Ecco le riflessioni emerse durante la discussione-dibattito organizzata da Musica Viva
La critica musicale nella stampa d’informazione oggi in Italia
I1 16 giugno scorso Musica Viva ha riunito nel ridotto dei palchi del Teatro alla Scala, in collaborazione con gli Amici della Scala, un qualificatissimo gruppo di professionisti e di esperti. I più importanti aspett dell’argomento in discussione, la situazione odierna in Italia della critica musicale nella stampa d’informazione, erano preliminarmente toccati nel promemoria che qui di seguito riportiamo.
PROMEMORIA PER UN DIBATTITO
1. Alcuni fatti.
Lo spazio dedicato alla musica classica e alla critica musicale sui quotidiani e anche sui periodici d’informazione italiani è oggi tra i più ampi del mondo. Attorno ai fenomeni di maggior spicco si mobilitano redazioni, coinvolgendo esperti qualificati: l’inaugurazione della stagione alla Scala, i fenomeni legati alle fortune e alle sfortune dei divi, le manifestazioni estive, le tendenze di mercato in campo discografico…
L ‘invadenza delle notizie e dell’interesse sulle notizie in campo musicale moltiplicata dal nuovo rapporto tra musica e immagine, legato all’interesse degli sponsor, ha portato ad una supervalutazione degli avvenimenti più clamorosi in sede extracritica, con forte pressione verso il pubblico, e ad un vistoso ingresso di incontrollate notizie di agenzia, soprattutto nella stampa quotidiana.
Le direzioni di molte testate – in tutto il settore della critica e segnatamente di quella musicale – hanno operato ed operano scelte di critici il curriculum professionale dei quali è almeno poco pertinente. Dopo la fase arcaica ricca di scelte bonarie e avventurose (“”chi di voi della redazione va all’opera?””; “”tu ti piglieresti la grana della musica?””) e dopo la fase più matura con le rubriche affidate a musicologi di formazione dotta o a musicisti di chiara notorietà, si torna talora a titolari e collaboratori di formazione incerta, di giornalismo senza chiara fama e di conoscenza amatoriale, premurosi prestatori d’opera.
2. La figura del critico musicale.
E più che mai importante oggi, per la formazione di una coscienza culturale e critica nel lettore, e per non sottrarci alla funzione di controllo e orientamento propria di ogni impegno della stampa, che il ruolo del critico sia distinto dagli altri ruoli nell’informazione musicale. Che dove è possibile il critico indirizzi tutta l’informazione musicale e che, dove non è possibile, o comunque non sia stato ritenuto opportuno, abbia la funzione specifica di assumersi il giudizio critico sugli avvenimenti senza essere confuso, travolto o contraddetto nell’accumulo di articoli.
La costante presenza e l’esser punto di riferimento non nasce per il critico musicale da un atto di presunzione. Ogni critico sa che ogni suo pezzo contiene osservazioni puntuali e altre generiche, riflessioni interessanti e riflessioni meno riuscite, e sa anche che la sua competenza è maggiore in alcuni aspetti ed in altri è minore. E possibile che in ogni occasione si possa ospitare sullo stesso giornale un articolo più intenso e più conclusivo del suo. Ma sa che il rapporto tra lettore e il critico non nasce da isolati cassetti di conoscenza da versare via via, bensì da un discorso svolto in prima persona da qualcun che si è imparato a conoscere e che dunque fa da filtro, da maestr nei migliori dei casi, da testimone sempre. Alla casualità delle informazioni, ora dipendenti dalla somma degli avvenimenti della giornata e della distribuzione degli spazi, all’inevitabile pilotaggio degli adescamenti alle occasioni musicali, si contrappone il discorso costante d’uno che cerca di offrire strumenti critici per interpretare ciò che accade nella musica.
