Restauro o revisione?

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Quello delle edizioni critiche delle opere musicali a un argomento di cui da qualche tempo a questa parte si parla molto, non foss’altro perche il loro uso è ormai massicciamente entrato nella pratica; e non solo per il repertorio meno frequentato, per esempio l’opera del Settecento, dove il ripescaggio dei titoli non a mai disgiunto dal lavoro di revisione critica.

Non sempre però se ne parla in modo corretto, e soprattutto obiettivo. E diventata ormai una consuetudine assegnare alle edizioni critiche quasi una patente di verita assoluta, come se servirsene nelle esecuzioni equivalesse a compiere una scelta morale comunque garante di nobili risultati: e dunque i buoni sono quelli che le seguono, e naturalmente lo sottolineano a chiare note, i cattivi invece quelli che ostinatamente continuano a ignorarne le prescrizioni. Di fatto, accade spesso the i primi si comportino esattamente come i secondi, salvo il tacerlo.

Il pubblico, poi, tende a dedurre che un’opera presentata in edizione critica sia in ogni caso migliore, perche più fedele e attendibile: in altri termini, crede ciecamente all’etichetta. E dal suo punto di vista ha perfettamente ragione. Non può immaginare che, qualità a parte (chi controlla I’esattezza dell’edizione critica?), sotto quella definizione si celi un groviglio di motivi (e anche di interessi, come provocatoriamente avverte Luca Logi nel suo intervento da pagina 55) spesso contradditori, boriosi se non mistificanti. Talvolta reagisce con sorpresa o insofferenza quando un’edizione critica smonta alcune convinzioni sedimentate dalla tradizione, contrastando con le sue attese di sempre: solo in questi casi forse si rende conto che 1’edizione critica ha una responsabilità enorme nel correggere o mettere in discussione abitudini consolidate. E anche non sempre le migliora quando vuole fissare una volta per tutte la verità.

Anzitutto va messa da parte l’idea che edizione critica sia sinonimo di autenticita filologica. La filologia a solo un mezzo che viene impiegato nell’approntare una edizione critica: serve tutt’al piu a far sì che un manoscritto o un autografo siano riprodotti senza errori, così come si presentano nell’originale. Percie gli Urtexte non rientrano nella categoria dell’edizione critica, o almeno non ne esauriscono tutto il campo d’azione: non e detto che la riproduzione filologica di un testo sia sempre una garanzia della sua autenticita in assoluto. Certo, conoscerlo in questa forma e fondamentale, ma non è motivo sufficiente per affermare che ci viene restituito il testo “”originate”” del1’autore.

A che cosa mira questa premessa volutamente dubitativa? Semplicemente a far riflettere su due fatti. Primo: in musica, a differenza di ogni altra arte, il testo e in funzione dell’esecuzione, che e quella complessa operazione di decifrazione e di collegamento fra i segni che si pone il compito di renderli significanti e di comunicarli (convenzionalmente quest’atto e chiamato interpretazione). Secondo: nel passaggio dalla stesura alla esecuzione il testo cambia, non solo per opera degli interpreti che per primi lo affrontano e concorrono alla sua realizzazione, ma anche e soprattutto per opera degli autori; senza contare che 1’autore stesso stratifica nel testo tutta una serie di potenziali realizzazioni che a poco a poco, più in fretta o più lentamente, la tradizione esecutiva si incarica di portare alla luce. Sarebbe sbagliato credere che solo il testo originale contenga le volontà dell’autore; al contrario, la realizzazione del testo e la somma storicamente tirata di tutte queste istruzioni, molte delle quali sono criptiche.

Ciò è tanto piu vero in un genere, come l’opera, che è per sua natura continuamente sottoposto al condizionamento di più elementi e situazioni: 1’opera non sta ferma, ma si muove e si trasforma, e un insieme di realtà concomitanti. E qui interviene il lavoro dell’edizione critica: it quale si incarica di ricostruire tutte queste condizioni nel modo piu completo e indicativo possibile. In che modo? Al primo posto sta la raccolta e la collazione delle fonti: non soltanto degli autografi e dei manoscritti, ma anche delle copie, delle prime edizioni a stampa, degli spartiti e delle parti orchestrali, e così via. In seguito viene lo studio, la decifrazione e trascrizione. Al terzo la proposta di soluzioni che al curatore sembrino le più adatte a realizzare le intenzioni dell’autore nelle diverse circostanze. Parte integrante di questo lavoro sono dunque non solo la riproduzione dei testi ma anche gli apparati critici che ne spiegano i problemi: per esempio in caso di discordanze egualmente accettabili, che non siano cioè chiara conseguenza di una svista o di un refuso. Scopo ultimo è proporre con un giudizio motivato (critico vuol dire questo) perchè una soluzione si lasci preferire all’altra. Tutto questo lavoro serve per mettere l’esecutore materiale e il pubblico che ascolta nella condizione migliore per conoscere non la verità di un testo ma la forma della sua compiutezza e la sua individualità. Paradossalmente, 1’edizione critica non facilita, ma moltiplica gli interrogativi, incoraggiando al massimo la libertà e la creatività artistica di coloro che sono chiamati a dare significato ai segni del testo nelle sue molteplici valenze. In altri termini, si tratta di uno strumento che mette nella condizione di scegliere meglio, con più consapevolezza, imponendo tuttavia una scelta: che per essere la migliore non può essere la più automatica e immediata.

