensibili concessioni a un gusto esteriore si fa concreta, a raggiungere risultati pratici di grande fascino e brillantezza. Se il «Capriccio spagnolo» (1887) è la sua opera sinfonica piú famosa, una vera e propria orgia di colori e di ritmi profusi con mano sovranamente esperta, «Shéhérazade», la Suite sinfonica composta nel 1888, merita di essere considerata il suo capolavoro. Come esempio massimo di musica descrittiva su elementi esotici di derivazione orientale, quest’opera assomiglia a un grande affresco in quattro parti, su un canovaccio che l’autore stesso espone nella premessa alla partitura: «Il Sultano Shahriar, convinto della falsità e infedeltà femminile, giura di uccidere tutte le proprie mogli dopo la prima notte di nozze. Ma Shéhérazade riesce a salvarsi intrattenendo il suo signore con affascinanti novelle, raccontate una dopo l’altra per mille e una notte. li sultano, spinto dalla curiosità, rimanda di giorno in giorno l’esecuzione della moglie e finisce in ultimo per rinunziare definitivamente al suo sanguinario proposito». Delle favolose storie raccontate nelle «Mille e una notte», l’antica raccolta araba divenuta famosa in Occidente ai primi del Settecento, Rimskij intenzionalmente non fissa una traccia definita nei singoli particolari (in altre parole, non illustra determinate storie seguendo l’originale), ma si limita ad assegnare dei titoli a ciascuna delle quattro parti, lasciando che essi agiscano piú che altro come punto di partenza nella immaginazione dell’ascoltatore. «Questi cenni» — scriveva infatti il compositore — «devono servire soltanto a dirigere la fantasia dell’ascoltatore sul sentiero che la mia stessa fantasia ha percorso, lasciando i concetti piú minuti e particolareggiati al carattere e all’umore di di chi ascolta. Tutto ciò che desidero è che l’ascoltatore, se apprezza la mia opera come musica sinfonica, porti con sè l’impressione che essa è senza dubbio una meravigliosa favola orientale piena di numerose e differenti immagini fiabesche… e che sono tutte storie di una stessa persona, Shéhérazade, che intrattiene con esse il suo austero marito».

Piú in concreto, quest’ultima indicazione di Rimskij significa che musicalmente Shéhérazade e il Sultano si identificano con i due temi che ne caratterizzano i personaggi: essi, presentati subito all’inizio (Largo e maestoso), ritornano piú volte nella composizione, con funzione di veri e propri Leitmotiv, soprattutto quello di Shéhérazade, che ha fra l’altro il compito di segnare il passaggio da un episodio all’altro. Se il Sultano è introdotto da pesanti e oscuri accordi di trombone, tuba, corni, legni e archi, il canto di Shéhérazade è una di quelle gemme che fanno gridare al miracolo: una struggente, aerea melodia affidata al violino solo, contrappuntata dall’arpa, dapprima tremante e diffidente, poi sempre piú sicura di sé, destinata, alla fine, a raggiungere l’apoteosi nella vittoria dell’amore e della fantasia sulla terribile severità del Sultano. Cosí, dopo il breve preludio in cui i due temi appaiono contrapposti, la storia può avere inizio.

«Il mare e la nave di Sinbad» è il titolo della prima favola (Allegro non troppo). L’ondeggiare del mare, come elemento naturalistico di profonda suggestione emotiva domina tutta questa scena, facendosi sempre piú incalzante contro la nave del povero Sinbad fino a sfociare in una breve, rabbiosa tempesta che a poco a poco si placa al ritorno del sereno, riportando la calma nell’infinità azzurra del cielo. Proprio questa tranquilla conclusione, ripresa dalla melodia del violino di Shéhérazade, ci dà la certezza che la giovane donna, almeno per un giorno, è riuscita a rinviare il suo triste destino.

La seconda sera (Lento-Andantino, poi Allegro molto) Shéhérazade racconta le burle amene del Principe Kalender, divertendo il Sultano con una serie di episodi ora patetici e gravi, ora scherzosi e gioiosi. Qui la tecnica compositiva di Rimskij dà vita, con gran virtuosismo, a un rapido alternarsi di episodi solistici affidati a strumenti diversi, soprattutto ai fiati, dell’orchestra. Fra tranquille canzoncine popolari, danze selvagge e brevi sprazzi di sontuose feste barbariche, fanfare di ottoni e svolazzi di violini, dopo aver toccato il culmine in masse sonore di colore incandescente, anche questa storia si spegne per introdurre il terzo racconto, quello del giovane principe e della giovane Principessa (Andantino quasi allegretto). Non sappiamo chi fossero questo Principe e questa Principessa: sappiamo solo che erano giovani e innamorati, e che nei loro incontri parlavano d’amore, esaltandone le gioie con grazia sublime. Le splendide melodie dei violini ci ridanno la voce suadente del Principe, mentre la Principessa ribatte cantando una tenera canzone accompagnata dal clarinetto, che si riverbera all’infinito in continue variazioni (e, sia detto fra parentesi, Rimskij dimostra qui la sua conoscenza del mondo musicale romantico). A sentir parlare d’amore, di quello vero, il Sultano interrompe violentemente la narrazione; ma poi si placa, commosso dalla immedesimazione sempre più appassionata di Shéhérazade.

La quarta sera (Allegro molto – Lento – Vivo – Allegro non troppo maestoso) Shéhérazade descrive una festa popolare a Bagdad e, dopo un cambiamento di scena improvviso, un orribile naufragio («Il mare – La nave s’infrange contro uno scoglio»). Prodigi di incantatori di serpenti, magici motivi di fachiri, la folla curiosa e pettegola per le strade, all’inizio; poi, dopo che il tono sinistro della voce del Sultano si è fatto nuovamente udire, per l’ultima volta, vinto dalla sempre piú celestiale melodia del violino solo, la descrizione della tempesta (un ritorno ciclico all’inizio?), ricca di colori e ritmi e tutti gli effetti più strabilianti di cui l’orchestra di Rimskij, ormai lo sappiamo, può essere capace. All’inabissarsi della nave sventrata dallo scoglio, la lieta conclusione: Shéhérazade ripete per l’ennesima volta la sua melodia, contrappuntata dai legni e poi dall’intera orchestra, quasi a voler chieder conto del suo destino. E finalmente il Sultano parla con accenti gentili e amorevoli, mentre il violino raggiunge un’ineffabile dolcezza, per sempre trionfante sulle armonie, ora non più severe e minacciose, che avevano aperto e che richiudono la partitura.

Juri Temirkanov / Carlo Chiarappa
Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze, Concerti 1979/80

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