Hoffmann – Undine
Rita Streich (Undine), Raimund Grumbach (Huldbrand von Ringstetten), Melitta Muszely (Berthalda), Karl Christian Kohn (Kùhleborn); Orchestra sinfonica e coro della Radio Bavarese, direttore Jan Koetsier
(registrazione live; pubblicazione: 1992)
Memories HR 4305/06 (2 Cd)
A occhio e croce questa registrazione di Undine dovrebbe risalire agli anni Sessanta, forse anche prima, ma non reca alcuna indicazione della data in cui l’esecuzione fu prodotta dalla Radio bavarese (e ciò spiega la qualità non eccelsa ma più che accettabile del nastro; forse Celletti, analizzando la voce della Streich, potrebbe essere più preciso: ma perché la Memories tace il riferimento?). Salvo il vero, è la prima pubblicazione in Cd di un’opera che nella storia della musica ha un posto assai speciale, prezioso, come infallibilmente spiega nelle note d’accompagnamento Quirino Principe: basterebbe il suo saggio per renderne consigliabile l’acquisto. Poi naturalmente vale anche la curiosità d’ascoltare la musica, immaginando fin dove possibile l’azione: che è appunto tutta sospesa sul filo stupefacente di una fantasia bizzarra e inquieta, tra paesaggi di sogno e sogni di paesaggi, anche e soprattutto interiori; tra spiriti e simboli, viaggi e trasformazioni, difficile figurarsi una regia capace di realizzare tutte le suggestioni del libretto di Fouqué, non aiutato drammaturgicamente dalla musica di Hoffmann. La quale palesemente mira più a creare un clima romanticamente fiorito, fatato, allusivo, che a fissare uno svolgimento di progressione drammatica.
Si sa che E.T.A. Hoffmann è stato una vera miniera di ispirazione per la musica, come scrittore; come compositore, pur fingendo d’incarnarsi nei panni di un navigato Kapellmeister, rimase un dilettante di genio, con una vocazione teatrale tanto spiccata quanto limitata. La sua limitazione stava proprio nel fatto che non considerasse la musica un elemento decisivo dell’azione (come farà invece Weber, che per questo fu il vero iniziatore del teatro nazionale tedesco nell’Ottocento) ma un mondo spirituale a sé, nel quale gli avvenimenti, anche quelli più realistici e sensuali, gli apparivano sotto forma di pura eco di un lontano suono magico, specchio in cui riflettere fino a farli svanire ombre e incantesimi già irreali. D’altro canto il teatro, come luogo ove ogni finzione diviene plausibile, lo attirava irresistibilmente: non gli sarebbe stato possibile pensare la musica in altra prospettiva. Da questo contrasto irrisolto (né mai gli sarebbe interessato risolverlo) nasce la contraddizione della sua opera, di fertilissima conseguenza per gli altri che la seppero comprendere, ma non per lui stesso: non almeno in veste di compositore. In questa veste Hoffmann non giunse mai a superare le convenzioni della sua epoca. E questo fu il suo limite vero: come pure la ragione del suo successo del momento. Il suo linguaggio ci appare oggi la quintessenza non del romanticismo come conquista concreta di un nuovo orizzonte espressivo, ma della tendenza estetica che vi era sottesa: appunto la visione di un ideale irrealizzabile tanto teoricamente quanto praticamente con risorse che presto sarebbero diventati luoghi comuni. Da questo repertorio Undine è travolta e alluvionata come dalla piena dell’elemento acquatico che circonda la protagonista e la fiaba. E perfino le eccezioni, soprattutto nei momenti idilliaci e i cori, non annullano la regola.
Credo che Quirino Principe non sarà d’accordo. Pazienza. Non si emettono qui sentenze definitive. Anche perché l’edizione cui ci riferiamo non va tanto per il sottile, e non si pone certo grandi questioni di stile, almeno da parte del direttore: rimane la splendida vocalità della Streich, gemma che brilla dal fondo delle acque, e le traversa come una piccola figlia del Reno, in attesa di altri destini.
Musica Viva, n.2 – anno XVII