Se non li avessimo devotamente ascoltati più volte a teatro, dal vivo, tali e quali, questi Maestri cantori di Norimberga incisi da Wolfgang Sawallisch con i complessi, coro e orchestra dell’Opera di Stato Bavarese potrebbero sembrare incredibili, anzi un vero e proprio miracolo. Possiamo invece testimoniare che si trattava, nell’era Sawallisch a Monaco, di pura normalità. Due volte all’anno, per quasi vent’anni, Sawallisch ha officiato il rito dei Maestri cantori nel suo teatro con affetto, sapere e competenza assoluti. Le rappresentazioni si ripetevano immancabilmente all’inizio dell’anno e alla fine della stagione, simbolicamente: e ogni volta era come ritrovare un amico caro, riassaporare un’emozione indicibilmente profonda. Cambiavano col tempo le compagnie di canto, ma non il risultato: la presenza di Sawallisch a capo di un’orchestra e di un coro con cui si era stabilita una familiarità completa era la garanzia di una continuità attestata sui livelli più alti della perfezione tecnica e della proprietà stilistica. Ma anche questo vertice era poi soltanto la base di un’avventura interpretativa che ogni volta sembrava ripartire da capo, nota dopo nota riscoprendo un dettaglio inedito, mettendo in rilievo un accento diverso all’interno del grande arco sapientemente definito e luminosamente fissato. Più volte nel corso di quelle esecuzioni, di cui credevamo di conoscere ogni minimo risvolto, di cui attendevamo con trepidazione i momenti culminanti (ma con Sawallisch ogni battuta lo era) ci siamo sorpresi a trasalire di meraviglia, a desiderare che la musica si fermasse per sempre nell’estasi. Più volte, lo confessiamo, il ciglio si inumidì di lacrime di commozione, felicità e gratitudine.
Si poteva temere che la registrazione realizzata in studio quando ormai la lunga consuetudine in teatro si era esaurita (nell’aprile 1993, data della registrazione, Sawallisch aveva già lasciato l’Opera di Monaco) non riuscisse a rendere appieno la vivacità e il calore di quelle indimenticabili esecuzioni dal vivo. Si sarebbe trattato di un documento per così dire postumo? La pubblicazione dell’incisione (fra l’altro in una resa tecnica dei piani sonori eccellente per nitidezza e profondità: capolavoro del producer Wilhelm Meister, in tono anche nel cognome) non soltanto smentisce finalmente questo timore ma va anche oltre le più rosee previsioni sulla capacità del disco di esprimere, di una partitura immensa come questa, tutti i valori di immediatezza musicale, accanto all’evidente qualità della massima precisione e pulizia. D’altronde, per chi ha i Maestri cantori nel sangue, questo risultato è tanto possibile quanto naturale: anche il sommo Hans Knappertsbusch, di cui Sawallisch è oggi in questo repertorio l’unico legittimo erede, ci ha dato i suoi più alti Maestri cantori in una incisione in studio, dopo molte splendide prove in teatro.
Sawallisch appartiene alla stirpe rara, severa e solenne dei Furtwängler, dei Krauss, dei Knappertsbusch appunto, per citare solo i massimi esponenti della scuola storica dell’interpretazione wagneriana. I suoi Maestri cantori hanno però anche altri pregi: quelli della leggerezza, dell’ariosità, della preziosità timbrica, in una parola dell’equilibrio. Né troppo tragici alla maniera antica né decadentistici a quella moderna, né unilateralmente seriosi né sfacciatamente comici, bensì intimi, pieni, solidi; quantunque spesso giocati, nelle pieghe del grande arco, su chiaroscuri e mezzetinte straordinariamente penetranti. Non v’è traccia di enfasi e di retorica nella celebrazione del testo sacro della grande arte tedesca, semmai appena un’ombra di ironia e di sorridente bonarietà: evidente soprattutto nella pungenza con cui è tratteggiata nel primo atto la corporazione dei Maestri e al suo interno la figura di Beckmesser. Ottuso censore, certo, ma mai figura ridicola: anzi, umanamente non meno rilevante del maturo, saggio Sachs e dello scalpitante, impulsivo Stolzing. La simpatia di Sawallisch li accomuna al centro di un grande affresco corale, teso a una definizione ambientale non meno che poetica: per esempio lo snodo sinfonico che conduce all’ultimo quadro all’aperto è la volta che svela l’impalcatura dell’azione, riannodando i destini dei personaggi in una scena d’insieme sospesa sul tempo e sullo spazio. Ed è qui, quando tutto sembrava già detto benissimo, che l’opera assurge a dimensioni metafisiche, di universale grandezza: cui Sawallisch, di slancio, conferisce il respiro della incommensurabile eppur tangibile bellezza spirituale nella frenesia della festa.
Se tutto ruota intorno a Sawallisch, la compagnia di canto ha in serbo frecce acuminate nelle pagine di più ampia espansione vocale. Bernd Weikl (Sachs), Ben Heppner (Stolzing), Siegfried Lorenz (Beckmesser) e Deon van der Walt (David) si calano perfettamente nei loro personaggi ma danno ognuno anche qualcosa di unico, di personale; la teoria dei Maestri, guidata dall’impareggiabile Kurt Moll (Pogner), ha il peso di squadre d’altri tempi; la stessa Cheryl Studer, tenuta per mano dall’esperienza del direttore, ritrova come per incanto la forza incisiva della sua voce adamantina, senza bamboleggiamenti: una Eva di formato mondiale. Tutti sembrano partecipi della convinzione che questi Maestri cantori di Norimberga ratifichino un momento stellare nella storia dell’interpretazione discografica. Il bello è non solo che ciò sia avvenuto davvero, sfidando anche il ricordo, ma che sia avvenuto con questa freschezza e naturalezza, per la gioia di chi ama la verità della musica, senza effimeri protagonismi.
Wagner, Die Meistersinger von Nürnberg; Weikl, Heppner, Studer, Moll, van der Walt, Kallisch, Lorenz, Pape; Chor der Bayerischen Staatsoper, Bayerisches Staatsorchester, dir Sawallisch. Emi Classics 5-55142-2 (4 cd)