Firenze – Giorgio Vidusso e Bruno Bartoletti hanno lavorato alacremente, in perfetta sintonia, per dare al 50° Maggio Musicale Fiorentino un volto degno dell’importante anniversario. Il quale invita non soltanto a fare un bilancio del significato storico e artistico di un festival che pur tra alterne fortune ha sempre mantenuto un proprio prestigio, ma anche a domandarsi quale potrà essere in futuro la sua fisionomia e la sua funzione.
Vidusso, il sovrintendente dell’ente fiorentino, non ha mai nascosto di considerare il Maggio soprattutto una espressione dell’orgoglio e della cultura fiorentina, capace però di misurarsi sul piano internazionale con i maggiori centri di produzione musicale e di attirare a Firenze l’interesse più vasto; per lui questo interesse può essere incrementato in due direzioni: puntando sulla rarità delle scelte – come è stato fatto quest’anno con le opere – e sulla qualità delle esecuzioni, da cui partire per nuove prospettive interpretative anche del repertorio.
Bartoletti, che di tanti Maggi è stato protagonista come direttore d’orchestra, e che ne è oggi il consulente artistico, aggiunge che non bisogna sottovalutare il problema organizzativo, dai tempi di programmazione del cartellone alle strutture capaci di realizzarlo. Entrambi sono d’accordo su un primo punto: il Maggio così com’è oggi ha una durata ritenuta eccessiva, che in futuro dovrebbe invece essere più concentrata e serrata.
Dice Bartoletti: «Nessun festival al mondo si prolunga per due mesi e passa. A Salisburgo o a Monaco in una settimana è possibile dare uno spettacolo diverso tutte le sere, e questo attira il pubblico internazionale. Qui da noi non è possibile per esempio provare contemporaneamente più di un’opera, perché le strutture non lo consentono: perciò forzatamente i tempi si dilatano. Quest’anno siamo riusciti a recuperare spazi da lungo tempo sottratti agli spettacoli musicali, tipicamente da festival, come la Pergola e il giardino di Boboli. Ma non basta.
Il vero problema che si pone per il futuro del Maggio, per il futuro di tutta l’attività musicale a Firenze, è la costruzione di un nuovo, moderno teatro; anzi, direi, di un centro per la musica e per la cultura, con teatri, sale da concerti e per le prove, con infrastrutture adeguate e al passo coi tempi».
Vidusso rincara la dose: «Maurizio Pollini non voleva più suonare a Firenze a causa dell’acustica del Teatro Comunale. I grandi cantanti, le grandi orchestre con i loro direttori sono abituati oggi a lavorare in condizioni assai migliori di quelle che possiamo offrire noi. Certo, l’immagine di Firenze riesce sempre ad attirare; ma tutto ciò rischia di non bastare più».
Conclude Bartoletti: «Il Maggio, con il suo impegno di eccezionalità, deve essere il fulcro di un’attività organica lungo tutto il corso dell’anno. E diventato invece un ibrido: per metà è un festival importante, per metà è una tipica stagione d’ente lirico.
Solo potenziando, per quantità e qualità, la stagione normale, come è già accaduto nello scorso inverno, potremo riservare al Maggio lo spazio specifico che gli compete, amalgamando le scelte secondo criteri rigorosamente selettivi. Per dare il meglio di sé nel festival, anche come scelte di programmi e dì interpreti, un teatro deve funzionare sempre ad alti livelli: occorre seminare bene prima per cogliere al Maggio, come si deve, i frutti migliori».
Il Giornale della Musica, n. 17, maggio 1987