La formazione di Prokof’ev avvenne intrecciando i contatti con le forze più vive della cultura russa dell’inizio del secolo, che subito lo elessero a suo protetto, con severi studi accademici, di composizione, pianoforte e direzione d’orchestra al Conservatorio di Pietroburgo. «Mi volevano insegnare delle regole, mentre io sognavo di comporre delle opere»: nonostante queste riserve, Prokof’ev non rinnegò mai l’importanza della tecnica nel bagaglio professionale del musicista. Divenne anzitutto un formidabile pianista, le cui risorse seppe mettere a profitto anche come creatore, affrontando senza inibizioni i generi antichi della Sonata e del Concerto, ma liberandosi anche nelle forme più libere dei pezzi di carattere, dove la vena popolare s’ingrossava nella piena di travolgenti invenzioni strumentali tra il visionario e il descrittivo. Nell’atteggiamento onnivoro del giovane Prokof’ev non c’era contrasto, se non per fini artistici, fra tradizione e modernità, fra indirizzo filo-occidentale e fedeltà alle radici della propria terra. Neppure in seguito, quando gli eventi della storia lo avrebbero posto di fronte a situazioni difficili, Prokof’ev avrebbe fatto dell’ideologia una ragione discriminante nelle scelte artistiche. Se fu anche un artista di avanguardia, lo fu perché quella posizione coincideva con ciò che in quel momento aveva da dire, per convinzione e per testimoniare la sua presenza.
Semmai, quella affermazione indica che preminente in lui era l’interesse per il teatro. C’è un che di teatrale, di drammaticamente esibito e movimentato, in tutta la sua produzione, non solo nelle opere propriamente dette. Ma è qui che la vocazione a mettere in scena il proprio mondo e a interpretarne le risonanze si realizza nel modo più completo. Già nel balletto Il buffone, scritto per Djagilev negli anni ruggenti delle avanguardie, Prokof’ev mostra una magistrale capacità di risolvere in gesto teatralmente efficace l’eclettismo del suo stile. Tre sono gli elementi fondamentali che agitati nel caleidoscopio del gusto concorrono a definirne la fisionomia: l’incisività dei ritmi, asse portante del movimento sonoro e scheletro dell’organismo musicale, l’ampiezza dell’armonia, che emancipandosi dalle leggi della consonanza intesa in senso non solo tecnico dà sostanza ai contenuti musicali, e la varietà timbrica che, con i suoi contrasti e le sue trasformazioni, riveste e rende visibili all’esterno le tensioni di una inesauribile forza vitale.
Tutto il teatro di Prokof’ev è una reinvenzione della realtà che accentua tratti estremi della vita o li trasporta sul piano del gioco, della caricatura e dell’ironia, per sottolinearne l’irrealtà e la finzione. Solo che questa finzione è per lui più vera della realtà e definisce un universo delle passioni e delle idee proiettato in una sfera capricciosamente ideale, cui la musica deve dare concretezza. Benché Prokof’ev usi le figure più avanzate e più raffinate del linguaggio del suo tempo, l’atteggiamento di fronte al teatro è profondamente influenzato da una totale fiducia nei mezzi espressivi tradizionali, che fanno la realtà stessa del teatro nel versante della costruzione drammatica di una storia attraverso personaggi e situazioni e in quello della caricatura del dramma per mezzo della riflessione ironica. Di qui l’evidente predilezione per situazioni eccentriche, nelle quali la fantasia e la capacità di definizione della musica trionfassero di per se stesse, toccando le corde più diverse e complementari.
Se questa fu per Prokof’ev l’essenza trasfiguratrice della musica, egli seppe adattarla alle diverse funzioni in cui a seconda dei casi doveva servire per riuscire adeguata. Ogni genere richiedeva nuove regole, ma non poteva rescindere dalla storia, che rappresentava la continuità con il passato e il mezzo per comprendere il presente. Nella sua vastissima produzione Prokof’ev non vide mai fratture o separazioni nette: ciò che noi definiamo eclettismo è in realtà uno stile, personale e fra l’altro riconoscibilissimo. Per questo non ha molto senso suddividere in filoni (la linea classica, quella russa, quella moderna, quella motoria, quella lirica e via dicendo) i cospicui frutti di una creatività che rimaneva alla base sempre la stessa e il cui scopo era imprimere un impulso vitale, di segno positivo e concreto, alle raffigurazioni della musica. La consapevolezza formale e la ricchezza dell’invenzione erano tali che Prokof’ev poteva creare indistintamente e contemporaneamente per ogni occasione, si trattasse di imitare i classici, come nella Sinfonia classica, o di fornire la colonna sonora per i film di Eisenstein, immedesimandosi nel loro linguaggio.