Luigi Dallapiccola, un musicista europeo

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Luigi Dallapiccola (1904-1975) è stato, accanto al coetaneo Goffredo Petrassi, non soltanto uno dei maggiori compositori italiani del Novecento, ma anche una figura di spicco della musica europea. Porre l’accento sulla vocazione europea di Dallapiccola significa anzitutto riconoscere in lui un modello di apertura mentale e di determinazione artistica nei percorsi accidentati e nelle eclettiche vicende della nostra epoca, e in secondo luogo inquadrare la sua evoluzione nella progressiva conquista di prospettive che, partendo da solide radici culturali e umanistiche, ampliarono gli orizzonti della musica italiana e indicarono la via alle nuove generazioni, quelle, per esempio, di Berio e di Nono, di Bussotti e di Togni.
Non bisogna dimenticare che quando Dallapiccola compositore si affacciò alla ribalta, nei primi anni Trenta del Novecento, l’Italia era ancora essenzialmente il “”Paese del melodramma””. Alcuni compositori della generazione precedente, nati cioè intorno agli anni Ottanta dell’Ottocento, come Ottorino Respighi, Ildebrando Pizzetti e soprattutto i più giovani Gian Francesco Malipiero e Alfredo Casella, verso i quali il giovane Dallapiccola mostrò subito interesse e ammirazione, avevano cercato di reagire isolatamente a questa situazione di fondo, elevando la musica italiana sul piano culturale, rinnovandola e aprendola alla civiltà europea. Comune a queste istanze di rinnovamento era l’atteggiamento critico nei confronti del melodramma ottocentesco – e più in generale dell’Ottocento in quanto secolo dominato in Italia dal gusto dell’opera -, estremizzato nel rifiuto, che sarà poi netto in Dallapiccola, se non del melodramma in quanto tale, delle correnti che facevano capo al Verismo e al Naturalismo della “”Giovane Scuola””. Parallelamente, la riacquisizione e la rivalutazione del patrimonio musicale antico – cioè preottocentesco – avevano aperto la strada alla rivendicazione, anche in senso orgogliosamente nazionalistico, della grandezza della tradizione italiana nel campo della musica strumentale. In Dallapiccola, però, la convinzione che la nuova musica italiana dovesse basare la propria identità tanto sullo studio e sull’insegnamento degli antichi maestri quanto sull’assimilazione di condizioni linguistiche ed esigenze artistiche necessariamente mutate, saldava questo recupero del passato con l’esplorazione di insondati, originali terreni espressivi e formali, non limitati al filone dominante del “”neoclassicismo””. La vocazione europea di Dallapiccola, superando con fermezza condizioni obiettivamente difficili,  si realizzò in una scelta di campo in favore della modernità, nella quale l’opera del compositore fosse anche testimonianza di impegno civile e umano.
Prima ancora di compiere il passo decisivo e definitivo dell’adozione della dodecafonia come base del comporre (espressione di una “”nuova logica””, ma anche di uno “”stato d’animo”” interiore), Dallapiccola fu attratto in modo singolare dalle voci più disparate della musica europea. In Ferruccio Busoni, anch’egli figlio inquieto della civiltà mitteleuropea, individuò il modello ideale della ricerca illimitata e di un fondamentale, lieto ottimismo. Finalmente la conoscenza, nutrita di devozione, dei musicisti della Scuola di Vienna – Arnold Schönberg, Alban Berg e Anton Webern – ebbe sviluppi concreti e personali nell’ambito della creazione, chiarificando presupposti e sollecitazioni provenienti da altri campi, soprattutto dalla letteratura, a dimostrazione, scriverà Dallapiccola, che “”il problema attuale delle arti è uno solo””. E’ proprio nell’incontro con la letteratura che la produzione di Dallapiccola, elettivamente, quasi costituzionalmente vocale, sviluppa per intero i suoi caratteri artistici e musicali, favoriti da un talento tanto innato quanto coltivato con ferrea autodisciplina. Tutti questi elementi cementarono i tratti di una personalità profondamente intrisa di valori umanistici e di tensioni spirituali, di un senso del dovere e della responsabilità (evidente retaggio schönberghiano: “”l’arte non deriva dal potere, ma dal dovere””) di intransigenza quasi morale, di un impegno artistico approfondito nel dubbio e nella solitudine e indirizzato verso l’alto, che sottende, in una sorta di illuminante vertigine visionaria, la meta di un approdo trascendente. Ecco perché attorno a Dallapiccola, musicista di frontiera e del molteplice, è possibile ricostruire uno dei percorsi principali, luminosi, della musica del Novecento.

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