In via di principio tutto questo processo dovrebbe essere demandato all’interprete stesso: solo che l’interprete non ha spesso il tempo e la capacità tecnica per ricostruire da capo tutta la storia di un’opera, come fa 1’edizione critica. Questo lavoro è delegato ad altri, in primo luogo ai musicologi, che dovrebbero avere la competenza per farlo. L’ideale sarebbe una collaborazione fra musicologi e musicisti (nel caso dell’opera anche studiosi del teatro), cosa che non sempre avviene. Quanto più saranno chiari i criteri adottati, tanto più poi anche l’interprete sarà messo nella condizione di scegliere bene, o almeno con coerenza e logica. Per far ciò occorrono non solo senso musicale ma anche conoscenza delle tradizioni esecutive. Sotto questo profilo, 1’interpretazione comincia gia con la scelta del testo e della sua versione.

S’intende che per essere tale un’edizione critica non deve limitarsi a fare delle proposte, ma garantire che certe scelte siano piu ragionevoli di altre. Correggere (questo è il minimo) errori e altro, certo, ma accettare anche il maggior numero di varianti, quando queste si presentino come possibili alternative, e illustrare esattamente, senza tendenziosita o superficiality, come si rapportino al testo, o ai testi. Per rendersi conto della massa di fattori che vi sono implicati può essere utile come esempio leggere una parte della prefazione editoriale all’edizione critica delle opere di Verdi iniziata una decina di anni fa dalla Ricordi in collaborazione con la University of Chicago Press: “”Le edizioni delle opere di Verdi rispondevano essenzialmente a finalità pratiche e si ponevano come fine primario quello di fornire nel più breve tempo possibile un testo funzionale all’esecuzione; erano pertanto condizionate da una tecnica editoriale empirica, che corrispondeva evidentemente alle esigenze delle strutture di produzione e di diffusione della musica dell’opera verdiana, ma non più adeguata alle attuali istanze di correttezza filologica. La nuova edizione critica delle opere di Verdi mira non solo a ricostruire un testo il piu possibile fedele alle intenzioni definitive all’autore, utilizzando criticamente tutti i materiali disponibili (dagli autografi agli abbozzi, alle prime copie manoscritte, alle varie edizioni realizzate durante la vita di Verdi, ai materiali d’orchestra delle prime rappresentazioni, ecc.), ma permette inoltre di ricostruire momento per momento, sulla scorta di un ampio apparato critico, la genesi del testo e di chiarire le lacune, le ambiguità e le contraddizioni dell’autografo, fornendo agli interpreti e agli studiosi i mezzi per seguire, attraverso il segno, il concretarsi del pensiero composivo verdiano e della sua visione drammaturgica. In tal modo è possibile ricostruire la struttura cornpositiva originale, rendersi conto delle modificazioni attuate dallo stesso Verdi in epoche successive (eventuali varianti dovute al compositore sono accolte nel testo e segnalate come tali; o stampate in appendice) e in fine correggere ed espungere elementi spurii derivanti da errori o introdotti arbitrariamente nel testo. Pertanto la nuova edizione critica offre anche nuovi strumenti per una riproposta interpretativa delle opere di Verdi alla luce delle acquisizioni metodologiche della più aggiornata e rigorosa filologia musicale””. Sarebbe ingiusto non condividere queste ottime “”istanze””; altrettanto imprudente però credere che grazie alle “”acquisizioni metodologiche della piu aggiornata e rigorosa filologia”” la nostra conoscenza di Verdi sia resa onnipotente. Al massimo, si preciserà in alcuni dettagli.

Prima ancora che per Verdi, 1’edizione critica delle opere di Rossini a cura della Fondazione Rossini di Pesaro ha avuto una importanza decisiva nella restituzione di uno stile sul quale si erano depositate nel corso del tempo abitudini e tradizioni esecutive conformi al mutare del gusto.

