Il crepuscolo degli dei
– Viaggio di Sigfrido sul Reno
– Marcia funebre
– Canto finale di Brunilde
L’«Anello del Nibelungo», la vasta epopea tragica sull’origine e gli effetti della sventura nel mondo, occupò Wagner per ben trenta dei settant’anni che egli visse, dal 1846, anno della lettura ancora una volta avvenuta in modo casuale dell’antico « Nibelungenlied », fino al 1876, data della prima rappresentazione dell’intera Tetralogia nel nuovo teatro di Bayreuth appositamente costruito. Già nel testo drammatico, che era stato steso da Wagner in ordine inverso e per così dire a ritroso rispetto a quello della successiva composizione musicale, e ancora di più nella musica, essa rappresenta lo sforzo massimo da parte dell’autore di rendere evidente in un’opera di vaste proporzioni la propria concezione teatrale-musicale quale era venuta maturando nel corso di un’intera esistenza.
«Il crepuscolo degli dei» (Götterdämmerung), terza giornata del ciclo drammatico in un prologo e tre giornate (dopo «L’oro del Reno», «La Walkiria» e «Sigfrido») è non soltanto la rappresentazione grandiosa della catastrofe purificatrice, resa dagli avvenimenti precedenti necessaria, ma anche il lavoro di maggiori dimensioni (un prologo e tre atti immensi in 6 quadri) e di maggiore impegno costruttivo e musicale: pochissimi i temi nuovi, secondari, se si eccettua Hagen, i nuovi personaggi, tutto è teso a dare fisionomia risolutiva e definitiva alle premesse e agli svolgimenti delle giornate precedenti, e soprattutto al destino di Brunilde, la Walkiria degradata dal suo rango divino, e di Sigfrido, l’eroe redentore, fino a che, come in un cerchio perfetto, lo stato primigenio di natura, contaminato dal furto dell’oro, non sia stato reintegrato.
Lontano, molto lontano, porterebbe il tentativo anche soltanto abbozzato di toccare i profondi significati drammatici e musicali sottesi a questa terza giornata; basterà qui soltanto accennare al fatto che, sotto l’aspetto musicale, Wagner vi recupera in vaste parti sia sinfoniche sia sceniche lo spirito delle forme chiuse, riaccostandosi un poco alla struttura tradizionale dell’opera, che in precedenza con le sue riforme aveva contribuito a superare in modo radicale e completo: «L’avventuroso equilibrio di musica e parola nella realizzazione del dramma torna a rompersi, nel ‘ Crepuscolo ‘, in favore della musica» (M. Mila). Se in parte ciò è dovuto alla circostanza già ricordata di un libretto scritto prima che le idee riformatrici avessero trovata piena incarnazione nell’estetica del dramma musicale, basato sulla continuità melodica (come è ben dimostrato dalla struttura della grande scena finale), non si può mancare di sottolineare un carattere più interno all’opera stessa: opera che vive tutta nella dimensione di reminiscenze (attuantesi nell’ineluttabilità di un presente corrotto) di azioni e fatti destinati a ricomporsi soltanto nella catarsi di una conclusione necessaria e inevitabile, sotto il segno dell’impotenza (il tradimento di Sigfrido) e del sacrificio (l’olocausto di Brunilde).
È questo anche il caso del «Viaggio di Sigfrido sul Reno», l’intermezzo sinfonico che unisce il prologo al primo atto (Wagner ne prescrive l’esecuzione a sipario calato). Sigfrido, pur pago dell’amore della Walkiria, anela a nuove imprese. Né la forza né la volontà di Brunilde sono in grado di opporsi: al suo potere, annullato dal possesso dell’eroe, manca ogni sostanza, e al suo volere ormai è unica legge l’amore per Sigfrido. Essi possono solo scambiarsi pegni di fede eterna, che si ritorceranno a loro reciproco danno: l’eroe regala alla donna l’anello, la donna all’eroe il cavallo Grane. Sigfrido scende dall’altura dando gioiosamente fiato al suo corno, mentre Brunilde, seguendolo con l’animo in tumulto, gli manda dall’alto gli ultimi addii. «L’orchestra raccoglie il motivo del corno e lo sviluppa in un pezzo poderoso», così indica la didascalia wagneriana. E di pezzo poderoso, scintillante e brillantissimo, veramente si tratta, i motivi metafisici e morali, cosmici e umani che reggono l’intero ciclo, qui accoppiandosi ai colori e alle atmosfere di un paesaggio mitico, nel segno di un idealizzato «viaggio sentimentale» alla ricerca del proprio destino.
Destino di tradimento e di morte: nel terzo atto, trafitto alle spalle dalla lancia di Hagen, Sigfrido, che aveva appena finito di raccontare sulle ali della memoria, come in un sogno inquieto le sue passate avventure eroiche, «cade riverso e muore». « Hagen, was tatest du? » (Hagen, che hai tu fatto?) domanda sbigottito Gunther facendo eco alla domanda attonita dei guerrieri presenti. Sigfrido muore rievocando il risveglio di Brunilde e il suo saluto pieno di angosciato amore; prosegue la didascalia wagneriana: «Immobilità e cordoglio di coloro che l’attorniano. È scesa la notte. Ad un muto comando di Gunther i guerrieri sollevano il cadavere di Sigfrido e, durante quel che segue, lo accompagnano in corteo solenne su per i dirupi, lentamente allontanandosi. Gunther segue per primo il cadavere. La luna erompe tra le nubi e illumina con luce sempre più viva il corteo funebre, che va raggiungendo la sommità dell’altura». « Quel che segue » è appunto il momento sublime della marcia funebre, aperta e ritmata da due profondi rintocchi seguiti dalla lacerante parabola del tema della morte: chiave di volta di tutta la giornata, anzi di tutta la vicenda poetico-musicale di Sigfrido. I momenti principali della sua vita emergono uno per uno stagliandosi con viva forza rappresentativa nel compianto, intriso di sconfinato dolore, dell’orchestra: nascita, giovinezza, audaci imprese, amore e morte. Ad ogni richiamo, un brivido: e alla fine, un lento irrevocabile naufragio in un gorgo senza luce né speranza. Così Sigfrido, il puro eroe, si allontana per sempre dalla nostra vista fra le ombre della notte…
Non a lui, alla sua purezza e generosità, era destinato l’alto compito della redenzione purificatrice, la restituzione dell’oro maledetto alle acque del Reno: sarà Brunilde, la sposa di Sigfrido, a compierlo nel sacrificio finale che tutto e tutti travolgerà. La grande scena finale dell’olocausto di Brunilde, che già dicernmo richiamarsi nello spirito se non nella forma ad analoghi finali della tradizione operistica seria, si colloca infatti, pur determinando l’esito finale di distruzione e di redenzione, in una dimensione autonoma, a sé stante, perfettamente compiuta nella trama musicale in cui riaffiorano per l’ultima volta quasi tutti i temi principali della Tetralogia fino all’apparizione della risolutiva melodia della redenzione d’amore, più fulgida e radiosa delle fiamme che bruciano il Walhalla, decretando la fine degli dei. Ogni commento specifico a questa grandiosa pagina sinfonico-vocale rischierebbe di immiserire i contenuti di un rito che si compie con le movenze di un atto tragico. Testo e didascalie, del resto, serviranno meglio di qualunque altra cosa ad accompagnarne e chiarirne i nessi, accostando alla musica con quello stupore e quella commozione che eventi altrimenti incommensurabili recano inevitabilmente con sé. Il dramma si compie: e alla fine, tutto sarà silenzio.
Alexander Sander / Ingrid Bjoner
Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze, Manifestazioni Estive 1978