Franz Schubert – Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore
Dopo aver tentato con la sua Quarta Sinfonia, la cosiddetta « Tragica », di allargare le proprie esperienze nel campo strumentale cimentandosi con la grande orchestra e, nello stesso tempo, di appropriarsi delle contemporanee conquiste beethoveniane soprattutto nelle possibilità espressive legate al conflitto drammatico immesso nella forma sinfonica (la tonalità di do minore di questa Sinfonia è quasi l’epigrafe della imitazione dichiarata di atteggiamenti beethoveniani), Schubert fece ritorno con la sua Quinta Sinfonia a modi piú distesi e sommessi e meno programmaticamente turbati dai vistosi contrasti espressivi, sulla scia di quella tradizione piú autenticamente viennese a cui egli era tanto amorevolmente legato.
Scritta tra il settembre e l’ottobre del 1816, a soli sei mesi di distanza dalla precedente, questa Sinfonia nella tonalità di si bemolle maggiore era destinata all’orchestra di dilettanti che si riuniva nella casa allo Schottenhof, proprietà di Otto Hatwig, di professione violinista, e animatore, oltre che direttore, di tale complesso eterogeneo quanto mutevole nell’organico. Proprio la circostanza di questa destinazione, del resto non nuova per Schubert, lo costrinse a ridurre l’organico a quello di una piccola orchestra da camera senza trombe né timpani né clarinetti, precostituendosi come modello la versione originale della Sinfonia in sol minore di Mozart. Ne risultò una composizione dal carattere intimo, in cui al clima di piacevole e disimpegnato intrattenimento non doveva però risultare estraneo il ricorso a raffinatezze sempre originali e a quella libertà stilistica tipica del comporre schubertiano, ora col tempo arricchita anche nei dettagli delle combinazioni armoniche formali. Lontana dalle tensioni di Beethoven, di cui abbandona anche i segni esteriori dell’agogica della dinamica, la Quinta Sinfonia intende dunque rifarsi ai classici viennesi, Haydn ma soprattutto Mozart, peraltro accentuando la propria personale attenzione nella formazione dei temi, nel loro processo all’interno della forma sonata, come nella trasparenza dello strumentale.
Il primo tempo, « Allegro », risente in maniera particolare di uno spirito tipicamente mozartiano: l’introduzione in tempo lento è soppressa, e sostituita da quattro sole battute che immettono subito nel processo del divenire tematico; in questo movimento, peraltro molto lineare, Schubert non rinuncia però a sottili trasformazioni e deviazioni nel corso dello sviluppo, secondo un modo di procedere caratteristico del suo temperamento. L’« Andante con moto » è in equilibrio tra l’influsso di Haydn e quello di Mozart, con reminiscenze nascoste (la marcia dei Sacerdoti del « Flauto magico ») che si sciolgono poi, nel « Menuetto », in una citazione letterale dal Minuetto della Sinfonia in sol minore di Mozart, già additata come il modello di questa Sinfonia. Il Finale, « Allegro vivace», è invece in stile haydniano, condotto con cristallina purezza e sovrano equilibrio di proporzioni nella perfezione dei rapporti classici della forma sonata.
Pier Luigi Urbini / Stephen Bishop-Kovacevich
Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze, Stagione Sinfonica di primavera 1977