Ciò vale anzitutto per le opere buffe, e soprattutto per quelle più famose, come II barbiere di Siviglia o La cenerentola, di cui nell’Ottocento e nel Novecento si fece letteralmente carne da macello, consentendo ogni licenza e stravaganza. La funzione che rende utile 1’edizione critica non sta tanto nella condanna scandalizzata di questi adattamenti o rimaneggiamenti, quanto nel far chiarezza sul processo che li ha inglobati nella storia dell’opera, alla cui base si trova il testo del compositore. Non c’e dubbio che grazie al brillante svolgimento di questo compito Rossini abbia riacquistato 1’eleganza, la leggerezza, la trasparenza e il brio di una scrittura, soprattutto orchestrale, estremamente differenziata; e ciò ha influito anche su una maggiore consapevolezza e proprietà stilistica da parte dei cantanti, senza mortificarne le qualità o i requisiti belcantistici. Ciononostante, oggi si tende a temperare certi eccessi che sono andati nella direzione opposta, nel senso cioè di un rigore e di un’astrattezza fini a se stessi, e a reintrodurre quindi certi abbellimenti e certe interpolazioni che non sono estranei al carattere dell’opera nella realtà stratificata della prassi esecutiva. Ciò significa che anche le edizioni critiche si evolvono col tempo. E se è sempre in agguato il pericolo di considerarle un po’ in astratto, separatamente dall’esecuzione, incalcolabile e il vantaggio di poter disporre grazie ad esse del maggior numero di elementi idonei a sapere e a giudicare.

D’altronde, che la motivazione musicale sia prioritaria anche di fronte alla conoscenza dell’identità dei testi lo dimostrano svariati esempi. Oggi che 1’edizione critica delle opere di Mozart è disponibile perfino in pubblicazione economica (a testimonianza che all’estero queste cose si facevano naturalmente ancor prima che la moda le imponesse, mentre da noi sono anche un modo di apparire; infatti costano ancora troppo per diffondersi perfino tra gli addetti ai lavori), si continua a eseguire il Don Giovanni contaminando 1’edizione di Praga con quella di Vienna: da un punto di vista filologico questo è un errore, giustificato però dal desiderio di non rinunciare a pezzi di musica bellissimi. I casi analoghi sono numerosissimi: basti citare la consueta mescolanza del primo e del secondo Boris o, per tornare ad autori a noi più vicini, il Don Carlo. I1 caso del Boris è ulteriormente sintomatico: il ritorno alla versione originate di Mussorgsky ha praticamente messo fuori uso quella di Rimsky-Korsakov, grazie alla quale il Boris fu conosciuto nel mondo, togliendoci così, in nome dell’autenticità, un punto di riferimento essenziale. Anche noi preferiamo il vero Boris, a patto che si scelga fra le due versioni, che sono cose diverse e non assemblabili; ma proprio il fatto che oggi lo si conosca non dovrebbe far dimenticare le fasi, non meno importanti, delta sua vita nella storia della musica, e tanto meno imporre scelte obbligate. Insomma, 1’essenziale, come sempre, e dire onestamente come e perchè si è proceduto nel proporre una versione invece di un’altra. Senza farsi belli di una fedeltà solo esteriore (Gavazzeni aggiungerebbe che all’interprete spetta come a nessuno il diritto detl’infedelta).

Oggi che le edizioni critiche sono strumenti quasi normali di studio e di lavoro, bisognerebbe mantenere anche nei loro confronti una certa tolleranza, se non un sano scetticismo. Tenerne conto, ma senza assolutizzarle. Nemmeno esse possono darci la certezza di che cosa sia un testo musicale nelle sue infinite incarnazioni, e sostituirsi alla ricerca individuate, al gusto della scoperta e della scelta ragionata. Non sono alibi, ne possono offrire attenuanti generiche a chi non sappia interpretare una pagina musicale e far lievitare i segni convenzionali: talvolta anche uno sbaglio, o una modifica successiva, perfezionano, non tolgono. Altrimenti bisognerebbe davvero rassegnarsi a suonare Bach senza agogica nè dinamica (che nei testi mancano), Beethoven con i metronomi originali, e via dicendo. Le edizioni critiche non sono tavole della legge, fanno doverosamente parte della cultura musicale, e quando esse ancora non esistevano, i grandi interpreti del passato sono giunti allo stesso risultato fondandosi sulla sensibilità e sull’intuizione, o semplicemente sul buon senso. La nostra epoca ne ha bisogno piu di altre, perchè ha perso il contatto diretto con lo spirito della grande musica, e per ritrovarlo deve redigerne la storia. Con tanto di commenti, postille, appendici e revisioni.

Musica Viva, n.11 – anno XV

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