Se anche il ruolo concorre dunque a fare il critico, non è però sufficiente a trasformare in critico chi non ne abbia la preparazione, oltr che il talento (questo scarsamente misurabile, l’altra invece valutabilissima). L ‘esperienza sembra dimostrare che chi non abbia la preparazione specifica per qualificarsi come critico cerchi di mimarne l’autorevolezza attraverso l’ostentazione dei giudizi, accentuandone soprattutto la violenza come prova della propria professionalità censoria, riducendo spesso il lavoro di resoconto, cronaca, evocazioni riflessione critica, svelamento delle intenzioni interpretative, confronto con le attese e osservazione sulle manchevolezze e contraddizioni, eventuali a una sorta di pagella con aggettivi. In questa impostazione, anziché portare il lettore ad attendersi un aiuto per accedere i fatti della musica, lo si guida verso l’esclusione e il piacere della rissa. Non sembra possibile oggi fissare un codice deontologico che parta dai requisiti per assumersi una rubrica da critico musicale; non è neppure pensabile l’istituzione di una sorta di albo professionale aggiunto a quello dei giornalisti, come una sottosezione chiusa. Ma è giusto pubblicizzare almeno alcuni criteri orientativi, per la direzione dei giornali e per il pubblico dei lettori. E giusto anche che siano conosciuti i titoli, i saggi pubblicati, le attività svolte da coloro che vengono chiamati o sono da tempo impegnati nella critica musicale.
3. Il ruolo del critico musicale.
Per chi scrive il critico musicale all’interno del suo quotidiano o del suo periodico d’informazione? Per l’appassionato di musica o per il lettore in generale? Per chi ha già assistito allo spettacolo o al concerto che il critico ora recensisce, per chi sta per assistervi o non sa se assistervi o meno, per chi non vi partecipa ma vuole o può esse informato e parteciparvi indirettamente attraverso l’articolo?
Se il critico scrive solo per l’appassionato è tutto più semplice per lui.
Si stabilisce un progressivo stato di accettazione reciproca di conoscenze culturali e tecniche e di informazioni che rendono possibile un continuo rapporto a un modello comune, o almeno ad un complesso ipotizzabile di conoscenze; anche il linguaggio si può permettere di spingersi fino quasi al gergo. Esistono critici musicali che pensano soprattutto di essere letti in occasione dei grandi avvenimenti, o da coloro cui via via interessa l’evento su cui si esprimono. Sono cioè critici che, più che essere letti, vengono consultati. Altri privilegiano sull’informazione al lettore i segnali inviati agli operatori musicali e ai musicisti, considerando il proprio compito soprattutto un controllo verso la qualità e la pertinenza della vita creativa ed esecutiva. Altri si occupano soprattutto di prendere occasione per far progredire, attraverso testimonianze immediate, il discorso critico riservato a chi, in qualche modo, vi è già introdotto. L’esistenza di questi atteggiamenti, o di queste abitudini, o di queste nature, ha portato al distacco tra informazione -da svolgersi recisamente fuori dall’ambito del discorso del critico musicale – e articoli di recensione; e ha portato anche, sentita l’esigenza da parte dei lettori di venire meglio introdotti nella comprensione della musica, alla scelta di giornalisti capaci di divulgare e comunicare anche nella dimensione della critica. Questo elemento ha contribuito a privilegiare la dimensione del giornalismo generico su quello della competenza.
