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AA.VV. Alban Berg, I Quaderni del Teatro Regio, Parma 1989

Prendendo spunto dalla presenza nel cartellone della stagione 1988-89 del Wozzeck, la collana “”I Quaderni del Teatro Regio”” di Parma ha dedicato ad Alban Berg un volume monografico assai ricco non solo per numero di pagine (quasi seicento) ma anche per varietà e qualità di contributi. Di fronte a ventuno autori chiamati a scrivere o comunque tirati in ballo (giacché non tutti i saggi appaiono qui per la prima volta) su temi connessi all’epoca, all’ambiente e all’opera di Berg, il rischio maggiore è quello di una certa eterogeneità di vedute e di metodi che può condizionare negativamente la visione d’insieme, spostando l’equilibrio ora su uno ora sull’altro aspetto. D’altronde una monografia a più voci ha il vantaggio di poter affidare a singoli specialisti la trattazione dei diversi temi, che nel caso di Berg s’intrecciano in una fitta rete di relazioni e di possibili rimandi. Molto dipende dunque dalla capacità dei curatori di disporre organicamente il materiale in modo da non squilibrare l’assetto generale, stabilendo nello stesso tempo un criterio che leghi fra loro, pur nella loro specificità, i singoli contributi. Cosa più facile a dirsi che a farsi.

Claudio Del Monte e Vincenzo Raffaele Segreto (con la collaborazione di Gian Paolo Minardi) ci riescono invece brillantemente, soprattutto perché sanno dare a questo volume su Berg un’impronta chiaramente definita. Loro intendimento non è tanto ripercorrere l’arco creativo di Berg attraverso l’analisi delle opere, quanto stabilire una serie di raffronti fra queste opere, colte in sintesi nelle tappe di un’evoluzione lineare, e il mondo artistico, culturale e sociale che le circonda, e spesso le influenza in maniera niente affatto lineare o univoca. Non a caso Del Monte e Segreto firmano ad apertura del volume una succinta ma esemplarmente nitida “”guida alla lettura”” dal titolo significativo: Non solo musica, non solo Berg; soggetto a cui risponde, quasi completando l’esposizione, Enzo Restagno con il suo puntualissimo e illuminante saggio storico-critico …E tuttavia una carriera esemplare. A questo punto il lettore sa che cosa aspettarsi da ciò che seguirà; e alla fine non rimane deluso nelle sue aspettative: perché se non tutti i saggi, come è inevitabile, sono della stessa qualità e dello stesso interesse, nessuno va “”fuori tema”” e altera le proporzioni del quadro nel suo complesso.

Certo, l’entrata di Portoghesi sul motivo di Vienna e della “”finis Austriae”” è a volo radente e ripete cose già dette, anche se di primaria importanza; ma subito dopo gli organizzatori si aprono puntando su storia e società, letteratura (splendida la panoramica di Anna Giubertoni), architettura, psicanalisi e Jugendstil: per toccare nel saggio di Adorno, già noto ma opportunamente collocato al centro del volume, un punto di osservazione verso il versante più propriamente musicale. Che viene poi ripercorso nelle tappe cruciali sotto scorta alternata di guide riconosciute (Minardi, Carner, Chadwick, Petazzi) e di battistrada un po’ scapicollati, ma proprio per questo capaci di svelare cammin facendo bellezze e significati più reconditi (Principe, Girardi). Non manca da ultimo, come è giusto, il sapiente professore (o se preferite vescovo, visto il cognome, Bishof) che ci assicura sulla presenza di fondamenti filosofici in Berg, caso mai non ce ne fossimo ancora accorti; né appaiono inutili, tutt’altro, le accurate note sulla fortuna di Berg in Italia e altrove di Morazzoni e di Tortora, così come il saggio in appendice di Alberto Mantelli, che ci riporta intuizioni folgoranti di un lontano 1936.

E se è vero, come scriveva allora Mantelli, che l’opera di Berg “”si innalza ferma, serena, duratura, con tutti i segni di quella vitalità che trascende i tempi e le scuole, proprie dell’arte eterna””, è anche grazie a volumi come questo che noi possiamo ricostruire e forse capire meglio i passaggi e le vicende che resero possibile a quell’arte di mantenere ferma e duratura la sua vitalità, oltre le rovine di un mondo.

P.S. E a proposito di tempi e rovine. In quattro paginette di presentazione all’inizio Giampiero Rubiconi, responsabile artistico delle stagioni del Regio, riesce a mettere insieme una serie di amenità e luoghi comuni così sensazionale da non potersi passare sotto silenzio. Un po’ saltando di palo in frasca, ma sempre come un leone rampante, costui prende di mira in nome dell’ecologia i terribili inquinatori del pianeta lirico: appassionati che preferiscono Pelé alla Coppa dei Bar, stupidi adoratori dei vitellini d’oro, filologi omogeneizzati, mini-musicologi semicolti come un bonsai venuto male, e via spaziando per frutteti, cucine, radici con creatività, “”sentire melo-drammatico”” e soprannaturale nell’universo. La sua arringa è così appassionata che alla fine parla in latino: “”Plaudite cives””. Come Cesare. Ma voi non perdetevi d’animo. Basta che passiate il Rubiconi, e “”il dado è tratto””.

Musica Viva, n. 12 – anno XIII

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