«Abbiamo la fortuna di essere una struttura piccola»

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Aldo Bennici, quarantotto anni, violista di fama internazionale, interprete fra i più amati dai compositori contemporanei, persona di rara simpatia e competenza, è il nuovo Direttore artistico dell’Orchestra Regionale Toscana per il triennio ’87-89.

A chi prendi il posto?, gli domando a bruciapelo.

«Intanto mi sono liberato di Specchi e Turchi. E’ il riscatto della mia categoria. Mi diceva Bruno Giuranna: quando suonavo in quartetto, a me, la viola, al massimo facevano scrivere le lettere. Ora ci fanno direttori artistici».

Che in questa Firenze litigiosa e sospettosa ci sia anche chi sappia scherzare così, e in modo da non destare equivoci, conforta e apre il cuore.

«Io sono un ottimista. Non credo davvero che l’immagine vera di Firenze sia quella della rissa e del degrado. Guardiamo i fatti: la vita musicale fiorentina è fiorentissima, c’è collaborazione e voglia di fare. Non sono i musicisti a volere la guerra. Con Specchi e Turchi abbiamo lavorato in perfetto accordo per stabilizzare la fase di crescita dell’Orchestra Regionale Toscana, nell’organizzazione e nel livello qualitativo del complesso, nella presenza sul territorio regionale e anche nazionale, nella scelta e nella articolazione dei programmi. Proseguirò su questa strada anche ora che i loro impegni li portano altrove, lasciandomi da solo».

Un’isola felice, dunque?

«Ho la fortuna di essere tra colleghi con cui si può lavorare serenamente. La nostra è un ‘orchestra particolare, fatta di un gruppo selezionato di solisti che amano l’orchestra e si identificano in essa. Tutto ciò si ripercuote nella qualità della resa artistica e nel piacere che i direttori provano a stare e ritornare con noi. Insomma, questi artisti vengono qui a buone condizioni perché ci lavorano bene, con simpatia e tranquillità. E’ l’uovo di Colombo. E ciò attira anche i giovani strumentisti, che accorrono numerosi ai nostri concorsi. E’ una balla che i giovani rifiutano l’orchestra: vogliono però garanzie artistiche e soddisfazioni. E questo mi pare anche legittimo. Certo, abbiamo la fortuna di essere una struttura piccola, quasi familiare. Che gestisce però denaro pubblico. L’impegno a differenziarci secondo la nostra funzione, per esempio rispetto al Teatro Comunale o agli Amici della Musica, non significa andare all’avventura: cerchiamo di fare programmi che abbiano un senso, una loro logica, di coprire spazi poco frequentati (il Settecento, il Novecento storico, la musica contemporanea); ma siccome abbiamo una diffusione regionale, dobbiamo presentare anche, in luoghi affamati di cultura musicale, le opere di base del repertorio che il nostro organico può eseguire. E possibilmente a buon livello. Per questo ci siamo assicurati un direttore stabile del prestigio di Donato Renzetti: per sfatare anche la consuetudine secondo la quale i nostri bravi artisti preferiscono andare all’estero disprezzando il modo in cui si lavora in Italia. Il che non è vero».

E allora, i problemi non esistono?

«Ne abbiamo uno, e grande: la sede. Quella stabile che ci è stata assegnata, la chiesa di S. Stefano al Ponte Vecchio, non è certo adeguata: ma questo è un problema che riguarda la mancanza di una vera sala da concerti, di un centro polivalente per la musica, a Firenze. Ne soffriamo tutti, e tutti insieme dobbiamo batterci per risolverlo».

Sogni nel cassetto?

«Più che sogni, speranze. Migliorare l’immagine dell’orchestra sul piano nazionale con un tipo di programmazione e di intervento appropriato. Nel febbraio del 1988 faremo la nostra prima tournée italiana. Consolidare certi rapporti che ci vedono già impegnati anche in campo operistico, per esempio col teatro di Pisa. Commissionare a compositori d’oggi lavori per il nostro specifico complesso. La nostra esperienza ha dimostrato che lavorando e producendo non mancano i riconoscimenti, né il necessario sostegno sia finanziario sia “”politico””. Non ho ragione a essere ottimista?».

Il Giornale della Musica, n. 12, dicembre 1986

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