Sergej Prokofiev – Romeo e Giulietta

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I gioiosi turbamenti di Prokofiev

 

L’episodio centrale della vita di Prokofiev è costituito dal suo ritorno in patria, la dolce Russia che allora si chiamava Unione Sovietica, avvenuto nell’aprile del 1933 quando egli, all’età di quarantadue anni, era un indiscusso astro del concertiamo mondiale e un compositore apprezzato. Quel ritorno significò innanzitutto lo scontro in campo aperto con la realtà sociale e culturale della Russia sovietica di allora, che non tardò, con avventatezza davvero maldestra da parte dei suoi rappresentanti ufficiali, a bollare Prokofiev come esempio di « una cultura individualista, fastidiosa e avvizzita » (1). La naturale propensione all’inquietudine, alla ricerca indefessa all’interno della musica, che sono le complementari cifre piú vere del Prokofiev compositore, patí a partire da quel momento l’asprezza di acuti contrasti che rischiarono di troncare, e spesso di fatto troncarono, la formidabile impresa che egli stava a suo modo perseguendo: ridurre a sintesi unitaria la dialettica fra passato e futuro, fra tradizione e modernità. L’equilibrio che fino ad allora era stato piú intuito che realizzato, si spezzò per sempre, e non si ricompose mai piú, impedendo che le potenzialità ricchissime insite in quelle premesse fossero portate a compimento.

II teatro, la scena, l’azione drammatica — rappresentano al massimo grado il mondo fantastico contenuto nell’arte di Prokofiev; che lo rappresentino allo stesso grado anche dal punto di vista musicale da tutti non è accettato. Pure, proprio con il ritorno in Russia, sembrano rinascere ancora piú forti le suggestioni verso l’ambiente tutto particolare della scena, come evocazione di stati d’animo e di fantasmi aleggianti inquieti nel gran corso della storia, passata e presente, con i suoi tratti di lotta eterna di contrastanti principi: intimamente assai lontane dai concetti propugnati dall’estetica ufficiale allora dominante.

Di siffatti inconsci turbamenti, capaci, naturalmente, di aprirsi la strada attraverso mezzi e contenuti diversissimi, una tappa non secondaria si svolge nella musica del balletto « Romeo e Giulietta », scritta nell’estate del 1935 su sollecitazione del Teatro Kirov di Leningrado. La sceneggiatura era stata adattata dal dramma di Shakespeare ad opera di S. Radlov, A. Piotrovskij, L. Lavrovskij e dello stesso Prokofiev, e aveva assunto la forma di un balletto in 4 atti e 10 quadri, sostanzialmente a Shakespeare fedele. Poiché il Teatro Kirov si era nel frattempo tirato indietro per sopravvenuti impegni con il Bolscioi, il balletto fu dato in prima assoluta a Brno (Cecoslovacchia) nel dicembre del 1938, approdando sulle scene russe (nella stessa città di Leningrado, al Teatro Kirov Opery i Baleta) soltanto 1’11 gennaio 1940, nella strabiliante, cosí ci è riferito, interpretazione di Galina Ulanova (2).

Non si può dire che Prokofiev nutrisse spiccate congenialità per il mondo a sé, regolato da ferree consuetudini e valori autonomi, del balletto; ma certo la sua musica, tutta la sua musica, contiene una plasticità tale, un ritmo e una evidenza anche esteriore cosí marcati, una gestualità si vorrebbe dire quasi immanente, da interpretare magnificamente le esigenze primarie e secondarie della danza, lo spirito come gli effetti pratici. La strenua consuetudine con Diaghilev, il nostalgico, anche se distaccato, affetto per Ciaikovskij, il maestro del balletto romantico, insieme a mille altre esperienze, ne avevano comunque sempre tenuto desto l’interesse, che si doveva incarnare piú tardi nella splendida prova di « Cenerentola » (1940-44). Né si può dire che particolari affinità ideali Prokofiev celasse con il mondo shakespiriano, da lui solcato, prima di « Romeo e Giulietta », con le musiche di scena per un dubbio « pastiche » di A. J. Tairov, dove, accanto a testi del drammaturgo inglese, ne figuravano altri di Puskin e Shaw (« Le notti egiziane », 1933-1934) ; e come è ben dimostrato dalle distratte musiche di scena per piccola orchestra di cui provvide, nel 1937-38, l’« Amleto ». Del « Romeo e Giulietta » Prokofiev colse soprattutto il carattere di dramma universale, dello scatenamento di conflitti indicibili dalla portata immensa, ove i contrasti deflagrano con la forza oscura di incomprensibili ragioni, tutto spazzando via, sentimenti, valori, speranze, senso delle cose belle nella vita; pur accettando con naturale prontezza i suggerimenti descrittivi e figurativi che certi squarci di ambienti e situazioni, di collocazione storica, gli facevano balenare davanti, e a cui si abbandonava gioiosamente, come solo lui sapeva fare, affidandosi quasi per gioco all’estro del momento (si pensi a certi Interludi e a certi movimenti di danza, la danza con i mandolini o quella dei gigli, nel terzo atto).

