Di fronte all’ennesima apparizione di una “nuova” incisione discografica di un’opera di repertorio può capitare di chiedersi, non necessariamente con malizia, che cosa ne giustifichi l’uscita sul piano artistico e quale interesse dovrebbe spingerci a sborsare cento e passa mila lire per acquistarla. Il semplice fatto che sia l’ultima in ordine di tempo, verosimilmente realizzata con tecniche di registrazione più perfette o sofisticate delle precedenti? O invece la qualità della proposta esecutiva, legata al perpetuo rinnovarsi dell’interpretazione? E, in questa seconda ipotesi, in relazione a quali metri di giudizio, per merito di chi?
Nel caso delle Nozze di Figaro di Mozart (opera di repertorio? Sí vivaddio, opera di repertorio!) e della recente edizione pubblicata dalla Deutsche Grammophon in un elegante cofanetto di tre compact disc, la risposta è abbastanza facile: il motivo principale di attrazione, tutt’altro che delusa dalla verifica, è costituito dalla direzione di Claudio Abbado a capo di un’orchestra, quella dei Wiener Philharmoniker, all’altezza della sua fama e, si dovrebbe aggiungere, esaltata da una tecnica di registrazione veramente splendida per nitore di suono, profondità di prospettiva e misurata calibratura di effetti scenici; sì da far sembrare la mitica sala del Musikverein di Vienna, luogo dell’incisione, un modello di teatro virtuale.
Abbado, dunque. Cui riesce la quadratura del cerchio di darci una lettura stilisticamente ineccepibile della partitura, senz’altro consigliabile come esemplare a chi ancora non conoscesse l’opera e volesse compiere il primo passo, e nello stesso tempo di costruire pezzo dopo pezzo, momento dopo momento, una visione così avvincentemente personale, così fresca e immediata pur nel calcolo tesissimo dei particolari, da farla apparire non solo teatralmente irresistibile ma anche musicalmente nuova. Moderna, si vorrebbe specificare; ossia offerta all’ascolto come interamente posseduta e insieme fuggevole nello stupore continuo della rivelazione.
La carta vincente di Abbado sta nell’accettare la premessa che Le nozze di Figaro sono alla base un’opera buffa: e se da un lato ciò significa leggerezza, speditezza, lucentezza e fantasmagoria di situazioni in costante divenire, dall’altro lato spalanca le porte dell’ambiguità, della molteplicità, della finzione che è verità e della verità che è finzione, in una polivalenza di sensi senza limiti né stereotipi. Il risultato è una vertigine lucidamente analizzata ma ravvivata dal fuoco bruciante della passione.
Purtroppo non tutti i cantanti assecondano Abbado come si vorrebbe, restando attardati vuoi per carenze tecniche vuoi per immaturità espressiva. E se una colpa si può fare al direttore, questa è di non aver esteso alle voci il fenomenale lavoro di scavo intrapreso sull’orchestra. Cheryl Studer per esempio ha una voce sontuosa e calda, ma la sua Contessa rimane un po’ imbambolata nella ricerca di una bellezza a tratti accademica; Sylvia McNair è frizzante come si conviene, ma come Susanna denuncia una certa uniformità di spessore e di accenti. Assai interessante il Conte giovanile e fremente di Boje Skovhus, che ricorda l’eleganza di Fischer-Dieskau; Lucio Gallo (Figaro) lo sovrasta per volume e intensità, ma stranamente la sua dizione tende, soprattutto nei recitativi, a pose manierate e innaturali. Su tutti un nome, un personaggio: Cecilia Bartoli-Cherubino. Si ha un bel dire che la sua voce è costruita per i dischi: la varietà di fraseggio, la sensibilità e l’intelligenza di cui ammanta la sensualità di Cherubino sono l’esatto corrispettivo delle intenzioni di Abbado, che sembra dialogare con la Bartoli più che con ogni altro personaggio, quasi divertendosi a inventare sempre nuove sfumature.
Mozart, Le nozze di Figaro; Studer, Skhovus, Mc Nair, Gallo, Bartoli, Wiener Philarmoniker, dir Abbado. Deutsche Grammophon 4459032 (3 cd)