Firenze: Le nozze di Figaro

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L’anno scorso Così fan tutte. Quest’anno Le nozze di Figaro. Don Giovanni a seguire. Il Progetto Mozart-Da Ponte della Scuola di Musica di Fiesole e dell’Ente Teatro Romano è a due terzi del suo cammino; e anche se un bilancio definitivo si potrà tirare soltanto nel fatidico 1991, quando le tre opere verranno presentate insieme in una tournée che si annuncia già fitta e non soltanto italiana, non mancano fin da adesso elementi di riflessione sul senso e sui fini di una iniziativa che al suo attivo vanta già molto lavoro e molta simpatia, e che è stata seguita con entusiasmo perché dell’entusiasmo ha fatto subito uno dei suoi punti di forza. E questo è già un risultato.

Dunque. A Fiesole, sotto la guida di Claudio Desderi, si riuniscono per un mesetto di prove al pianoforte una trentina di giovani cantanti scelti per affrontare e studiare determinati ruoli di un’opera della trilogia di Mozart e Da Ponte (alcuni di loro anche per più ruoli, a seconda dei casi). Successivamente Desderi stesso passa a lavorare con l’orchestra (che è quella della Camerata Musicale Fiesolana, anch’essa composta per lo più di giovani strumentisti della scuola, da cui proviene anche il coro, amatoriale più che strettamente professionale) e insieme con i cantanti e il regista Roberto Guicciardini monta lo spettacolo, che viene poi presentato in diverse piazze per un numero cospicuo di repliche, alternando le compagnie. Al momento seminariale, dello studio, in cui Desderi cura soprattutto la preparazione dei cantanti e decide come utilizzarli, si connette così la fase della realizzazione in palcoscenico, che come è naturale comporta tutta una serie non soltanto di verifiche ma anche di nuove responsabilità.

Si parte dal presupposto che lo studio e la preparazione musicale siano finalizzati alla rappresentazione dell’opera in teatro: che cioè quei cantanti arrivino a reggere il peso dei loro, ruoli mostrando il lavoro svolto e la capacità di esserne all’altezza interpretandoli in modo adeguato dal punto di vista sia vocale che stilistico.

Si farebbe un torto alla novità e alla serietà di questa iniziativa, e soprattutto all’impegno che vi viene profuso da tutti i partecipanti in nome dell’amore per Mozart e per la musica, se si tacesse che il salto dalla fase preliminare di preparazione, molto profonda e caparbia, alla realizzazione concreta sulla scena, con l’orchestra e tutto il resto, è molto lungo e irto di ostacoli. Per cantare la Contessa e Figaro, Susanna e Cherubino, non bastano le buone intenzioni e neppure uno studio severo, accanito: occorrono qualità speciali alla base, anzitutto di natura vocale. Altrimenti si rischia di costruire bellissime illusioni (ma forse questo e non altro è la giovinezza) su sabbie mobili. E Mozart non perdona, per quanto ci seduca con sogni meravigliosi.

Nelle Nozze di Figaro, questo scarto si avvertiva in modo sensibile e un po’ malinconico. Perché, ripeto, il cuore era tutto con loro, con quei magnifici tentativi di venire a capo di una partitura che implacabilmente tendeva tranelli a ogni battuta; incurante, nella sua superiore necessità, di offrire un aiuto, un punto fermo. E indicava il miraggio di uno stile. A cui non sempre veniva data una risposta adeguata. Forse ci sarebbe voluta maggiore esperienza da parte del direttore, di un direttore cioè che non affrontasse quest’arduo compito debuttando fra debuttanti. Desderi è un personaggio ammirevole, di prorompente vitalità e di straordinario talento musicale, a cui tutti dobbiamo molto: ma è un cantante, non un direttore d’orchestra. Nessuno, credo, saprebbe mascherare meglio di lui questa differenza: ma non annullarla. Siccome è molto intelligente, nella scelta dei tempi, nell’equilibrio delle sonorità orchestrali e nella condotta generale del palcoscenico si atteneva a criteri di sano pragmatismo: lasciando però incompiuto un lavoro assai ben avviato nel campo di una specifica professionalità.

E qui s’innesta un’altra considerazione, relativa all’apporto della regia di Guicciardini. A differenza di Desderi, Guicciardini vuol dare una sua precisa interpretazione dell’opera e anziché insegnare a cantanti alle prime armi come ci si muove in palcoscenico, cosa che sarebbe della massima utilità sotto il profilo didattico, li subordina a una visione finalizzata a spiegarci che cosa siano per lui Le nozze di Figaro: in altri termini, usai cantanti per i suoi scopi. Anche questo è naturalmente legittimo. Resta però così aperto e non risolto l’interrogativo su quale sia alla fine il senso di tutta l’operazione: saggio di scuola – e sia pure di alta scuola – o produzione a tutti gli effetti di un’ opera? Da ciò dipende non solo la valutazione dei risultati raggiunti ma anche il futuro di iniziative importanti e delicate come questa.

Musica Viva, n. 12 – anno XIII

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