Da questa prospettiva, la musica per « Romeo e Giulietta » non è meramente funzionale alla danza, né condizionata dalle sue regole e dai suoi massimi principi, ma musica in sé e per sé che può essere interpretata, e allora certo ne esce arricchita e quasi rivestita a festa, « anche » danzando. Due fatti, di diverso tipo, siamo tentati di addurre a riprova: uno, interno alla essenza stessa del balletto, legato al proposito che Prokofiev manifestò in un primo tempo di dare un lieto fine al dramma, facendo arrivare Romeo in tempo utile per evitare la catastrofe. Come era mai possibile, si domandava Prokofiev (3), « far danzare » la luttuosa scena finale, la tragica morte di Giulietta sul corpo di Romeo? Certo, subito dopo si affrettava a correggere che la sua prima impressione era stata errata, e che la danza poteva esprimere anche sentimenti di morte e di dolore. Ma, cosí facendo, non aveva forse rivelato fino in fondo quella sua inconfondibile ironia gioconda ma tanto inquieta, di chi era stato fatto troppo bravo dalla natura e capace di risolvere ogni problema, utilizzando la propria connaturata spregiudicatezza nel fantasticare come il « deus ex machina » che si adattava vincendola ad ogni situazione? E non voleva tutto ciò ribadire che la musica trovava nel suo linguaggio e nelle sue forme un superiore spessore di verità ideali e assolute?

L’altro fatto, di cui parlavamo sopra, è, se si vuole, ancora piú generale, e ancor piú indicativo: seguendo una prassi che d’altra parte gli era tipica (e che per la sua sostanza di compositore significava ben altro dalle ragioni commerciali che volgarmente gli sono state attribuite), dalla musica del balletto Prokofiev trasse a breve distanza di tempo (sul finire dello stesso 1935, e nei primi mesi del ’36) due Suites sinfoniche, di sette pezzi ciascuna (4) : la scelta dei pezzi, gli accorgimenti seguiti nel rimaneggiarli e renderli autosufficienti brani sinfonici, non ammette equivoci sul valore di tali operazioni: riducendo, rielaborando, riempiendo « musicalmente » gli spazi vuoti che giustamente la scena e la danza reclamavano per sé, Prokofiev non intendeva altro che riaffermare il predominio e la indipendenza della musica e dei suoi caratteri puramente musicali, come invenzione e come linguaggio.

Se è vero che le Suites stanno alla versione originale e integrale del balletto come una spremuta di succosi agrumi sta ai frutti che sono in natura, ciò non toglie affatto che il balletto non presenti, nel dipanarsi dei suoi 52 numeri e 10 quadri, una struttura unitaria e organica anche dal punto di vista musicale; che è evidente soprattutto nel sapiente arco che la sorregge, scenicamente e musicalmente, da cima a fondo: e cioè nella parabola drammaticamente perfetta che si espande sul contrasto fra un culmine « positivo », aperto (la scena del balcone e poi l’incontro d’amore fra Romeo e Giulietta) e uno negativo, di segno contrario, che tocca l’estremo limite nell’Epilogo, di commovente essenzialità pur nella grande varietà di toni e accenti. Per cui qui l’alternarsi continuo dei caratteri (personaggi, situazioni, eventi, di infinite possibilità per il coreografo) si dispone per cosí dire in forma dilatata e narrativa, anziché, come nelle Suites, concentrata e decantata sulle ali della memoria, come in lontananza.

