Milano – Il rapporto privilegiato che la Scala può vantare con Wolfgang Sawallisch e con il teatro da lui guidato, l’Opera di Stato di Monaco di Baviera, si consolida quest’anno con uno degli spettacoli più attesi della stagione: Cardillac di Paul Hindemith. Si tratta appunto di una produzione impostata da Monaco (dove ha debuttato nel gennaio 1985 ed è tuttora in repertorio), con allestimento interamente firmato da Jean-Pierre Ponnelle, compagnia di canto, direttore, e coro monacensi. Così, il coro della Scala si scambierà con quello di Monaco partecipando negli stessi giorni ad alcune recite di Cenerentola in quel teatro. Della Scala è invece l’orchestra, ormai abituata a lavorare proficuamente con Sawallisch anche in stretti tempi di preparazione.
L’occasione – quattro recite il 4, 6, 8 e 9 giugno – è di quelle da non perdere assolutamente. Non soltanto perché Cardillac, capolavoro del teatro del Novecento e del suo autore in particolare, è opera di rara esecuzione e di grandissimo fascino; ma anche perché lo spettacolo di Ponnelle, accolto a Monaco con vero entusiasmo, è tra i suoi migliori e più curati sia nell’invenzione scenografica – ispirata al livido contrasto di bianco e nero tipico del cinema espressionista – sia nella caratterizzazione psicologica dei personaggi e dell’azione attraverso un avvincente gioco di regia.
Rappresentata per la prima volta a Dresda nel 1926, Cardillac sviluppa liberamente un racconto di E. Th.A. Hoffmann, Das Fräulein von Scuderi, isolando le vicende del protagonista da una trama affollata di molti personaggi. Il dramma dell’orefice Cardillac, morbosamente attaccato alle proprie creazioni sì da assassinare tutti coloro che ne vengono in possesso, diviene per Hindemith la potente metafora di un tema a lui specialmente caro: il rapporto fra l’artista e le proprie opere, fra l’individuo e la società del suo tempo. La grandezza del creatore, la sua solitudine nonostante l’amore e il rispetto di cui è circondato, si mutano in tragica incapacità di dare senso alla vita con la testimonianza delle opere, trovando un equilibrio tra vizi privati e pubbliche virtù: Hindemith anticipa così tematiche cruciali dell’arte, e della riflessione sull’arte, nel nostro secolo, con appassionata lucidità. La grande scena finale nella quale Cardillac rifiuta di distruggere i gioielli per salvarsi e preferisce svelare il suo tremendo segreto alla folla che inorridita l’uccide, è un vertice di tensione espressiva che ha pochi riscontri nella storia del teatro musicale.
Ma il fascino, attraente e sfuggente, di Cardillac sta soprattutto nella veste compositiva. Fedele ai suoi principi di massima evidenza rappresentativa, Hindemith struttura l’opera in una successione di pezzi chiusi formalmente in sé compiuti, come arie duetti e insiemi, riservandosi per la scena culminante la forma onnicomprensiva delle variazioni. E la riflessione sull’incomunicabilità dell’artista vittima dell’angoscia diviene così meditazione sul destino della musica, nella forma di un dramma decantato con ordine supremo.
Il Giornale della Musica, n. 18, giugno 1987