Il Singspiel in tre atti Il ratto dal serraglio è considerato, a torto, un’opera quasi minore di Mozart, comunque non paragonabile con la trilogia italiana di Da Ponte e neppure, nel suo genere, con Il flauto magico. Anche nei paesi di cultura tedesca, dove pure gli ostacoli della lingua e della estraneità alle tradizioni specifiche del Singspiel non sussistono, vive ai margini del repertorio, in una specie di limbo dorato, che ne riconosce le qualità ma non le ambizioni. Perché accade questo? La risposta più semplice è che noi siamo abituati a vedere in Mozart colui che con la sua musica ha fuso tragedia e commedia – più precisamente i generi dell’opera seria e dell’opera buffa – in unità inscindibile, connotandola, con tocco leggero, di risvolti psicologici, analitici, simbolici, mitici e metafisici universali. Universali nel senso che della vita reale e dei caratteri umani riproducono a tutto campo le aspirazioni, le illusioni e i sogni, senza assumere posizioni preconcette o morali. Per quanto differenziati in ogni caso, questi aspetti emergono nella continua, enigmatica inafferrabilità dei personaggi, delle situazioni, degli stati d’animo, trovando per ognuno di essi l’espressione più adeguata.
Il ratto dal serraglio si sottrae a questa definizione per più motivi. Anzitutto per il soggetto, che si colloca in una dimensione fiabesca, senza tempo, o meglio incorniciata nel tempo in cui fu composto, quando soggetti di tal tipo erano di gran moda. La favola dei due innamorati scaraventati da un destino avverso in luoghi lontani, vittime del terribile sultano e da questi inopinatamente graziati (favola eterna, popolare, con precedenti illustri, ma appunto favola), si era in quegli anni intrecciata con una vena orientale portatrice non soltanto di colori esotici (di cui la musica “”turca””, con le sue peculiari connotazioni anche strumentali, era il tramite privilegiato) ma anche di messaggi illuministici, concilianti e rassicuranti. Erano messaggi che vedevano nell'””altro”” e nel “”diverso”” un esempio da seguire per vagheggiare in un altrove favoloso l’età dell’oro. Inevitabilmente un soggetto di questo tipo richiedeva una trama prestabilita, convenzionale: la coppia aristocratica mossa da sentimenti appassionati e malinconici (la giovane nobildonna Konstanze e il giovane nobile Belmonte) affiancata alla coppia marcatamente buffa dei servi (la cameriera Blonde e il servitore Pedrillo); la figura sanguigna e collerica del cattivo selvaggio ma tutto sommato buon diavolo (il guardiano dell’harem Osmin) contrapposta alla silhouette magnanima del saggio, generoso Pascià Selim, che nell’opera non canta ma parla. Si dirà che, con qualche differenza, è la stessa distribuzione del Flauto magico. Ma a parte che Gottlieb Stephanie, l’autore del libretto, non possedeva il genio e l’esperienza di Schikaneder, è la situazione di fondo a essere profondamente diversa: qui non siamo di fronte a un’allegoria del cammino d’iniziazione verso la conoscenza, né a un simbolico riconoscimento dei valori, grandi e piccoli, che debbono o possono portare alla felicità. Siamo semplicemente di fronte a un tentativo, comicamente fallito, di rapimento, cui improvvisamente segue una liberazione inaspettata. Mozart lottò con tutte le sue forze per dare alla struttura drammaturgica unità e varietà (in nessun altro periodo della sua vita si diffuse in tante dichiarazioni epistolari sulla ricetta dell’opera ideale, e il povero Stephanie fu letteralmente tiranneggiato dalle sue richieste di modifiche al testo), ma dovette alla fine ripiegare su un assioma che, se ribaltava la teoria classicistica metastasiana, significava una rinuncia – forse a quel tempo a lui stesso non chiara – a traguardi più impegnativi: “”la poesia deve essere assolutamente figlia devota della musica””. E a questo si attenne.
Con risultati però di altezza suprema. E qui entriamo nel cuore della questione. La partitura del Ratto dal serraglio consta essenzialmente di arie solistiche (14 su complessivi 21 numeri) che non soltanto evadono dalla cornice mediocre della trama ma si lanciano in un corso di pensieri, di sentimenti, di emozioni, di tenerezze, di situazioni umoristiche che a quelle altezze li conduce. I personaggi, incarnati dalla musica, si trasfigurano in pure entità astratte, nelle quali trovano posto la poesia, il pathos, la rabbia, il distanziamento, le sfumature psicologiche e drammatiche: ma di per sé, quasi estraniate dal contesto, per così dire assolutizzate. La musica diviene misura a se stessa, con invenzioni a getto continuo, sostenendo il canto con l’orchestra usata con funzioni concertanti, per pervenire, nei pezzi d’insieme collocati alla fine degli atti, a una vertiginosa sospensione: ed è lì che avviene l’incontro tra azione e musica. Collocati negli snodi della vicenda, questi momenti d’insieme sono il risultato della carica accumulata nei pezzi chiusi e della loro esplosione. Essi segnano la conquista della capacità della musica di farsi azione e dramma. Ossia il raggiungimento di un primo stadio di compiutezza del teatro, nella raggiunta consapevolezza di sé.
Quando Mozart compose il Ratto dal serraglio si era appena liberato dal giogo di Salisburgo e da una condizione, anzitutto psicologica, di subalternità. Per la prima volta, stabilizzatosi nella Vienna dei suoi sogni, si sentì un libero professionista, cui non erano imposti limiti al di fuori del suo genio. Ma non solo. Il ratto dal serraglio significò, in tutti i sensi, la scoperta delle meravigliose possibilità del teatro, nel quale Mozart vedeva la realizzazione delle proprie aspirazioni. Forse non ancora dell’essenza del teatro, ma certamente dei suoi meccanismi, delle sue pratiche, delle sue strategie e tattiche, e soprattutto del suo essere un modo di vivere e di pensare prima ancora che di creare: da questo punto di vista il piccolo mondo familiare del Singspiel gli era per ora più congeniale dei grandi miti eroici. Questa entrata nel mondo del teatro così inteso avvenne trionfalmente con il Ratto dal serraglio: portando con sé tutte le magie, gli incanti, gli stupori, i sussulti di una esperienza nuova e tanto desiderata. Per Mozart dovette essere una sensazione elettrizzante. Ora che vi era entrato per non abbandonarlo mai più, il teatro poteva essere conquistato. Ma quell’emozione, la freschezza della prima vera scoperta, non sarebbe mai più ritornata.
Arione, Aprile 2002
Il Ratto del Serraglio, l’emozione della scoperta del teatro
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