Se il critico scrive anche per chi non sa molto di musica, e forse non partecipa abitualmente alla vita della musica almeno “”classica””, dovrà oggi, nel mutare di quello che possiamo considerare una cultura diffusa, essere informato e in qualche modo partecipe delle esperienze del pubblico cui si rivolge. Dovrà avere dunque una curiosità per le altre forme di spettacolo alle quali il pubblico partecipa; dovrà orientarsi anche nella musica di consumo, quale che essa sia. Accanto ad una valutazione per così dire estetica e culturale di queste forme, dovrà avere la capacità di analizzarne almeno sommariamente il linguaggio. Un tipo di lettura da parte di un pubblico che il critico non ha scelto, insomma, chiede anche un tipo di critico che lo conosca, così come conosce la musica, o che cerchi di conoscerlo, adeguando alle esigenze di comunicazione anche quel tanto che sia necessario – non di più – della sua preparazione, del suo lessico,, del suo stile giornalistico, insomma del suo linguaggio. Questo suo impegno però non può esaurirsi nell’offrire una sintesi generica informativa impostata su bonari modelli divulgativi esistenti, seguita da rapidi giudizi sull’esecuzione, per lo più affidati a criteri forgiati su una scala generica e assolutizzante (dal pessimo””all'””ottimo “”attraverso il “”bello””, “”deludente””, “”suggestivo””, `pregevole””…). Il problema diventa raccontare lo spettacolo o il concerto attraverso il taglio interpretativo che gli artisti hanno dato ad ogni singolo evento, riservandosi di spiegare le ragioni di accettabilità di quelle interpretazioni ed eventualmente le contraddizioni e le manchevolezze entro il discorso generale. In questo modo il critico rinuncia ad esprimere in quella sede parte delle sue riflessioni che in un saggio rivolto ad altri lettori più provveduti offrirebbe; ma per questa strada può arrivare a dare ai lettori più provveduti un contributo irripetibile che è il racconto immediato della sua lettura dell’avvenimento: cronaca delle cose avvenute e del suo rapporto – il rapporto di una persona cui si dà fiducia e interesse – con le cose avvenute.
Da qualche tempo la partecipazione della critica musicale s’è allargata a questioni non musicologiche, ma fortemente incidenti sulla vita musicale; la più evidente manifestazione è il costante intervento della critica sulla politica della musica, che in Italia è assai forte (manifestazioni evidenti, a parte la critica impegnata nella vita dei partiti, sono state per esempio le giornate di studio con critici e operatori a Musica Viva, poi i dibattiti in sede dell’associazione critici musicali e ora anche l’impostazione del Giornale della Musica, per citare le più articolate). Sembra invece ancora carente l’attenzione della critica ad aspetti più immediatamente vicini all’ascoltatore. Per esempio è noto che la maggior parte degli ascoltatori conosce la musica e la può conoscere soprattutto attraverso il disco. Ma il discorso sul disco è quasi sempre ancora isolato – nella stampa d’informazione, di cui in questa sede ci occupiamo – in articoli sporadici o in rubriche di piccole sintesi estetiche o di consigli per gli acquisti. Il che sembra poco e potrà essere argomento specifico (una nuova metodologia o suggerimenti per nuove possibilità di legare l’esperienza dell’ascolto discografico alla riflessione sulla musica) d’un prossimo incontro.
Sergio Sablich. Non è vero che il critico debba fare solo il cronista, ma deve fare anche ben di più; e non è neanche vero che il critico musicale venga letto solo dagli appassionati: io conosco molta gente che legge, per esempio, articoli di D’Amico pur non essendo appassionata di musica, e si interessa moltissimo, come a me capita, di leggere articoli di persone che io stimo, che m’interessano o che semplicemente mi danno qualcosa leggendoli, pur non controllando di che cosa “”tecnicamente””, in quel momento, stiano parlando. Non credo che sia vero quello che ha detto D’Amico, e cioè che il critico musicale debba rivolgersi soltanto agli appassionati. E quello che il critico musicale fa che conta. Io credo che debba esercitare due facoltà. Una è la capacità di un giudizio critico, l’altra una capacità di raccontare. La prima di queste è una facoltà di tipo sintetico, l’altra invece di tipo analitico; e, secondo me, la prima precede la seconda: cioè non bisogna, come spesso si dice, raccontare “”imparzialmente””, o “”obiettivamente””, e poi esprimere il giudizio (che poi può essere più o meno personale), bensì procurarsi questo giudizio nel momento dell’ascolto o della riflessione successiva all’ascolto, e poi in base a quello raccontare per informare. Il racconto quindi, in un certo senso, è l’estrinsecazione e la verifica della capacità di un giudizio critico. Ma come si forma questo giudizio? Esprimere un’opinione non significa dare un giudizio critico, ma per formarlo c’è bisogno di una base, di alcuni presupposti sui quali stabilire le regole del gioco: ora come è evidente queste regole possono essere molto diverse: privilegiare questo o quello aspetto, seguire questi o quei criteri, considerare preminenti questi o quei fatti. Solo, però, una volta stabiliti questi criteri l’attività critica potrà svolgersi in modo da risultare significativa.
