Die Entführung aus dem Serail è l’opera che inizia una fase nuova nella carriera teatrale di Mozart. Nessuna opera, né precedente né successiva, offre una tale profusione di musica allo stato puro, di canto, di invenzione timbrica. Si suol dire che solo realizzando la fusione dei generi Mozart sviluppasse un senso drammatico pieno attraverso l’orchestra, la gradazione dei caratteri e la continuità dell’azione: ma è esprimendosi nella propria lingua, sfruttando l’alternanza di parti parlate e cantate propria del Singspiel, che individuò non solo le radici di una fantastica forma di teatro ma anche la sua vera natura di compositore drammatico. Ciò che colpisce nella Entführung, e poi nella Zauberflöte, è la decisa affermazione di valori morali, umani; cui la musica partecipa con una carica di commozione semplice e diretta: qualcosa di diametralmente opposto al programmatico disincanto e al realismo amaro delle opere italiane. Sembra quasi che Mozart adotti un linguaggio del cuore e della mente diverso nelle forme del teatro tedesco e italiano: come se quei mondi fossero anche spiritualmente, eticamente diversi. La sua visione non è però ideologica e tanto meno manichea, bensì aperta a riconoscere che il vero senso etico sta dietro le apparenze dei comportamenti e degli atteggiamenti. Per questo egli fu, dietro le apparenze, un artista profondamente morale. Il ribaltamento delle apparenze è la tecnica, di forte efficacia anche teatrale, che Mozart usa per affermare questi valori: nella Entführung il pascià Selim concede spontaneamente e inaspettatamente la libertà a Constanze dopo aver sperimentato che niente vale a piegare la forza dell’amore. Che un turco ostile e minaccioso potesse dimostrare quella nobiltà d’animo e quella moderazione che l’uomo civile europeo sembrava già allora aver perdute poteva suonare come una stravaganza esotica: per Mozart era il segno di una verità e di una giustizia depositate nel fondo eterno delle cose. Il Vaudeville con cui si chiude l’opera è più di un elettrizzante lieto fine, è la ricomposizione di quell’ordine interno ed esterno che dà all’uomo e al mondo, oltre la finzione del teatro, serenità, quiete e armonia. C’è però un fatto da ricordare. All’illuminato Selim manca il dono del canto: colui parla soltanto. Nel suo serraglio non esistono melodie: ed è il rapimento della musica, che lo ferisce al cuore, a vincerlo alla fine.
Rapimento
R