Resta da dire delle peculiarità del magistero compositivo di Prokofiev: giustamente è stato detto che la tavolozza di cui disponeva era incredibilmente smisurata, e sapeva dar voce in modo impareggiabile agli umori e agli accenti di cui stati d’animo e idee si nutrivano, con sbalzi improvvisi e inattese accensioni. « Ideatore scaltro di impennate timbriche e di armonie roventi », secondo una calzante definizione di Pannain, Prokofiev intendeva lo stesso virtuosismo, la sovrabbondanza dei materiali, l’eclettismo e l’umorale scabrosità del suo modo di comporre come una conseguenza di ineluttabili categorie storiche, a cui il compositore doveva rispondere tendendo verso la creazione di dimensioni nuove per la musica, dal punto di vista armonico, melodico, ritmico, timbrico e così via. Ed è proprio nella qualità piú emblematica del suo essere musicista « per volontà della natura », nella straordinaria sensibilità per la scrittura orchestrale, per la strumentazione capace di evocare effetti sonori e fantastici, che sono da ricercare i tratti piú evidenti, personali e innovatori, della sua bizzarra originalità: in cui si coagulano concretezza discorsiva e lirici abbandoni, energici movimenti e raffinati colori, sempre pungolati, e senza indulgenze, da una febbrile ansia di libertà. Anche la musica di « Romeo e Giulietta » è piena di questi caratteri: e ad essa come a poche altre si attaglia mirabilmente il giudizio di chi seppe interpretarne come pochi altri le nascoste e piú vere possibilità: «Prokofiev scrive una musica ‘plastica’ che non si accontenta di essere illustrazione, ma rivela il movimento interno dei fatti e la struttura dinamica, cioè l’essenza e il significato di ogni evento». Firmato S. Eisenstein.

1. La prima composizione di impegno legata al ritorno in Russia fu il « Canto Sinfonico>> op. 57, in tre parti intimamente connesse le quali, pur senza finalità programmatiche, ebbero i titoli di « Tenebre, Lotta, Compimento ». La prima esecuzione di questo lavoro, avvenuta a Mosca il 14 agosto 1934, suscitò una dura reazione nell’organo ufficiale del Partito per le questioni musicali, la « Sovietskaja Muzika », che terminò il suo articolo appunto con le parole sopra riferite e con l’ammonimento che il continuare su quella strada sarebbe stato assolutamente incompatibile con il gusto musicale della Russia sovietica.

2. Giova appena ricordare che anche in questa occasione la coreografia era dovuta a Lavronskij, le scene e i costumi a P. Vil’jam; l’interprete maschile fu C. Serghiev. La partitura, edita a Mosca da Musfond nel 1944, reca la suddivisione in 3 atti, 13 scene, 1 prologo e 1 epilogo.

3. Queste, come altre preziosissime notizie intorno alla vita e alla poetica di Prokofiev, sono ricavabili dalla « Autobiografia », pubblicata a Mosca nel 1956 e poi tradotta in inglese nel 1960, a cura di Rose Prokofieva. Una parziale antologia di questi scritti è contenuta nel numero unico dell’«Approdo Musicale » dedicato a Prokofiev (n. 13, 1961).

4. Le due Suites furono pubblicate come opera 64 bis e ter da Musgis a Mosca nel 1938; le prime esecuzioni erano avvenute nello stesso 1936 .La composizione di esse è la seguente: « Suite n. 1 »: 1. Danza popolare, 2. Scena, 3. Madrigale, 4. Minuetto, 5. Maschere, 6. Romeo e Gìulietta, 7. La morte di Tebaldo. « Suite n. 2     1. Montecchi e Capuleti, 2. L’infanzia di Giulietta, 3. Padre Lorenzo, 4. Danza, 5. Romeo e Giulietta prima della separazione, 6. Danza delle fanciulle delle Antille, 7. Romeo al sepolcro di Giulietta. Una terza Suite, di interesse assai minore, fu prodotta da Prokofiev nel 1946: essa, costituita di 6 pezzi, reca il numero d’opera 101.

 
Riccardo Muti / Orchestra e Corpo di ballo del Maggio Musicale Fiorentino
Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze, Stagione Lirica Invernale 1977/78

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