Sul tavolo della discussione vorrei porre l’importanza della conoscenza ed esperienza squisitamente teatrale per chi eserciti la professione di critico. Per esempio come funziona un palcoscenico, come si ottengono determinati effetti di luce, come si impostano dal lato tecnico alcuni problemi, quale significato ha la collocazione dei cantanti sulla scena ecc. E’ importante saperlo perché fa parte di un tipo di competenza che serve non soltanto per formarsi un giudizio critico ma anche per informare il lettore. Il critico musicale generalmente di questi aspetti sa poco o nulla quindi è difficile che possa raccontare in modo adeguato come funziona uno spettacolo. Oggi il teatro di regia, sempre più complesso e sofisticato, ha assunto anche nell’opera un’importanza che prima non aveva. E cambiato anche il rapporto con il testo. Il testo è spesso un pretesto per un’interpretazione che non tiene conto di quello che viene indicato. Non dico solo di fedeltà alle didascalie e all’ambientazione ma anche qualcosa di più. Dall’altro lato l’opera è sempre più un’esperienza legata al disco e ai mezzi di comunicazione quali cinema, televisione, CD video, videocassette: queste cose esistono e il pubblico che legge i giornali queste cose le usa. Ciò a mio avviso cambia o condiziona il modo di andare a teatro. Pensiamo solo alla diffusione dei dischi.
Insomma, il critico deve cercare di capire ciò che si è voluto dire o fare da parte del regista senza sovrapporre le proprie idee o i propri preconcetti, spiegare ciò che avviene sulla scena e poi esprimere anche la sua idea in rapporto a ciò che l’opera ha dato. Questo può avvenire solo con una specifica conoscenza dei meccanismi teatrali.
Credo che il critico dovrebbe abituarsi anche a recensire spettacoli teatrali non necessariamente musicali, insomma tutto ciò che rientra nella esperienza comune dello spettatore che va anche al teatro d’opera, ma va al cinema e al teatro di prosa ricevendo da ciascun campo molte esperienze. La professionalità del critico oggi sta nella capacità di affrontare le diversità dei linguaggi sapendo cogliere di ciascuno di essi le peculiarità e le relazioni, le confluenze o le divaricazioni.
Vorrei ora sottoporvi alcune consuetudini che sarebbero a mio avviso da rimuovere nell’attività del critico. La prima è quella di recensire solamente la “”prima””: ora, uno spettacolo cambia di molto durante la sua vita teatrale. Ritornare a distanza di tempo su uno spettacolo magari già recensito può essere utile sia al critico che al lettore. Spesso invece in Italia le “”riprese”” non vengono nemmeno recensite. Ogni serata d’opera fa storia a sé: è questa la grandezza unica del teatro che né cinema né televisione posseggono.
La rubrica della critica sui quotidiani deve poi avere a mio avviso una linea, un punto di riferimento, altrimenti il lettore rimane sconcertato. Bisognerebbe soprattutto evitare che venissero scritte evidenti falsità. Non parlo qui di errori di giudizio critico, ma di informazioni sbagliate. Il lettore ha diritto di sapere come sono andate le cose.
Il critico musicale poi dovrebbe avere la responsabilità unitaria della rubrica. Prendiamo ad esempio il problema dei tagli degli articoli: chi li controlla? È possibile che oggi il critico non possa almeno concordare i tagli col proprio caposervizio? E che dire delle titolazioni selvagge?
Musica Viva, n. 12 – anno XIII